2022-04-28
«La propaganda non è da una parte sola: il dubbio è un dovere»
Esce oggi in tutte le librerie il nuovo libro di Toni Capuozzo, Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi (edito da Signs Publishing). Dall’8 maggio, inoltre, i lettori della Verità avranno la possibilità in esclusiva di acquistare sul sito Laverita.info la versione ebook del volume, al prezzo scontato di 6,90 euro. Le prenotazioni sono già aperte, attraverso l’indirizzo mail: ebook@laverita.info.Il nuovo libro di Toni Capuozzo, in uscita oggi per Signs Publishing, si intitola Giorni di guerra. In effetti, seppure in modo particolare, sono stati giorni di guerra anche per l’autore, criticato in modo feroce per aver osato svolgere il suo lavoro. «Ho le spalle larghe, non è che tutto quello che è successo mi abbia spaventato o amareggiato eccessivamente», dice Capuozzo. «Un po’ mi ha sorpreso, però. Credo che i dubbi, soprattutto quando si è sull’orlo della guerra, siano preziosi, anche solo per interrogarsi e capire dove si sta andando. In circostanze come quelle attuali, a mio avviso, il dubbio dovrebbe essere una specie di esercizio collettivo. Altrimenti si rischia di subire scelte altrui senza mai chiedersi perché vengano prese. A dirla tutta, una cosa mi ha amareggiato di più». Quale?«Qualcuno ha scritto “Capuozzo dice fake news”. Ho posto solamente delle domande, molte delle quali sono rimaste senza risposta. Le domande non sono news, tanto meno “fake news”, come ha scritto ad esempio Il Foglio».Anche Aldo Grasso l’ha attaccata. «Grasso ha esercitato la sua critica televisiva su un documentario che ho fatto su Sarajevo e ha dovuto aggiungere: “Peccato che però Capuozzo abbia firmato una lettera di vecchi corrispondenti di guerra…”».Si riferiva alla lettera aperta, firmata da alcuni colleghi di grande esperienza, contro la «propaganda di guerra». «Sì. Ma che cosa sono io, un allenatore di calcio che deve avere il permesso per tornare a giocare a Donetsk? Mi ha sorpreso il conformismo, anche se non è del tutto una novità. È come se ci fosse una chiamata a raccolta di tutte le energie per squalificare chi la pensa diversamente, per additarlo come filoputiniano o come traditore della patria nell’ora più buia… Tutto questo secondo me fa parte di un’escalation. Dovremmo riflettere se sia giusto dire cose come “volete la pace o il condizionatore”. Quando la von der Leyen dice che “l’Ucraina deve vincere”, dovremmo domandarci che cosa significhi “vincere”. Ma, appunto, chi si pone queste domande risulta scomodo». Perché c’è stata tanta aggressività nelle accuse? Colpa dell’ideologia?«Secondo me è un segno di debolezza. C’è un’intera classe politica che è allineata su queste posizioni, compresa l’opposizione. Tutto il Parlamento è schierato, e così l’informazione cosiddetta mainstream. Ma sanno di non essere in maggioranza nel Paese, anche perché gli italiani non vanno mai volentieri in guerra. Sanno di essere in minoranza: c’è un pensiero unico minoritario e solitario che passa dalle prime pagine di Repubblica e del Corriere della Sera e attraverso le parole dei conduttori». Avanzerebbe di nuovo dei dubbi su quanto accaduto a Bucha? «Sì, sicuramente. C’è una propaganda russa, secondo me anche ingenua, rivolta soprattutto all’opinione pubblica russa, non all’estero. Ma è evidente che ci sia anche una propaganda ucraina, dietro cui c’è un apparato evidentemente non ingenuo. Si vede nei discorsi e nell’immagine di Volodymyr Zelensky. Pensate davvero che non ci sia qualcuno a Kiev che studia come offrire una lettura della guerra utile ai suoi interessi? C’è di sicuro. Ecco che porsi delle domande non è qualcosa di eccentrico, ma diventa un dovere. Dobbiamo chiederci chi ha lanciato un missile, chi ha attaccato le stazioni, chi erano quei morti, perché avevano un bracciale bianco, che cos’è andata a fare la squadra speciale della polizia guidata da un nazista a caccia di sabotatori… Credo sia dovere di ogni giornalista approfondire, allo stesso modo su tutti i fronti».Si dice che i russi abbiano commesso violenze sessuali, separato bambini dalle madri, attaccato ospedali: quanto di tutto questo è propaganda?«In guerra nessuno ha i guanti bianchi. La Nato oggi recita la parte dell’arciere bianco in difesa di donne e bambini, io mi ricordo donne e bambini morti a Belgrado per le bombe della Nato. Mi ricordo bombe su convogli di profughi kosovari. Il presidente del Consiglio, allora, era Massimo D’Alema e la stampa non era particolarmente severa nell’indagare quei crimini. Il sottosegretario alla Difesa era Sergio Mattarella, lui forse ricorda ciò che accadde… Io di guerre ne ho viste tante, e posso dire che purtroppo è normale che, specie la parte più debole, si mescoli con i civili. Magari c’è uno che si mette a sparare da un edificio in cui ci sono anche civili, così da provocare fuoco di risposta. In questo modo restano i civili uccisi, e si può dire “visto l’avversario crudele che uccide i civili?”». Chiaro.«Queste cose sono pane quotidiano nelle guerre. Per quanto riguarda gli stupri, sono convinto che ci siano stati, come in tutti i conflitti, soprattutto dove non ci sono solo eserciti professionali, ma soldati che hanno diritto di saccheggio. I liberatori di Auschwitz, benedetti nella Storia, gli uomini dell’Armata rossa, quanti milioni di donne tedesche hanno stuprato? I francesi marocchini alleati che risalivano l’Italia e che avevano combattuto a Cassino contro i tedeschi, quante donne hanno stuprato?». Tante: le vittime delle marocchinate. «Quando gli stupri sono migliaia o si parla di stupro programmato come avvenne in Bosnia, devono venire fuori i numeri, le prove, le persone. Ho letto l’intervista a un dirigente ucraino che parlava di una ventina di stupri. Anche uno sarebbe troppo e insopportabile, ovviamente, ma le denunce dei crimini di guerra devono essere molto più circostanziate. Vorrei citare il Guardian, che non mi sembra un giornale filorusso. Ebbene, sta facendo luce su una serie di morti a Bucha che sono stati colpiti da proiettili ucraini. Il punto è che una volta che una guerra inizia, accadono anche queste cose. Credete che Barack Obama, Nobel per la pace, non porti sulla coscienza un bel numero di civili afghani morti?». Il problema è che qui non si capisce bene quale sia il reale obiettivo della guerra. «Questo è il punto. Quando Josep Borrell dice che questa è una guerra che si perde o vince sul campo, a che cosa si riferisce? Qual è lo scopo finale? Che Kiev non venga assediata? Che il governo eletto dagli ucraini resti in piedi? Oppure gli ucraini vogliono riprendere il controllo dei territori delle repubbliche secessioniste su cui non hanno il controllo da otto anni? O ancora vogliono riprendersi la Crimea? Se questa prospettiva è ciò che si intende per vittoria, dobbiamo sapere che ci stiamo imbarcando in una guerra in cui le armi non basteranno mai. Se pensiamo che la sovranità dell’Ucraina su quelle terre simboleggi la difesa della libertà e della democrazia in Europa, allora dobbiamo sapere che corriamo consapevolmente il rischio di una guerra lunga, dal perimetro molto incerto. Qui non parliamo di una guerra contro le milizie dell’Isis o i talebani, ma di una guerra contro un avversario che ha un arsenale atomico». Quanto può durare la guerra? «Dico questo. Quando si dice che ci sono 3.000 americani in queste zone dell’Ucraina, è facilmente intuibile che siano specialisti dell’esercito Usa o delle Sas, che hanno firmato una lettera di dimissioni pro forma il giorno prima di partire, lasciando le insegne ufficiali. Uomini che sono sul campo in veste di consiglieri. In Vietnam è cominciata così, con la presenza dei consiglieri americani…». Che idea si è fatto delle esplosioni in Russia e Transnistria?«O uno pensa che se le siano fatte da soli, o che ci sia una opposizione armata in Russia, oppure sono colpi ben assestati con missili balistici. Cioè cose che gli ucraini fino a poco fa avevano dimostrato di non saper fare. Dunque ci deve essere qualcuno che li affianca nel lavoro e nella progettazione di queste incursioni, è evidente che c’è un assessment di qualche forza armata più preparata degli ucraini da questo punto di vista. Qui però si ritorna al punto precedente». Ovvero?«Quello che manca davvero, qui, è una visione. Ci dicono che Joe Biden si sia fatto balenare la vittoria davanti agli occhi, ma senza dirci che cosa voglia dire vincere. Vladimir Putin può perdere, lo si può logorare, ma la domanda è: chi dopo Putin? Non è un Gheddafi che viene ucciso in un sottopasso e pazienza se la Libia diventa un non Stato. La Russia è un Paese con un arsenale atomico: c’è qualcuno a Washington o a Londra che pensa a chi potrebbe guidarla dopo Putin, o si accontenteranno di mortificarlo? Manca totalmente una visione. Bush ha combinato guai in tutto il mondo, ma aveva un’idea, che era quella dell’esportazione della democrazia, si capiva dove volesse andare. La mia sensazione è che America e Europa, oggi, tirino avanti giorno dopo giorno. Prima erano solo armi difensive, poi bisogna dargli qualcosa di più, poi i razzi anti carro, poi i missili dismessi dal patto di Varsavia… Di cosa ci sarà bisogno tra un mese, due mesi? Qualcuno dice che la guerra durerà fino all’anno prossimo, ma di che cosa ci sarà bisogno il prossimo autunno quando le sanzioni peseranno anche su di noi?».E soprattutto: come reagirà Putin? «Putin non mi è mai piaciuto, ma non l’ho mai ritenuto un pazzo. Ho sempre creduto fosse un autocrate che voleva restaurare le sfere di influenza dell’Urss, e penso anche che sia un avversario pericoloso. Oltretutto non deve fare i conti con dibattito parlamentare e una vera opposizione».Qui però si continua a dire che sia pazzo.«Se io penso che il mio vicino sia un pazzo, e so che possiede un’armeria, se organizzo un party alle 3 di notte con musica a tutto volume e gli vado pure a suonare il campanello per stuzzicarlo, scusate ma il pazzo sono io». L’obiettivo di Putin qual è secondo lei?«Credo punti a tenersi a pieno titolo la Crimea e a ottenere l’indipendenza delle repubblichette del Donbass, con Mariupol e il corridoio di terra che le collega. Bisognerà anche vedere se Zelensky, dopo essere stato leader di battaglia, sarà anche leader di governo, accettando compromessi e facendoli accettare ai suoi».