La Borsa americana si esalta. Giù il Vix, l’«indice della paura». Ma le piazze europee avevano già chiuso la giornata in rosso. Per Piazza Affari perdita del 2,75%.
La Borsa americana si esalta. Giù il Vix, l’«indice della paura». Ma le piazze europee avevano già chiuso la giornata in rosso. Per Piazza Affari perdita del 2,75%.Sono mercati per cuori forti quelli che si vedono in questi giorni sui listini mondiali. Un ottovolante poco adatto per chi ha troppa ansia. Per non farsi male servono calma e sangue freddo. Inciampare e perdere soldi è un attimo. Ieri mattina, infatti, dovevano scattare le nuove tariffe doganali verso tutto il mondo con la punta al 104% nei confronti della Cina. Pechino era pronta a rispondere con controdazi all’84%. Si vende, si vende e si vende ancora come se la finanza mondiale fosse al capolinea. Parigi perde il 3,34%, Francoforte il 3%, dopo essere arrivata ad affondare del 4% durante la seduta, Londra segna una discesa del 2,92%, Milano cala del 2,75%. Si salvano i listini cinesi, che nella notte avevano chiuso la seduta poco sopra la parità nella speranza di maxi stimoli. Parte in verde pallido anche Wall Street. Qualche acquisto ma nulla di impegnativo. Poi il colpo di scena. Post di Donald Trump su Truth intorno alle 19.30 ora italiana: dazi reciproci sospesi per 90 giorni tranne che con la Cina per la quale vengono portati addirittura al 125%. Tutto veloce, tutto imprevisto. Tutto senza precedenti. Wall Street si gira e il Nasdaq sale di oltre il 10%, incamminandosi verso la quarta migliore giornata della sua storia e il guadagno maggiore da ottobre 2008. L’indice di riferimento del mondo tech potrebbe più che raddoppiare il suo precedente record per il maggiore guadagno di punti in un singolo giorno. Tutti titoli verdi, talmente verdi da far male agli occhi. L’indice Vix, altrimenti chiamato l’indice della paura, crolla. Lavora a parametro inverso: sale quando le cose vanno male e precipita se il tempo si rasserena. Ieri dinanzi all’improvvisa schiarita ha perso il 28%. «Grazie a nome di tutti gli americani», scrive su X Bill Ackman, il numero del fondo Pershing square, l’uomo che con un post sull’allora Twitter decise di mettere fine alla svendita del debito americano nell'ottobre 2023. Ed è lo stesso che da due giorni chiedeva alla Casa Bianca di spostare di 90 giorni l’entrata in vigore dei maxi dazi nei confronti del mondo. La sua proposta è passata. E l’euforia soffoca chi fino a poche ore fa vedeva già il mondo in recessione. Si compra a mani basse, come se a un bambino regalassero soldi infiniti per andare alle giostre. Non si compra però tutto tutto. Se recuperano di slancio le azioni e l’oro tornato a quota 3.100 dollari l'oncia, si vendono le obbligazioni a Wall Street. Chi vende? La Cina non ha solo i dazi come arma contro Donald Trump e proprio i Treasury potrebbero essere un possibile mezzo di ritorsione. Questo perché Pechino ha in mano 761 miliardi di dollari di titoli di Stato americani, che equivale a un 2-3% del totale. Dunque l’arma efficace è quella di vendere i Treasury sul mercato, anche perché Trump non può permettersi che i rendimenti continuino a salire, visto che il costo del debito americano ha già raggiunto quota 1,2 trilioni di dollari, addirittura oltre il budget per la Difesa. Deutsche bank, nel pomeriggio, prevedeva in queste ore proprio un intervento, addirittura d’emergenza, della Fed con acquisti di titoli di Stato americani, qualora la turbolenza sul mercato dei bond dovesse continuare. Non solo, secondo le scommesse del mercato, al momento sono oltre il 60% le chance di un taglio dei tassi da parte della Fed a maggio. Se però si vende debito americano, qual è allora il nuovo porto sicuro? La Germania, nonostante abbia votato un paio di settimane fa di aumentare fino a 800 miliardi il debito pubblico. Mentre il rendimento dei titoli del Tesoro Usa a 10 anni sale di oltre 4 punti percentuali al 4,38%, l’omologo Bund tedesco aumenta a circa il 2,6% dopo forti acquisti sul Bund per tutta la giornata. I rendimenti e i prezzi delle obbligazioni si muovono in direzioni opposte, poiché gli investitori pretendono un prezzo più basso sulle obbligazioni e un rendimento più elevato sui prestiti concessi ai governi che ritengono più rischiosi. «Tradizionalmente si sarebbe potuto entrare negli Stati Uniti durante un periodo di volatilità, ma questa è una storia che riguarda solo gli Stati Uniti. La Germania sta beneficiando di una più ampia fuga verso la qualità», ha dichiarato a Cnbc, Ken Egan, direttore senior per i titoli sovrani dell’agenzia di analisi del rating Kbra.
Ansa
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