2018-12-29
La sinistra fa propaganda e gli imbecilli delle curve si trasformano in fascisti
Non c'è ideologia dietro la furia ultrà, però Matteo Renzi e suoi intellò gridano al regime. Gennaro Gattuso li zittisce: «Razzisti? No, solo cretini». Quello del tecnico del Milan è semplicemente buonsenso, una dote che manca a chi oggi - strumentalizzando i fatti e moltiplicando gli effetti delle reazioni psicologiche tirando in ballo fascismo, stivali lucidi e leggi razziali anche oltre la bandierina del calcio d'angolo - fomenta la piazza con l'arma della paura.Quando tutto sembra perduto e ancora una volta stanno per vincere gli esploratori dell'ovvio, entra in tackle Ringhio Gattuso. Liberatorio, decisivo come ai vecchi tempi, capace di restituire un orizzonte di realtà a quello che stava diventando un delirio culturale a sfondo politico, molto politico.Proprio mentre il razzismo sonoro di una piccola parte di San Siro veniva trasformato subdolamente da Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e sodali mediatici come Gad Lerner nel solito allarme contro il fascismo alle porte, ecco Gennaro, calabro-milanese, allenatore del Milan (quindi in teoria contento dei mali dell'Inter) a rimettere le cose a posto con la concretezza che arriva dalla strada.«Davanti agli insulti razzisti anche io come Carlo Ancelotti direi alla squadra di fermarsi, ma quei buuu non sono razzisti, spesso quei versi vengono fatti anche perché Koulibaly fa paura per quanto è forte. Sono imbecilli, ma l'Italia non è un Paese razzista. Voglio anche precisare che non è stato tutto lo stadio a fare quei cori». Il miglior modo di rapportarsi a un tema delicato, liberandolo dai pregiudizi ideologici, guardando la luna e non il dito. Ma è l'ultima frase, come un gol in contropiede o un'imbucata per Pippo Inzaghi, a fare colpo: «Questi episodi purtroppo non si vedono solo da noi. Inutile darsi le martellate sui piedi, succede anche nei Paesi considerati civilissimi». Espresso da un vecchio ragazzo che cominciò a respirare l'aria del grande calcio a Glasgow, sponda Rangers (protestante) - dove le differenze religiose ed etniche sino a qualche tempo fa si regolavano a candelotti di dinamite -, è un pensiero ragionevole e saggio, degno di un filosofo apocalittico nell'era del pensiero unico degli integrati. Ma così integrati da confondersi come ombre al tramonto. E questo non vuol essere un dribbling al razzismo, un colpo di tacco alla violenza ultrà. Lo abbiamo scritto ieri: il problema esiste soprattutto perché chi ha il dovere di far rispettare le leggi (questori, Federcalcio, arbitri, padroni del pallone assortiti) guarda dall'altra parte, minimizza, sottovaluta e ha sempre qualche altra priorità di ordine pubblico da salvaguardare. Oppure si comporta come il coraggioso sindaco di Milano Beppe Sala, che pur avendo sentito i buuu così bene da averli contati, decide di vedersi la partita fino alla fine e poi constata filosofeggiando dottamente che la prossima volta se ne andrà. Con calma. Quello di Gattuso è semplicemente buonsenso, una dote che manca a chi oggi - strumentalizzando i fatti e moltiplicando gli effetti delle reazioni psicologiche tirando in ballo fascismo, stivali lucidi e leggi razziali anche oltre la bandierina del calcio d'angolo - fomenta la piazza con l'arma della paura. Lo ha fatto innanzitutto Renzi buttandola ovviamente in politica e lanciando un anatema contro Matteo Salvini. «La giornata di Santo Stefano doveva essere una novità per il calcio italiano», è partito mellifluo l'ex premier. «Sul modello inglese giocare il giorno dopo Natale avrebbe dovuto portare le famiglie allo stadio e creare un clima di gioia e serenità. È accaduto esattamente l'opposto. Per risolvere il problema della violenza fisica e di quella verbale è sceso in campo il ministro dell'Interno, Salvini che ha promesso di convocare i tifosi a un tavolo al Viminale. Se vuole essere utile il ministro Salvini deve recuperare credibilità. I cori razzisti fanno schifo sempre e Salvini dovrebbe ricordarlo visto che qualche anno fa quei cori li intonava lui, contro i napoletani. Chi ha condanne per droga e per violenza va isolato, non abbracciato come ha fatto invece Salvini qualche settimana fa». Sulla stessa lunghezza d'onda Gentiloni: «Ora tutti a condannare le bande di ultrà, i loro cori razzisti, le aggressioni, la violenza contro le forze dell'ordine. Bene. Peccato che il ministro dell'Interno era andato a omaggiarli, questi ultrà, appena dieci giorni fa».È il tentativo squallido di accreditare il razzismo di Stato, come lo ha definito il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. E di far passare per marginale la violenza cieca delle curve (infiltrate da teppismo da strada e criminalità organizzata) che oggi non hanno bisogno di un'ideologia per esprimere il loro nichilismo. Il riflesso pavloviano non poteva non coinvolgere gli opinionisti più schierati come Lerner, inutilmente interista, il quale prende spunto dalla notte da incubo a San Siro per dare la colpa al governo Conte. E si esibisce in una improbabile lezione di antropologia fuori dal tempo. «Quest'odio così ostentato contro i meridionali non c'era quando ero giovane: è un sottoprodotto culturale del leghismo. Prima serpeggiava ma non si poteva proclamare a voce alta, ora invece ha trovato i suoi paladini politici che ne hanno fatto un linguaggio pubblico. Se questi gruppi non avessero questo tessuto di complicità e questa capacità di ricatto anche nei confronti delle squadre di calcio, sarebbe molto semplice debellarli come è successo in Inghilterra. In Italia però ci sono i razzisti al governo. E abbiamo un ministro degli Interni ultrà». I razzisti al governo, non gli sembrava vero. Mentre lo diceva gli sembrava di palleggiare su una nuvola con la fantasia di Alvaro Recoba. Poi è arrivato Gattuso a spazzare via lui e la sua accidia. Niente fallo, solo applausi.
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