2022-05-22
La pandemia è stata anche sfruttata per legittimare cambiamenti globali
In risposta al quadro d’emergenza si sono introdotte novità che in futuro potrebbero intaccare la libertà degli individui. L’eccessiva digitalizzazione dell’esistenza, ad esempio, può divenire una forma di controllo.[…] L’epidemia connessa con la diffusione del «Covid-19» ha avuto un forte impatto su molti aspetti della convivenza tra gli uomini. Il contagio è stato prima di tutto un evento di tipo sanitario e già questo lo collega direttamente con il fine del bene comune, di cui la salute fa certamente parte. Nel contempo pone il problema del rapporto tra l’uomo e la natura e ci invita a superare il naturalismo oggi molto diffuso e dimentico che, senza il governo dell’uomo, la natura produce anche disastri e che una natura solo buona e originariamente incontaminata non esiste. Poi pone il problema della partecipazione al bene comune e della solidarietà, invitando ad affrontare in base al principio di sussidiarietà i diversi apporti che i soggetti politici e sociali possono dare alla soluzione di questo grave problema e alla ricostruzione della normalità dopo il suo passaggio. È emerso con evidenza che tali apporti devono essere articolati, convergenti e coordinati. Il finanziamento della sanità, problema che il Coronavirus ha fatto emergere con grande evidenza, è un problema morale centrale nel perseguimento del bene comune. Urgono riflessioni sia sulle finalità del sistema sanitario, sia sulla sua gestione e sull’utilizzo delle risorse, dato che un confronto con il recente passato fa registrare una notevole riduzione del finanziamento per le strutture sanitarie. Connesse con il problema sanitario ci sono poi le questioni dell’economia e della pace sociale, dato che l’epidemia mette in pericolo la funzionalità delle filiere produttive ed economiche e il loro blocco, se continuato nel tempo, produrrà fallimenti, disoccupazione, povertà, disagio e conflitto sociale. Il mondo del lavoro sarà soggetto a forti rivolgimenti, saranno necessarie nuove forme di sostegno e solidarietà e occorrerà fare delle scelte drastiche. La questione economica rimanda a quella del credito e a quella monetaria. Ciò, a sua volta, ripropone la questione della sovranità nazionale, facendo emergere la necessità di rivedere la globalizzazione intesa come una macchina sistemica globalista, la quale può anche essere molto vulnerabile proprio a motivo della sua rigida e artificiale interrelazione interna per cui, colpito un punto nevralgico, si producono danni sistemici complessivi e difficilmente recuperabili. Destituiti di sovranità i livelli sociali inferiori, tutti ne saranno travolti. D’altro canto, il coronavirus ha anche messo in evidenza le «chiusure» degli Stati, incapaci di collaborare veramente anche se membri di istituzioni sovranazionali di appartenenza.Il fenomeno della pandemia da Covid-19 ha senz’altro prodotto una maggiore consapevolezza della necessità di lavorare insieme soprattutto davanti a queste crisi sistemiche. Però ha anche messo in evidenza alcune caratteristiche non condivisibili o preoccupanti circa il mondo di affrontare insieme queste crisi sistemiche.L’emergenza pandemica ha impresso una accelerazione ad alcuni fenomeni che sembrano problematici. Il primo è un nuovo evidente accentramento di potere sia a livello nazionale che internazionale. Si assiste, soprattutto in America Latina ma non solo, a nuove forme di statalismo e di neosocialismo. Il cosiddetto «Modello cinese» viene spesso imitato come possibile risposta alla crisi pandemica. A livello globale pure si è verificato una tendenza ad un accentramento, comprensibile da un lato perché il fenomeno da tenere sotto controllo era globale, ma dannoso dall’altro perché c’è stata come una grande esercitazione per il controllo centralizzato dei movimenti delle persone, la sospensione delle garanzie di libertà, la prevalenza del potere esecutivo sul legislativo e sul giudiziario, l’appello interessato agli «esperti», la diffusione di una narrazione politica stabilita dal potere. Durante la pandemia si sono sperimentate forme di controllo e sorveglianza sociale che potrebbero essere impiegate in futuro in altri campi diversi da quello sanitario. È stata anche implementata la regola dei «crediti sociali»: se non assumi un certo comportamento non puoi usufruire di questo o quell’altro benefit sociale. Certamente la pandemia ha aumentato la sensibilità ai problemi comuni, ma ha anche alimentato forme di individualismo, di contrapposizione, di squalificazione reciproca, di delazione, di emarginazione sociale. Ne usciamo più consapevoli della necessità di aprirci alla collaborazione, ma anche più sospettosi gli uni degli altri e anche rispetto alle autorità siano esse politiche che sanitarie. La pandemia è stata qualificata come una grande «emergenza», e realisticamente lo è stata. Però non si può negare che essa sia anche stata utilizzata per legittimare cambiamenti globali che senza di essa sarebbe stato difficile far accettare. Può quindi aver costituito un precedente e in futuro nuove emergenze potrebbero essere artificialmente prodotte proprio per giustificare cambiamenti strutturali. È questo un pericolo che dobbiamo tenere in conto. L’emergenza ecologica, l’emergenza demografica, l’emergenza energetica, una nuova emergenza sanitaria … domani potrebbero indurre a nuovi «Reset». Uno di questi cambiamenti mi preme qui portare alla vostra attenzione: la transizione digitale. La digitalizzazione della vita quotidiana - dalla burocrazia all’economia alla finanza - costituisce certamente un fattore di progresso ma presenta anche il pericolo di fornire le basi tecnologiche per un sistema di controllo molto diffuso e pervasivo. La questione dei Big Data non è di secondaria importanza. La necessità di controllare i movimenti delle persone durante la pandemia - legittima entro certi limiti - è stata sviluppata come invito ad una transizione digitale che interesserà anche altri campi ed altri movimenti e finirà per riguardare la vita intera delle persone. Tra l’altro con il consenso dei cittadini, dato che essi sono impauriti dall’emergenza e quindi concedono al potere politico un raggio di azione più ampio di quanto non concederebbero in situazione normali. Molti fenomeni innescati dalla pandemia vengono indirizzati ad una globalizzazione intesa come globalismo. Si parla di creare una società di non-possidenti, con l’abolizione della proprietà privata sostituita da uno sharing universale senza chiarire chi avrà la proprietà delle cose da condividere. Si prospetta una ideologia ambientale globalista antinatalista ed antifamilista. Si vorrebbe creare una religione universale priva di dogmi e che consiste in «buone pratiche» sociali che però non si sa chi le debba stabilire.