2022-10-01
«Repubblica» inorridisce: sono tornati abbracci, cene e persino le elezioni
La lagna sul giornale vedovo della pandemia: «Rimozione troppo veloce, nelle chiese riempiono le acquasantiere». E, soprattutto, Mattarella non ha potuto impedire il voto.«Dopo un breve esitazione, si è ripreso a stringersi la mano». Poffarbacco che choc. Che notizia allarmante. Avanti di questo passo, signora mia, dove andremo a finire? Se oggi ci si stringe di nuovo la mano, domani non è che qualcuno penserà di potersi pure abbracciare? Cosa dice? Che c’è qualcuno che lo fa già? Si abbracciano? Possibile? E chi si abbraccia, di grazia? «Tra parenti»? Davvero? E perfino «tra amici»? E non mi dica che si abbracciano pure i «conoscenti»? Sì? Pure i conoscenti? Ma allora è proprio la catastrofe. Perché anziché tirarsi un pugno sul naso, che sarebbe così salutare, si abbracciano? Sono forse impazziti? Non potrebbero strangolarsi a vicenda? Che farebbe tanto bene? O prendersi a testate? O meglio ancora tirarsi dei piatti in testa rispettando il distanziamento sociale? Devono proprio abbracciarsi? Pare che ci sia persino qualcuno che «torna a baciarsi sulle guance» alla fine di una cena in compagnia. Un punto di non ritorno, si capisce. Mica come quei tempi fortunati in cui i baci sulle guance erano proibiti. E le cene in compagnia pure. Pandemia canaglia. Immaginiamo lo sgomento del giornalista e scrittore Gabriele Romagnoli nel raccogliere le notizie che lo hanno portato a vergare il suo irresistibile pezzo sulla Repubblica di ieri: «Cosa resta dell’emergenza», si chiede il quotidiano. E la risposta è: purtroppo poco o nulla. «Baci, abbracci, buffet. L’irresistibile leggerezza dopo due anni di pandemia», strilla il titolo. E spiega: «Dicevamo: niente sarà più come prima. E invece tutto o quasi è tornato come prima». Lo vedete a volte com’è la sfortuna? Colpisce quando meno te l’aspetti. «È tornato tutto come prima». Che schifo. Eravamo tutti convinti di poter rimanere chiusi in casa per il resto dei nostri giorni, invece, macché: le gabbie si sono aperte. Ora è consentito persino fare «cenoni e buffet, code e strusci». Non era meglio continuare a cibarsi in perfetta solitudine facendosi portare la pizza a domicilio (quella che arriva fredda e con la mozzarella tutta rovesciata sul cartone)? Non era meglio rimanere chiusi in casa? Che cos’è quest’ansia di organizzare cenoni? Per poi stringersi le mani o baciarsi sulle guance come si è fatto da sempre? Che cos’è questa voglia di normalità? Questa voglia di dimenticare? E poi così in fretta? Il «processo di rimozione», spiega Repubblica, è «più veloce del previsto». Solo due anni e mezzo. Ma vi pare? Insomma: non potevamo stare senza baciarci almeno per qualche decennio? Gabriele Romagnoli, con questo suo memorabile scritto, va a inserirsi di diritto nel filone del mascherinismo crepuscolare, nota corrente letteraria che già ha dato alla luce opere eccellenti. Si ricordano alcuni capolavori usciti proprio nel momento in cui venne rimosso l’obbligo di indossare il bavaglio all’aperto. «Ne avremo nostalgia», scrisse allora Massimo Recalcati. «Rimpiangerò quei visi coperti», ribadì Caterina Soffici. «Nel momento in cui cessa di essere un obbligo la mascherina diventa un ricordo e un rimpianto», confermò Massimo Gramellini. «Da domani non sarà più obbligatoria sui mezzi pubblici», aggiunge ora Romagnoli, tutto mesto, inorridendo di fronte al fatto che «si cerca di archiviare il Covid» e «per farlo si abbassa il simbolo dell’intera vicenda». Pensa un po’, questi sciagurati di italiani: anziché essere felici di convivere con il Covid, con mascherine, limitazioni, restringimenti sociali, obblighi e divieti, sono felici di tornare a vivere. Come prima. Senza nemmeno quella nostalgia, anzi, pandemia canaglia, che ti prende con un Gabriele di paglia e un incendio che non vuoi spegnere mai. Ma vi rendete conto? L’articolo è un susseguirsi di notizie spaventose. «Prenderemo aerei e treni tutti insieme». «La vita pubblica si riaffolla». «Se ne andrà anche il green pass». Il green pass, capite? Roba da matti: andare al lavoro senza tessera, proprio ora che tutti gridano al ritorno del fascismo. Com’è possibile? E non è tutto. Ci saranno pure «resse» (e fin qui passi) ma pure «messe» (che per la verità ci sono già, ma non diteglielo a Romagnoli se no potrebbe rimanerci male) e per di più «tornerà a riempirsi l’acquasantiera». Un vero scandalo. Roba da scriverci un bel libro: I bei tempi delle acquasantiere vuote. Quelli in cui anche per entrare in chiesa dovevi farti il segno di croce con il gel disinfettante: chi è che non ha nostalgia di quei tempi là? Che tristezza esserne fuori. Pensate che, per il dispiacere del giornalista di Repubblica, ora si è tornati perfino a votare: «File ai seggi, schede passate di mano in mano senza remora, calche mediatiche nelle sedi dei partiti». Un orrore in pratica. Mica come quel periodo felice in cui Mattarella «sconsigliava le elezioni per la necessità di fronteggiare l’emergenza sanitaria». Pandemia canaglia: se fosse durata ancora un po’, poteva spazzare via definitivamente l’impiccio di dover votare. La seccatura della democrazia. Che è sempre una cosa fastidiosa, figurarsi quando vince Giorgia Meloni. Per fortuna il ritorno alla normalità, oltre a tante cose brutte come le strette di mano, gli abbracci, i baci, i buffet, l’acqua santa nell’acquasantiera e le elezioni, porta anche qualcosa di positivo. E di questo, con onestà intellettuale, Romagnoli dà conto in mezzo all’overdose di nostalgia. Per esempio, sembra sollevato nell’annunciare il ridimensionamento delle virostar («sia pace ai virologi») e il tramonto di film e libri dedicati al Covid. Su questo non potremmo che essere d’accordo con lui: sulle virostar si sa come la pensiamo. E film e libri dedicati al Covid sono davvero brutti. Ma brutti tanto. Tanto che a vederli viene da piangere. A differenza di certi articoli dedicati al Covid che a leggerli viene solo da ridere.
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)