[…] L’epidemia connessa con la diffusione del «Covid-19» ha avuto un forte impatto su molti aspetti della convivenza tra gli uomini. Il contagio è stato prima di tutto un evento di tipo sanitario e già questo lo collega direttamente con il fine del bene comune, di cui la salute fa certamente parte. Nel contempo pone il problema del rapporto tra l’uomo e la natura e ci invita a superare il naturalismo oggi molto diffuso e dimentico che, senza il governo dell’uomo, la natura produce anche disastri e che una natura solo buona e originariamente incontaminata non esiste. Poi pone il problema della partecipazione al bene comune e della solidarietà, invitando ad affrontare in base al principio di sussidiarietà i diversi apporti che i soggetti politici e sociali possono dare alla soluzione di questo grave problema e alla ricostruzione della normalità dopo il suo passaggio. È emerso con evidenza che tali apporti devono essere articolati, convergenti e coordinati. Il finanziamento della sanità, problema che il Coronavirus ha fatto emergere con grande evidenza, è un problema morale centrale nel perseguimento del bene comune. Urgono riflessioni sia sulle finalità del sistema sanitario, sia sulla sua gestione e sull’utilizzo delle risorse, dato che un confronto con il recente passato fa registrare una notevole riduzione del finanziamento per le strutture sanitarie. Connesse con il problema sanitario ci sono poi le questioni dell’economia e della pace sociale, dato che l’epidemia mette in pericolo la funzionalità delle filiere produttive ed economiche e il loro blocco, se continuato nel tempo, produrrà fallimenti, disoccupazione, povertà, disagio e conflitto sociale. Il mondo del lavoro sarà soggetto a forti rivolgimenti, saranno necessarie nuove forme di sostegno e solidarietà e occorrerà fare delle scelte drastiche. La questione economica rimanda a quella del credito e a quella monetaria. Ciò, a sua volta, ripropone la questione della sovranità nazionale, facendo emergere la necessità di rivedere la globalizzazione intesa come una macchina sistemica globalista, la quale può anche essere molto vulnerabile proprio a motivo della sua rigida e artificiale interrelazione interna per cui, colpito un punto nevralgico, si producono danni sistemici complessivi e difficilmente recuperabili. Destituiti di sovranità i livelli sociali inferiori, tutti ne saranno travolti. D’altro canto, il coronavirus ha anche messo in evidenza le «chiusure» degli Stati, incapaci di collaborare veramente anche se membri di istituzioni sovranazionali di appartenenza.
Il fenomeno della pandemia da Covid-19 ha senz’altro prodotto una maggiore consapevolezza della necessità di lavorare insieme soprattutto davanti a queste crisi sistemiche. Però ha anche messo in evidenza alcune caratteristiche non condivisibili o preoccupanti circa il mondo di affrontare insieme queste crisi sistemiche.
L’emergenza pandemica ha impresso una accelerazione ad alcuni fenomeni che sembrano problematici. Il primo è un nuovo evidente accentramento di potere sia a livello nazionale che internazionale. Si assiste, soprattutto in America Latina ma non solo, a nuove forme di statalismo e di neosocialismo. Il cosiddetto «Modello cinese» viene spesso imitato come possibile risposta alla crisi pandemica. A livello globale pure si è verificato una tendenza ad un accentramento, comprensibile da un lato perché il fenomeno da tenere sotto controllo era globale, ma dannoso dall’altro perché c’è stata come una grande esercitazione per il controllo centralizzato dei movimenti delle persone, la sospensione delle garanzie di libertà, la prevalenza del potere esecutivo sul legislativo e sul giudiziario, l’appello interessato agli «esperti», la diffusione di una narrazione politica stabilita dal potere. Durante la pandemia si sono sperimentate forme di controllo e sorveglianza sociale che potrebbero essere impiegate in futuro in altri campi diversi da quello sanitario. È stata anche implementata la regola dei «crediti sociali»: se non assumi un certo comportamento non puoi usufruire di questo o quell’altro benefit sociale.
Certamente la pandemia ha aumentato la sensibilità ai problemi comuni, ma ha anche alimentato forme di individualismo, di contrapposizione, di squalificazione reciproca, di delazione, di emarginazione sociale. Ne usciamo più consapevoli della necessità di aprirci alla collaborazione, ma anche più sospettosi gli uni degli altri e anche rispetto alle autorità siano esse politiche che sanitarie.
La pandemia è stata qualificata come una grande «emergenza», e realisticamente lo è stata. Però non si può negare che essa sia anche stata utilizzata per legittimare cambiamenti globali che senza di essa sarebbe stato difficile far accettare. Può quindi aver costituito un precedente e in futuro nuove emergenze potrebbero essere artificialmente prodotte proprio per giustificare cambiamenti strutturali. È questo un pericolo che dobbiamo tenere in conto. L’emergenza ecologica, l’emergenza demografica, l’emergenza energetica, una nuova emergenza sanitaria … domani potrebbero indurre a nuovi «Reset». Uno di questi cambiamenti mi preme qui portare alla vostra attenzione: la transizione digitale. La digitalizzazione della vita quotidiana - dalla burocrazia all’economia alla finanza - costituisce certamente un fattore di progresso ma presenta anche il pericolo di fornire le basi tecnologiche per un sistema di controllo molto diffuso e pervasivo. La questione dei Big Data non è di secondaria importanza. La necessità di controllare i movimenti delle persone durante la pandemia - legittima entro certi limiti - è stata sviluppata come invito ad una transizione digitale che interesserà anche altri campi ed altri movimenti e finirà per riguardare la vita intera delle persone. Tra l’altro con il consenso dei cittadini, dato che essi sono impauriti dall’emergenza e quindi concedono al potere politico un raggio di azione più ampio di quanto non concederebbero in situazione normali.
Molti fenomeni innescati dalla pandemia vengono indirizzati ad una globalizzazione intesa come globalismo. Si parla di creare una società di non-possidenti, con l’abolizione della proprietà privata sostituita da uno sharing universale senza chiarire chi avrà la proprietà delle cose da condividere. Si prospetta una ideologia ambientale globalista antinatalista ed antifamilista. Si vorrebbe creare una religione universale priva di dogmi e che consiste in «buone pratiche» sociali che però non si sa chi le debba stabilire.
Arcivescovo di Trieste
L'epidemia connessa con la diffusione del Covid-19 ha un forte impatto su molti aspetti della convivenza tra gli uomini e per questo richiede anche un'analisi dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. [...] Le società erano e sono attraversate da varie forme ideologiche di naturalismo che l'esperienza di questa epidemia potrebbe correggere.
L'esaltazione di una natura pura e originariamente incontaminata di cui l'uomo sarebbe l'inquinatore non teneva e, a maggior ragione, non tiene ora. L'idea di una Madre Terra dotata originariamente di un suo equilibrio armonico con il cui spirito l'uomo dovrebbe connettersi per ritrovare il giusto rapporto con le cose e con se stesso è una sciocchezza che questa esperienza potrebbe dissolvere. La natura deve essere governata dall'uomo e le nuove ideologie panteiste (e non solo) postmoderne sono ideologie disumane. [...]
Il termine «Salus» significa salute, nel senso sanitario del termine, e significa anche salvezza, nel senso etico-spirituale e soprattutto religioso. [...] La lotta al contagio richiede un ricompattamento morale della società in ordine a comportamenti sani, solidali, rispettosi, forse più importante del ricompattamento delle risorse. [...] Serve un profondo ripensamento delle derive immorali della nostra società, a tutti i livelli. [...]
L'epidemia da coronavirus contraddice tutti coloro che hanno sostenuto che il bene comune come fine morale non esiste. Se così fosse, per cosa si impegnerebbero tutte le persone che, dentro e fuori le istituzioni, si danno da fare e lottano? [...] Mentre si lotta per salvare la vita di tante persone, gli interventi di aborto procurato non cessano, né cessano le vendite delle pillole abortive, né cessano le pratiche eutanasiche, né cessano i sacrifici di embrioni umani e tante altre pratiche contro la vita e la famiglia. Se si riscopre il bene comune e la necessità di una corale partecipazione in suo favore nel campo della lotta all'epidemia, si dovrebbe avere il coraggio intellettivo e della volontà di estendere il concetto fino a là dove naturalmente deve essere esteso. [...]
L'esperienza in atto del coronavirus impone di riconsiderare anche i due concetti di globalizzazione e di sovranità nazionale. [...] La globalizzazione presentava fino a ieri i suoi fasti e le sue glorie di perfetto funzionamento tecnico-funzionale, di indiscutibile sicumera circa l'obsolescenza di Stati e nazioni, di assoluto valore della «società aperta»: un unico mondo, un'unica religione, un'unica morale universale, un unico popolo mondialista, un'unica autorità mondiale. Però poi può bastare un virus per far crollare il sistema, dato che i livelli non globali delle risposte sono stati disabilitati.
L'esperienza che stiamo vivendo ci mette in guardia da una “società aperta" intesa in questo modo, sia perché essa si pone nelle mani del potere di pochi, sia perché altre poche mani potrebbero farla cadere in fretta come un castello di carte. Ciò non significa negare l'importanza della collaborazione internazionale che proprio le pandemie richiedono, ma una simile collaborazione non ha nulla a che fare con strutture collettive, meccaniche, automatiche e globalmente sistemiche
L'esperienza di questi giorni ha mostrato un'Unione Europea ancora una volta divisa e fantomatica. Tra gli Stati membri sono emerse dispute egoistiche più che collaborazione. L'Italia è rimasta isolata e lasciata sola. La Commissione europea è intervenuta tardi e la Banca Centrale Europea è intervenuta male. Di fronte all'epidemia ogni Stato ha provveduto a chiudersi in se stesso. Le risorse necessarie all'Italia per fronteggiare la situazione emergenziale, che in altri tempi si sarebbero trovate in proprio per esempio con la svalutazione della moneta, ora dipendono dalle decisioni dell'Unione a cui ci si deve prostrare.
Il coronavirus ha definitivamente mostrato l'artificiosità dell'Unione Europea che non riesce a far collaborare tra loro gli Stati ai quali si è sovrapposta per acquisizione di sovranità. La mancanza del collante morale non è stata compensata dal collante istituzionale e politico. Bisogna prendere atto di questa ingloriosa fine per coronavirus dell'Unione Europea e pensare che una collaborazione tra gli Stati europei nella lotta per la salute è possibile anche fuori di istituzioni politiche sovranazionali. [...]
Il bene comune è di natura morale e, come abbiamo detto sopra, questa crisi dovrebbe indurre alla riscoperta di questa dimensione, ma la morale non vive di vita propria, dato che è incapace di fondarsi ultimamente. Qui si pone il problema della relazione essenziale che la vita politica ha con la religione, quella che meglio garantisce anche la verità della vita politica. L'autorità politica indebolisce la lotta contro il male, come accade anche con l'epidemia in corso, quando equipara le Sante Messe alle iniziative ludiche, pensando che debbano essere sospese, magari anche prima di sospendere altre forme aggregative senz'altro meno importanti. Anche la Chiesa può sbagliare quando non fa valere, per lo stesso autentico e completo bene comune, l'esigenza pubblica delle sante Messe e dell'apertura delle chiese. [...]
Per questo assume un valore particolare quanto affermato da papa Francesco che ha pregato lo Spirito Santo di dare «ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio». [...] L'emergenza dell'epidemia in atto interpella in profondità la Dottrina sociale della Chiesa. Questa è un patrimonio di fede e di ragione che in questo momento può dare un grande aiuto nella lotta contro l'infezione, lotta che deve riguardare tutti i gradi ambiti della vita sociale e politica.
Soprattutto può dare un aiuto in vista del dopo coronavirus. [...] La vita sociale richiede coerenza e sintesi, soprattutto nelle difficoltà, ed è per questo che nelle difficoltà gli uomini che sanno guardare in profondità e in alto possono trovare le soluzioni e, addirittura, le occasioni per migliorare le cose rispetto al passato.



