
Matteo Salvini rivendica la flat tax: «È chiaro che se uno fattura di più e paga di più, risparmia di più e reinveste di più». Il Pd attacca e lo accusa di rubare ai poveri per dare agli abbienti. Ma serve proprio una rivoluzione fiscale per stimolare ricchezza e Pil.«È chiaro che se uno fattura di più e paga di più, risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più, e crea lavoro in più», ha risposto ieri Matteo Salvini alla domanda dei conduttori di Radio anch'io. Il tema è se la flat tax sia equa oppure favorisca i più ricchi. La risposta del vicepremier è stata lapalissiana. Essendo «flat», cioè piatta, la tassa impatta sul portafoglio dei cittadini in modo nettamente diverso. Chi guadagna 40.000 euro lordi all'anno pagherà 6.000 euro. Se guadagna 300.000 euro l'importo da versare all'Agenzia delle entrate sarà di 45.000 euro. Rispetto a oggi, il contribuente più ricco si terrebbe in tasca circa ben 100.000 euro in più. La differenza è palese. E altrettanto intrinseca alla logica della flat tax, così come alla curva di Laffer, che mira a raggiungere il rapporto ottimale tra prelievo e gettito. Tale filosofia ci riporta a due nomi precisi: Ronald Reagan e Donald Trump. Lungi da noi accostarli. Entrambi però hanno tagliato le tasse applicando riforme fiscali «di destra». Ecco che finalmente l'economia italiana rischia che un governo di destra faccia qualcosa di destra. Ridurre le tasse e fare in modo che i più ricchi spendano i propri guadagni nel nostro Paese. E soprattutto che nessuno di essi si debba più vergognare di essere ricco. Perché se uno ha fatto i soldi rubando, è giusto che risponda al codice penale. Se uno è diventato invece ricco legalmente, ha tutto il diritto di godersi il proprio reddito. Un concetto che la sinistra non riuscirà mai ad abbracciare, perché di solito ha poco rispetto del lavoro e soprattutto perché non può accettare che l'individuo sia sganciato dallo Stato. Per la sinistra tutti devono essere ipertassati. A quel punto, i governi rossi opteranno per una lunga sfilza di incentivi, sussidi o elemosine in nome di una redistribuzione di stampo socialista. Il fisco è uno degli elementi primari per separare la libertà individuale dalla schiavitù dallo Stato. Lo sapevano bene gli zar russi, i primi a istituire la polizia fiscale per vessare intere categorie di sudditi facendo leva sulla violenza e sul sopruso. Peggio dei comunisti, però, si sono mostrati capaci solo i cattocomunisti. Perché, al passo con i tempi, sostituiscono la violenza con il senso di colpa. In Italia la ricchezza lecita è diventata qualcosa di cui vergognarsi. E ciò ha consentito a Mario Monti di inventare le imposte più dannose della storia patria. Pensiamo soltanto al prelievo sul lusso. Il comparto degli yacht nei tre anni successi alla tassa ha portato alle casse dello Stato circa 300 milioni di euro, ma ha prodotto una perdita al Pil di quasi 2 miliardi. Una follia. Solo il tempo ha mitigato la batosta. Adesso però la flat tax potrebbe creare finalmente l'effetto opposto. Più soldi per comprare barche italiane, perché l'imposizione così bassa non renderebbe più necessario scappare all'estero per fare tali acquisti. Ovviamente le frasi di Salvini sono state l'occasione per la sinistra, soprattutto Pd e Leu, di gridare allo scandalo. La vicepresidente del Senato, Anna Rossomando: «Il governo del cambiamento ha cambiato la trama di Robin Hood, si toglie ai poveri per dare ai ricchi». E il presidente dem, Matteo Orfini di rincalzo: «Finalmente ha detto la verità: è giusto che i ricchi paghino meno dei poveri». Il virgolettato è una forzatura, tant'è che il leader del Carroccio ha tenuto a precisare di aver sostenuto che tutti pagheranno di meno e chi è più ricco avrà più benefici e soldi, in termini assoluti, da reinvestire in Italia. Traduciamo. «Vanno rafforzate le aziende piuttosto che sostenuti i consumi, perché se le aziende pagano meno tasse, investono di più, assumono di più e riescono anche a pagare meglio i dipendenti». La frase è tratta da un'intervista di Arthur Laffer rilasciata a Repubblica a maggio del 2017. Il famoso economista ha usato anche un interessante termine: trickle down economy. In italiano, l'economia dello sgocciolamento. Ovvero l'effetto cascata, con un insieme di aziende forti e di individui più ricchi qualcosa che «sgocciola» verso gli altri c'è sicuramente. A celebrare il successo della sua teoria, Laffer ha concluso: «Fra l'ottobre 1982 e lo stesso mese dell'anno successivo l'economia americana crebbe del 12%, un record ineguagliato, e per gli otto anni dei due mandati la crescita media è stata del 3,5%». A questo punto i critici risponderanno che Laffer così come Trump e prima ancora Reagan non prevedevano la flat tax. Vero solo in parte. L'ipotesi di applicare due aliquote alle persone fisiche (il contratto prevede 15% e 20%) dimostrerebbe che la teoria di Laffer potrebbe essere essere presa in considerazione anche dal neoministro Giovanni Tria. La sinistra invece continua a ribadirlo: non bisogna tagliare le tasse. E pur di sostenerlo cade in contraddizione. Accusa Giuseppe Conte di essere ostile ai mercati per via dello spread e di essere troppo capitalista e mercatista quando vuole applicare la flat tax. Infatti come in America si potrebbe addirittura sperare che qualcuna delle 35.000 aziende che hanno delocalizzato tornino indietro. Se per portare avanti il progetto bisognerà ridurre il perimetro dello Stato e rivedere le imposte sui consumi, parliamone. Al Paese serve un fisco nuovo e liberale.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





