«Repubblica» svela: la Cancelliera ha telefonato a Paolo Gentiloni per sbloccare lo stallo. Tweet dell'ex premier: «Bisogna accelerare». Jean-Claude Juncker esulta: «Conte è il nuovo Tsipras». E il Vaticano benedice: «Strada giusta».Nel turbinio esasperato delle trattative tra Pd e M5s, l'unica cosa certa - per ora - è che, soprattutto all'estero, i poteri che fanno il tifo per un eventuale Conte bis non sono affatto pochi.In prima fila, tra i sostenitori, figura - neanche a dirlo - l'asse franco-tedesco. Secondo quanto riportato ieri da Repubblica, parrebbe che Angela Merkel abbia fatto pressioni sul Pd per far nascere il nuovo esecutivo. «Al Nazareno», ha scritto il quotidiano, «è arrivata anche la telefonata di Angela Merkel, probabilmente sul cellulare di Paolo Gentiloni. Il governo va fatto a ogni costo per fermare i sovranisti, è stato il messaggio della Cancelliera». Non solo non ci sono state smentite. Ma, sempre ieri, lo stesso Gentiloni ha twittato: «Non pretendo uno sprint, ma un'accelerazione gioverebbe. Alle possibilità di risolvere la crisi e soprattutto alla dignità della politica. Aspettando #Rousseau». Del resto, in un'intervista rilasciata a Radio 1 qualche giorno fa, anche Matteo Renzi si era espresso in modo sibillino. Davanti alle accuse di Matteo Salvini che definiva la convergenza tra Movimento 5 stelle e Pd una «manovra dell'Europa», il senatore di Rignano - anziché smentire - si era limitato a dire: «Meglio una manovra dell'Europa, che un finanziamento russo». Plausi al tentativo giallorosso sono poi arrivati anche da alcuni pesi massimi di Bruxelles. Il presidente uscente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, ha fatto i suoi migliori auguri a Giuseppe Conte, definendolo simile all'ex premier greco Alexis Tsipras: colui che da infervorato rivoluzionario si era progressivamente trasformato in fedele esecutore della linea di Bruxelles. Porte spalancate anche dal commissario europeo uscente al Bilancio, Günther Oettinger, che ha definito l'incarico conferito a Conte «uno sviluppo positivo», affermando che l'Unione europea «è pronta a fare qualsiasi cosa per facilitare il lavoro del governo italiano quando entrerà in carica e per ricompensarlo», per poi aggiungere che «ci sarà più spazio per una politica sociale, anche se i socialdemocratici sanno bene che il debito illimitato nell'eurozona è un danno per tutti». Grandi entusiasmi si registrano poi dall'Eliseo. Tanto che, secondo Edward Luttwak, dietro il famoso endorsement digitale di Donald Trump a Conte si celerebbe proprio lo zampino di Emmanuel Macron. «Macron», ha dichiarato il politologo americano, «ha soddisfatto le richieste di Trump al G7, gli ha fatto un grande favore. E Macron ha chiesto a Trump, con i tedeschi e tutti gli europei, di appoggiare la formazione rapida di un governo in Italia». Insomma, era forse dai tempi di Mario Monti che non si vedeva un simile sostegno europeo a un premier italiano.Non è del resto un mistero la profonda ostilità che da tempo caratterizza i rapporti tra la Lega e l'Unione europea a trazione franco-tedesca: sia in termini di politica economica che migratoria. Salvini è infatti un aspro critico dello strapotere incarnato da Francia e Germania a Bruxelles. E, nel suo anno di governo, non a caso ha cercato di sganciare Roma dalla loro orbita, tentando di trovare una sponda con il blocco di Visegrad. Una linea, quest'ultima, inizialmente condivisa anche dal Movimento 5 stelle che, a un certo punto, si è tuttavia schierato con Pd e Forza Italia nell'eleggere la merkeliana Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. È quindi chiaro che Parigi e Berlino nutrano tutto l'interesse a sostenere in Italia un governo giallorosso: un governo costituito, cioè, da forze politiche particolarmente accondiscendenti all'asse franco-tedesco. Il tutto, beatamente in barba alle richieste di rinnovamento espresse dal voto europeo del 26 maggio.Ma i circoli d'Oltralpe non sono gli unici che fanno ponti d'oro a un Conte bis. Anche alcuni settori d'Oltretevere appaiono particolarmente ben disposti verso la nascitura maggioranza. A scendere pesantemente in campo del resto è stata soprattutto la sempre più influente Compagnia di Gesù, con il direttore della Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, che - lo scorso 20 agosto - twittò addirittura una citazione di Conte, in cui il premier criticava Salvini per il suo ricorso ai simboli religiosi. Interpellato poi dalla Stampa alcuni giorni fa sulle possibilità di convergenza tra Pd e Movimento 5 stelle, ha dichiarato: «La Costituzione ha delle regole: bisogna esplorare alternative possibili di governo per evitare il voto. Stanno percorrendo la strada giusta». D'altronde, il padre gesuita non ha mai risparmiato critiche a Salvini, invocando anche «resistenza« contro il decreto Sicurezza bis. Un altro noto gesuita, come padre Bartolomeo Sorge, ha invece recentemente twittato: «Conte premier? Ha mostrato la stoffa, mandando a casa Salvini. Gli rimane, però, l'ombra del collaborazionismo (legge Sicurezza, ecc.). Potrà eliminarla?». Insomma, nell'ultimo anno abbiamo vissuto sotto il regime di Vichy e non ce ne siamo accorti. Conte, dal canto suo, ha mostrato di recepire questo interessamento. Non a caso, ha infarcito il suo discorso d'accettazione di espressioni come «nuovo umanesimo», «libertà religiosa» e «laicità dello Stato»: tanto che non si capisce se punti più al ruolo di novello De Gasperi o di nuovo Maritain. Certo: quello che lascia un po' perplessi è che Sorge e Spadaro aprano a una maggioranza di cui farebbe parte il Pd: una forza politica che ha approvato la legge sulle unioni civili e quella sul biotestamento, contravvenendo esplicitamente ai valori non negoziabili di cui parlava Benedetto XVI. Un po' paradossale, no?
Vincenzo Spadafora ed Ernesto Maria Ruffini (Imagoeconomica)
L’operazione Ruffini, che Garofani sogna e forse non dispiace a Mattarella, erediterebbe il simbolo di Tabacci e incasserebbe l’adesione di Spadafora, già contiano e poi transfuga con Di Maio. Che per ora ha un’europoltrona. Però cerca un futuro politico.
Ma davvero Garofani ha parlato solo una volta? No. Francesco Saverio Garofani, il consigliere per la Difesa del presidente Mattarella, non ha parlato di politica solo una volta. Possiamo dire che solo una volta le sue parole sono uscite. Così, la sua incontenibile fede giallorossa si è avvitata all’altra grande passione, la politica, provocando il cortocircuito.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa durante il governo Renzi (Ansa)
Per 20 anni ha avuto ruoli cruciali nello sviluppo del sistema di sicurezza spaziale. Con le imprese francesi protagoniste.
Anziché avventurarsi nello spazio alla ricerca delle competenze in tema di Difesa e sicurezza del consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani, viene molto più semplice restare con i piedi per terra, tornare indietro di quasi 20 anni, e spulciare quello che l’allora rappresentante dell’Ulivo diceva in commissione.Era il 21 giugno 2007 e la commissione presieduta dal poi ministro Roberta Pinotti, era neanche a dirlo la commissione Difesa. Si discuteva del programma annuale relativo al lancio di un satellite militare denominato SICRAL-1B e Garofani da bravo relatore del programma ritenne opportuno dare qualche specifica.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 21 novembre con Flaminia Camilletti
Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)
I parenti del consigliere hanno investito una fortuna con Gianfranco Lande. Che per prendere tempo li spingeva a fare «condoni» sui capitali.
Francesco Saverio Garofani in questi giorni viene raccontato come il gentiluomo delle istituzioni, il cattolico democratico che ha attraversato mezzo secolo di politica italiana con la felpa della responsabilità cucita addosso. Quello che nessuno racconta è che lui, insieme a una fetta consistente della sua famiglia, è stato per anni nel giro di Gianfranco Lande, il «Madoff dei Parioli». E che il suo nome, con quello dei tre fratelli, Carlo, Giorgio e Giovanna (che negli atti della Guardia di finanza vengono indicati in una voce cumulativa anche come fratelli Garofani), riempie la lista Garofani nell’elenco delle vittime allegato alla sentenza che ha raccontato, numeri alla mano, la più grande stangata finanziaria della Roma bene, insieme a quello di un certo Lorenzo (deceduto nel 1999) e di Michele, suo figlio, del cui grado di eventuale parentela però non ci sono informazioni.





