
Oggi si vota per l'autorizzazione a procedere contro il ministro dell'Interno. Nel M5s, che era dato per diviso, in realtà è larga la maggioranza che salverà il leader leghista: fermare i clandestini è «interesse nazionale». Grillini dissidenti a rischio espulsione. A furia di trappole e agguati vari, diventeranno tutti salviniani. A metà pomeriggio, nell'aula del Senato che oggi dovrà decidere sull'autorizzazione a procedere contro il ministro degli Interni per il caso Diciotti, il vicepresidente del Gruppo per le Autonomie, Dieter Steger, sbotta con i colleghi di M5s: «Ma dài, anche questa roba di oggi organizzata da Casarini mica è normale, proprio il giorno prima del voto sulla Diciotti…». I grillini su questo sono divisi a metà: molti credono che la nave Mare Jonio sia passata ieri da Lampedusa in cerca di assistenza assolutamente per caso, ma sono tanti anche quelli che la pensano come il collega della Svp e intravedono una provocazione a orologeria. Sia come sia, resta il fatto che i senatori a 5 stelle che oggi potrebbero votare contro Matteo Salvini rischiano di essere non più di quattro o cinque, con tanti saluti alle varie elucubrazioni di questi mesi su una presunta «ala sinistra» del Movimento. Se alla fine andrà così, con Elena Fattori, Paola Nugnes e un paio di altri senatori sparsi, pronti a mandare il leader del Carroccio sotto processo per sequestro di persona, davvero si capisce poco il pathos che lunedì è stato creato da Stefano Patuanelli. Il capogruppo grillino a Palazzo Madama sa perfettamente che dopo il voto della famosa base attraverso la piattaforma Rousseau, largamente favorevole a Salvini, la partita è chiusa anche per i «portavoce» al Senato. E tuttavia alla vigilia del voto ha voluto fare la faccia feroce e ha ribadito quello che tutti sanno: «Il rispetto del voto online degli iscritti è uno dei principi fondanti del M5s. Per questo se ci dovessero essere delle votazioni difformi da come si è espressa la maggioranza degli iscritti non potrò fare altro che segnalarli al collegio dei probiviri». Una parola, «probiviri», che di solito in Italia non fa paura a nessuno, ma con i pentastellati non si può mai sapere. Anche Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri in quota M5s, in passato seguace di Alessandro Di Battista e deputato europeo con vasta esperienza su questi temi, sta bene attento a metterla solo sul piano umanitario. A Omnibus, su La7, Di Stefano sottolinea: «Se ci sono persone in difficoltà saranno aiutate. Si gestirà la vicenda, come si è sempre fatto. Le persone sono state sempre assistite e si è ottenuta la ripartizione tra i Paesi europei, ma ogni nave non può diventare un caso Diciotti». Insomma, basta speculazioni. Del resto anche Luigi Di Maio è stato chiaro. Saranno fatti sbarcare i migranti della Mare Jonio? «Sì, per carità, ma bisogna far rispettare le regole, una Ong italiana non deve permettersi di disobbedire alla guardia costiera libica. Rispetto delle regole, salvataggio delle vite umane, e che non sia un nuovo caso Diciotti». Il fatto è che la pattuglia grillina che ha responsabilità di governo è tutta sulla stessa linea: Salvini magari a volte sbaglia i toni sull'immigrazione, ma che sulla Diciotti si sia comportato perseguendo l'interesse nazionale non c'è dubbio. E quindi non va processato, come del resto aveva proposto la Procura di Catania, poi sconfessata dal Tribunale dei ministri. E «interesse nazionale» è il ritornello che risuonava ieri pomeriggio a Palazzo Madama tra i senatori del Movimento, mentre in Aula il governo riferiva sull'accordo con la Cina, che invece lascia perplessi molti, spaventati all'idea di un'Italia che si collochi sullo scacchiere internazionale come solido alleato di Cina e Russia. Paesi da non demonizzare, certo, ma neppure esempi specchiati di democrazia. La sensazione che si raccoglie tra i deputati di M5s sulla questione della nave Diciotti è che il loro interesse sia, da zero a dieci, non più di due, ma in ogni caso gli aggettivi che ricorrono di più sono: «pretestuosa», «inutile», «montata ad arte». Per far cadere il governo, s'intende. «Dobbiamo implementare il reddito di cittadinanza, controllare che la flat tax che dobbiamo alla Lega non aumenti le diseguaglianze e ci sono cantieri da far ripartire in tutta Italia, Tav a parte», dice tutto d'un fiato un senatore dei più esperti tra i grillini, «e dovremmo dare il destro a Salvini per far cadere il governo su questa trappoletta della Diciotti?». La considerazione non fa una piega e incorpora anche il timore, diffuso nel Movimento, che Salvini abbia la crisi di governo sempre in canna, perché «sta tutto il giorno in giro a comportarsi come se avesse già tutti i voti dei sondaggi, poi viene in Senato e vede che siamo il doppio di loro e quindi si morde un po' le mani». Oggi, comunque, prenderà la parola per primo il presidente della Giunta per le Immunità del Senato, il forzista Maurizio Gasparri, che farà un riassunto della vicenda e illustrerà a tutti i colleghi la proposta votata dall'organo di Palazzo Madama, sulla quale ovviamente l'aula è libera di esprimersi come meglio ritiene. Con Forza Italia e Fratelli d'Italia che voteranno al fianco di Lega e M5s, la partita sembra decisa: Salvini eviterà il processo. E tuttavia non finirà neppure domani, perché anche il premier Giuseppe Conte, il vice Luigi Di Maio e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli sono a loro volta indagati e, nonostante la richiesta di archiviazione della Procura, rischiano di subire la stessa sorte di Salvini con il Tribunale dei Ministri. In serata, Di Maio andava già oltre il voto di domani con i fedelissimi: «questo governo ha costruito uno standard nuovo per gestire i tentativi di sbarco» e non lascerà che ogni singola nave diventi una minaccia per la sua esistenza.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






