2018-05-05
La politica è sempre più debole e così i poteri forti la schiacciano
Ipotesi Alessandro Pajno, presidente del Consiglio di Stato, per un esecutivo del presidente. I grandi burocrati sono storia antica.Alla vigilia della nuova consultazione del capo dello Stato che, in caso di esito negativo, aprirebbe la strada ad un governo «istituzionale» o «del presidente», si fa il nome per Palazzo Chigi di Alessandro Pajno, presidente del Consiglio di Stato. Storico Grand Commis d'Etat da sempre vicino alla sinistra democristiana, Pajno, che è stato nominato al vertice della suprema magistratura amministrativa dal governo di Matteo Renzi, tra l'altro sulla indicazione di una rosa di candidati proposta dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa laddove in precedenza la indicazione fornita a Palazzo Chigi era secca, è stato collaboratore dello stesso Sergio Mattarella e di Rosa Russo Jervolino. È stato anche sottosegretario all'interno nel governo di Romano Prodi.Se fosse effettivamente Pajno il prescelto per un governo istituzionale, rispetto agli altri nomi evocati nei giorni scorsi, da Sabino Cassese, amministrativista, già giudice costituzionale, a Carlo Cottarelli, già commissario alla revisione della spesa, verrebbe di dare ragione ad Angelo Panebianco che nei giorni scorsi, in un editoriale sul Corriere della Sera, aveva fatto intendere che lo stallo dei partiti alla ricerca di una maggioranza di governo si deve alla mancata presenza delle delegazioni dei «poteri forti», identificati nei vertici delle magistrature (ordinaria, amministrativa, costituzionale) e nella dirigenza amministrativa. Quale potere «forte» più forte del presidente del Consiglio di Stato, tra l'altro con il prestigioso curriculum appena ricordato? Sennonché mantengo il mio dissenso rispetto alle analisi del noto politologo bolognese. Perché la tesi che «gli orientamenti di queste tecnostrutture statali sono cruciali» non mi convince. Come il fatto che «può anche formarsi un governo senza la loro benedizione ma in tal caso la sua navigazione sarà inevitabilmente agitata e precaria».Ho scritto anche io più volte del ruolo dei Grand commis accanto a politici «di razza», non solo nella Prima Repubblica, quando a Palazzo Chigi sedevano Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani o Francesco Cossiga. Hanno contato, molto, i capi di gabinetto e degli uffici legislativi, di norma provenienti dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei conti e dall'avvocatura dello Stato. Come i capi dipartimento e i direttori generali nelle più importanti strutture dei ministeri. Ma sempre al servizio «esclusivo della Nazione», come si legge nell'art. 98 della Costituzione, mai andando oltre il loro ruolo. Accanto a politici capaci hanno contribuito spesso in modo determinante ai risultati dell'azione di governo. Tanto che ho più volte scritto che l'insuccesso del governo Renzi in molti settori è stato conseguenza della «rottamazione» di consiglieri di Stato e della Corte dei conti tradizionali collaboratori dei ministri. Segno della debolezza della politica, perché modesti sono coloro che ricoprono cariche pubbliche. Sempre ricordando, come sanno quanti hanno dimestichezza con il diritto, che sono comunque i partiti i quali, in Parlamento e al governo, scrivono le regole dell'amministrazione e della giustizia, i settori nei quali il Paese offre il peggio si sé, una burocrazia asfissiante e inefficiente, un fisco rapace, la mancanza di certezza delle regole. E debolissima è la politica che non riesce, in un momento difficile per il Paese, a trovare la misura di una intesa, comunque la si voglia definire, alleanza, accordo, contratto, capace di dare vita ad un governo sulle cose urgenti da fare, per far fronte alle esigenze dell'economia, magari semplificando qualcuna delle regole assurde che hanno complicato ogni procedimento amministrativo e reso la giustizia, soprattutto civile, una delle maggiori cause di dissuasione ad investire in Italia. All'ultima chiamata riusciranno i partiti, non dico a tornare forti come quando Giuseppe Maranini denunciava la «partitocrazia», ma ad esprimere un qualche senso di responsabilità per dare in governo al Paese?
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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