2021-09-08
La soluzione del giallo dei 6 minuti: per Saman la fossa era già pronta
Nei verbali di Alì, il fratellino della ragazza scomparsa, viene così spiegato il lasso temporale troppo breve per commettere un omicidio e occultare il cadavere. «Due giorni prima mio zio andava a scavare, non so dove»Quando le telecamere dell’azienda agricola in cui Saman Abbas, la diciottenne scomparsa nel nulla la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio scorso a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, viveva con i suoi genitori l’hanno ripresa mentre si incamminava verso i campi, la fossa per non aver accettato un matrimonio combinato era già stata scavata. Il dettaglio è contenuto in uno dei verbali di Alì, il fratellino di Saman che è stato affidato a una casa d’accoglienza dopo essersi messo contro tutta la famiglia. «Due o tre giorni prima lui andava a scavare non so dove». Alì parla di suo zio Danish Hasnain, definito dagli inquirenti come un uomo violento ma molto rispettato nella famiglia. Il particolare, finito tra le centinaia di pagine di atti investigativi a supporto dell’ordinanza di custodia cautelare per i genitori, è contenuto in poche righe che i magistrati hanno evidenziato in grassetto. Il ragazzino poco prima, sempre riferendosi allo zio, aveva svelato l’inquietante sospetto che fosse stato lo zio ad assassinare Saman con queste parole: «È sicuro che le ha fatto qualcosa di male». Poi il dettaglio agghiacciante sulla fossa scavata giorni prima, al quale il sedicenne ha aggiunto: «Gliel’ho chiesto di poter andare con lui a scavare ma non ha mai accettato». Il 29 aprile, ovvero il giorno che precede l’omicidio, infatti, in uno dei video registrati dalla telecamera, alle 19.33 si vede lo zio incamminarsi per la carraia che porta nei campi. E si vede anche Alì che prova a seguirlo. Gli investigatori annotano che «effettivamente la gestualità visibile nei primi frame del video» mostra che il ragazzino sarebbe stato respinto e rimandato a casa. Questo punto della testimonianza sembra rendere più logica la ricostruzione degli inquirenti. Che nei video ripresi dalle telecamere la notte tra il tra il 30 aprile e l’1 maggio hanno visto la ragazza, dopo un litigio con la mamma (in questo frangente sarebbe arrivato anche lo zio), che si incammina per la strada carraia alle 12.11 con uno zainetto sulle spalle. E sei minuti dopo i genitori che rientrano in casa senza Saman, ma con il suo zainetto. Un lasso di tempo troppo stretto per commettere un omicidio, scavare una fossa e occultare il cadavere. La fossa, come svela Alì, doveva essere già stata scavata. «Lei è uscita ed è stata seguita da mamma e papà», racconta ancora Alì, «io sono rimasto sulla soglia della porta. Lei è andata avanti e poi ho sentito la voce di mio zio. Ho udito la voce di mia sorella una sola volta e poi penso che mio zio le abbia tappato la bocca con una mano. Poi ho udito la voce di mio zio che urlava ai miei genitori di andare via che ci pensava lui e i miei genitori sono tornati indietro».I carabinieri del nucleo operativo di Reggio Emilia, in una informativa, inoltre, hanno anche ricostruito un evento che sembra blindare l’attendibilità del giovanissimo testimone: «Alle 23.10 del 30 aprile le telecamere hanno ripreso Saman, in abiti tradizionali pakistani, e la madre entrare in casa dopo una discussione animata. Ebbene in controluce si coglie pure Alì sulla porta dell’abitazione che osserva le due donne; cioè nell’esatto angolo di visuale dal quale ha osservato la scena del litigio tra la sorella e i genitori, poi culminata nell’arrivo dello zio e nella conseguente scomparsa della ragazza (che quando esce di casa per l’ultima volta indossa jeans e scarpe da ginnastica, segno, secondo la Procura, che proprio quella sera Saman voleva lasciare la famiglia, ndr)». Alì, nel suo drammatico racconto, in uno dei verbali ricorda anche le fasi successive: «Ho visto mio padre che è ritornato in casa con lo zaino che aveva Saman, quello di color avorio che mia sorella aveva sulle spalle quando è uscita. Lo zio ha dato a mio papà lo zaino dicendo di portarlo a casa e di nasconderlo. Poi mio padre, quando è arrivato a casa, si è sentito male e ha iniziato a piangere». A quel punto il ragazzino deve aver capito che era finita male. E agli investigatori ha detto anche di essere uscito per cercare la sorella «nelle serre di cocomeri e meloni». «Vero è che non ha assistito all’omicidio», valutano i giudici del Riesame che hanno lasciato in carcere uno dei cugini, «ma la convinzione che Saman sia stata effettivamente uccisa dallo zio è fondata sul contesto direttamente percepito». L’analisi dei tabulati telefonici del cellulare dello zio confermerebbe la dinamica. A partire dalle 23.06 riceve una serie di chiamate dal padre di Saman. L’ultima risale a 12 minuti prima che Abbas e la moglie accompagnino fuori casa la figlia. Dalle 23.57 il telefono dello zio resta in silenzio. Fino alle 3.03, quando con una chiamata Whatsapp, durata 52 minuti, contatta un’utenza memorizzata col nome Love Gujjar. Dalla ricostruzione fornita da Alì sull’ora del delitto restano fuori i due cugini indagati (quelli ripresi dalle telecamere insieme allo zio armati di una pala, di un secchio, di un telo azzurro e di un piede di porco). Nel suo racconto compaiono solo dopo: «Quella sera sono venuti a casa nostra. Sono entrati dalla porta davanti. Poi non so se sono rimasti a dormire». Nella sua versione, prima sarebbe rientrato lo zio e avrebbe cercato di consolarlo per la scomparsa di Saman. «E sempre durante la notte ma dopo lo zio», annotano gli investigatori, «erano arrivati a casa anche i cugini». Che potrebbero aver ultimato il lavoro. «Fra tutti», scrivono i giudici, «vi è stata una sorta di disperazione e di pianto collettivo». Lacrime di coccodrillo, se le ipotesi della Procura dovessero trovare riscontro.