2021-12-11
La moglie è indagata per caporalato. Si dimette il capo dell’immigrazione
(Antonio Masiello/Getty Images)
La donna intercettata mentre chiedeva lavoratori da impiegare nei campi: pagava 35 euro per sei ore. Le telefonate con lo sfruttatore per evitare problemi dopo i controlli e il trucco del bonifico gonfiato.La storia è tristissima e paradossale. A Manfredonia, in Provincia di Foggia, c’è una baraccopoli con circa 2.000 migranti provenienti dal vicino Cara. Gente sfruttata come manodopera agricola nei campi, come emerge dall’ultima inchiesta sul caporalato della Procura foggiana. I contratti nazionali di lavoro sono carta straccia e i suddetti giovanotti vengono pagati 5,70 euro all’ora o 5 euro a cassone riempito di pomodori per lavorare senza protezioni o regolari contratti. Ferie, straordinari e riposi sono chimere. Unica concessione, una breve pausa pranzo. Nel fascicolo, che ha portato a 16 misure cautelari per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, si trovano racconti di braccianti costretti a turni di 13 ore.Nell’operazione dei carabinieri della Compagnia di Manfredonia e dal Nucleo Ispettorato del lavoro di Foggia sono stati arrestati due caporali africani, il trentatreenne gambiano Bakary Saidy e il senegalese Kalifa Bayo (32), entrambi domiciliati nel Cara di Manfredonia. Si facevano pagare 5 euro da ogni bracciante trasportato su mezzi di fortuna sul posto di lavoro. Quattordici imprenditori italiani sono finiti sotto inchiesta in quanto utilizzatori della manodopera messa a disposizione. Tre sono ai domiciliari. Ma è tra i destinatari dell’obbligo di dimora presso il Comune di residenza e di presentazione alla polizia giudiziaria (11 imprenditori) che arriva la sorpresa: c’è anche la cinquantacinquenne Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del prefetto Michele Di Bari, sino a ieri capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione al ministero dell’Interno. Una volta uscita la notizia, Di Bari ha presentato le dimissioni e il ministro Luciana Lamorgese le ha prontamente accettate. L’ex prefetto di Reggio Calabria era arrivato al Viminale nel 2019 con Matteo Salvini ministro, ma i fatti contestati sono accaduti tra luglio e ottobre 2020. Di Bari coordinava sette direzioni centrali e altri uffici ministeriali incaricati di politiche dell’immigrazione e di asilo e relativi servizi civili, di cittadinanza e minoranze. Insomma Di Bari guidava il quartier generale che doveva regolare la convivenza tra extracomunitari e cittadini italiani, mentre la moglie era intercettata dai carabinieri in un’inchiesta a caccia di sfruttatori di quegli stessi migranti. Il marito entrava in ufficio per risolvere i problemi dei più sfortunati e la moglie li ingaggiava, secondo l’accusa, per farli sgobbare a prezzi irrisori. Da una parte il marito incontrava il cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, anche per la sua veste di consigliere di amministrazione di Casa Sollievo della Sofferenza di Pietrelcina, dall’altra nei possedimenti della moglie, all’arrivo degli investigatori, iniziava il fuggi fuggi tra gli ulivi dei lavoratori senza regolare permesso di soggiorno.Nella sua ordinanza il Gip Margherita Grippo rivolge all’azienda della donna accuse durissime. L’impresa avrebbe sfruttato «decine di lavoratori di varie etnie» senza rispettare le norme «sulle condizioni di lavoro» e «approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano in abitazioni fatiscenti». La paga di 35 euro per sei ore viene liquidata dal giudice: «Tale somma risulta palesemente difforme alle tabelle del contratto collettivo Nazionale che preveda una somma netta di euro 50.05 per ora per 6 ore e mezza di lavoro». Sul sito Olio del Gargano la presentazione dell’azienda agricola della famiglia Bisceglia, che produce olio, marmellate, sottoli e succhi di frutta, è quasi lirica: «Insieme alle mie due sorelle abbiamo deciso di portare avanti ciò che abbiamo ereditato dalla nostra famiglia: l’amore per la terra. Uliveti e frutteti sorgono intorno alla nostra masseria dal 1857. Oggi ci siamo noi a sfiorare quei frutti con le mani», scrive Antonella, socia di Rosalba e Maria Cristina. Ma per la Procura di Foggia una delle tre sorelle, Rosalba appunto, avrebbe utilizzato uno dei caporali, Saidy, arrestato ieri, per raccogliere quei frutti. Caporale di cui avrebbe ben conosciuto il ruolo, sostiene la Grippo, quando motiva la misura cautelare per la donna e per il quasi omonimo (ma non parente) Matteo Bisceglia, «gestore degli operai» impegnati nell’azienda. «È emerso che la Livrerio Bisceglia ha impiegato per oltre un mese braccianti reclutati da Saidy al quale ella si è rivolta direttamente» scrive il giudice. E la donna sarebbe stata «consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento, nella misura in cui si rivolge ad un soggetto, quale il Saidy, di cui non può non conoscersi il modus operandi». L’indagata «dispone del numero di telefono del Saidy e lo chiama, si preoccupa, dopo i controlli, di compilare le buste paga, chiama Saidy e non i singoli braccianti per dirgli come e perché si vede costretta a pagare con modalità tracciabili e concorda, tramite Matteo Bisceglia, che l’importo della retribuzione sarà superiore a quella spettante e che Saidy potrà utilizzare la differenza per pagare un sesto operaio che, evidentemente, ha operato in nero». Dialoghi che «costituiscono dati univoci del ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita di impiego della manodopera reclutata dal Saidy, in quanto rivelano preoccupazione e attenzione per la regolarità dell’impiego della manodopera solo successiva ai controlli».Un’ipotesi corroborata da questa intercettazione riguardante un pagamento a un lavoratore senza Iban: «Ci sent...domani mattina noi andiamo in banca… perché l’ispettore del Lavoro mi ha detto che non posso fare in altro modo... non posso dare soldi in contanti… perché c’è stata anche l’ispezione... quindi…» dice la Bisceglia al presunto caporale, prima di raggiungerlo per consegnarli un assegno. In un’altra conversazione la donna chiama il soggetto e lo informa che quattro dei braccianti indicati da Saidy «non sono regolari... non ci sono permessi...». Il caporale porta lavoratori senza permesso, ma la moglie del prefetto non chiude i rapporti. Prova ulteriore degli illeciti sarebbe l’invito fatto da Matteo Bisceglia a Saidy di inviargli «un messaggio nel quale questi deve riferirgli l’orario e le giornate svolte dai braccianti». Per il Gip tale richiesta è «ambigua», poiché «l’azienda dovrebbe già conoscere gli orari e le giornate prestate dai propri dipendenti e non sicuramente devono saperlo da Saidy». Le intercettazioni rivelano che a un bracciante irregolare qualcuno dell’azienda avrebbe detto, in vista di controlli, «di dire a tutti coloro che sono senza documenti di scappare». Cosa che sarebbe accaduta. Per gli inquirenti è la «dimostrazione della piena consapevolezza da parte dell’azienda di essersi servita di personale irregolare». Infine per il Gip, «quanto accertato durante l’ispezione» e le conversazioni intercettate «appaiono indizi univoci e gravi del ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita». La toga ha anche disposto il controllo giudiziario di 10 aziende agricole, con fatturato complessivo di circa 5 milioni, «fino alla completa regolarizzazione di tutti i rapporti di lavoro intrattenuti con stesse ed alla rimozione di tutte le irregolarità riscontrate». Ieri il marito della Bisceglia, il prefetto Di Bari, dimessosi, ha comprensibilmente cercato di difendere la consorte: «Sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità. Insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco