2022-06-30
La melassa populista di Tommasi è l’ultima metamorfosi della sinistra
Damiano Tommasi e Veronica Atitsogbe (Ansa)
La crisi tra Fi, Lega e Fdi ha consegnato la città a un Mattia Santori più vecchio (anche se almeno ha lavorato). E che ha già giocato la sua prima figurina: è Veronica Atitsogbe, che di mestiere fa la figlia di genitori togolesi.Il dramma di Verona, che nemmeno ha il merito d’essere shakespeariano come avrebbe potuto, ha mostrato cosa sia davvero il centrodestra. In una parola: un disastro. Attribuita la colpa dello scempio a chi ce l’ha (il suddetto centrodestra, appunto) tocca notare, però, come il pasticcio scaligero sia utile a mostrare pure il volto reale della sinistra italica. Che nei dintorni dell’Arena si riduce a una formula: il calciatore e le figurine. Damiano Tommasi ha vinto, su questo non ci sono dubbi, quindi massimo rispetto per la decisione degli elettori. Tuttavia è difficile restare indifferenti all’ondata di vischiosa melassa che in queste ore si sta rovesciando su tutti i media italiani. Ed è ancora più faticoso restare inerti di fronte al tracimare dell’ipocrisia progressista. Sono anni che i cari democratici frantumano gli attributi al mondo blaterando di competenza. Ci hanno inflitto governi tecnici, governi di solidarietà nazionale, governi dei migliori. Hanno ripetuto che bisognava farla finita con il populismo e dare spazio alla qualità, alle risposte complesse utili a risolvere i problemi complessi che la contemporaneità ci pone. E poi chi presentano a Verona? Un calciatore. Dove avrebbe accumulato, Tommasi, la competenza e l’autorevolezza necessarie a collocarsi fra gli illuminati che con superiorità morale possono guidare la nazione? Forse sulla fascia? Intendiamoci: non abbiamo nulla contro i professionisti del pallone. E pensiamo che il sindaco possa e debba farlo chiunque sia in grado di racimolare i voti necessari. Il problema, però, è che abbiamo la memoria lunga e ci ricordiamo di quando, a Firenze, corse Giovanni Galli. Era il 2009: tempo due secondi dall’annuncio della candidatura e uscì Dario Franceschini a dichiarare che l’ex portiere era «simpatico ma improvvisato», e che una grande città aveva bisogno di persone dotate di robusta formazione. Ecco: Tommasi che formazione ha? E non parliamo della formazione schierata sul terreno di gioco... Il punto è tragicamente antico: se il calciatore sceglie la sinistra, va bene, altrimenti è un pirla. Più in generale, non conta il merito delle questioni, ma conta solo ciò che vogliono i progressisti: se una cosa piace a loro, buona camicia a tutti. Di conseguenza, se utile ai dem, anche il populismo diventa meraviglioso. Tommasi e Verona, in questi giorni, sono elevati a modello per l’azione politica nazionale, la città scaligera è indicata come un fecondo laboratorio. Ma è inutile ciurlare nel manico: che cos’è Tommasi se non un populista? Un populista nel senso pieno e deteriore che la sinistra ha attribuito al termine in tutti questi anni. Senza nemmeno impegnarsi, egli manifesta persino prepotenti tratti di grillismo originario. La sua più grande e celebrata impresa, finora, è stata quella di interrompere una intervista per rispondere a una chiamata del padre al cellulare, memorabile evento su cui la stampa nostrana ha edificato mirabolanti narrazioni. Oddio, non che ci fosse granché da interrompere: le interviste di Tommasi sono per lo più agglomerati di frasi precotte sul fatto che i cittadini hanno bisogno di sperare nel futuro, sai che genialata. Per farla breve, Tommasi è Mattia Santori, ma più vecchio e con una carriera lavorativa alle spalle (almeno quella). Per il resto, l’approccio buonista è lo stesso: i ritornelli li abbiamo tutti, le bandierine europee abbondano, e ci sono pure le menate da bravo figliolo socialista ma non troppo. Tutte pose che, per carità, su una parte dell’elettorato funzionano, proprio perché sono populiste (cioè superficiali, scontate, demagogiche). Tommasi, a ben vedere, beneficia della consueta spinta anti casta, è una Elly Schlein che ha letto meno libri (ma comunque sbagliati). A Enrico Letta che ora lo esibisce come un santino, tanto per fare un esempio, occorre ricordare che quando il capo del Pd si è presentato al mercato di Verona a fingere di interessarsi ai comuni mortali, Tommasi ha furbescamente e giustamente disertato, non voleva farsi vedere fra i pennacchioni dem Significa che l’ex calciatore non è esattamente una vittoria del Pd. Delusi dal triste centrodestra a parte, a votarlo è stata una sinistra in cerca dei proverbiali volti nuovi, e convinta che il cambiamento sia rappresentato dagli slogan di Repubblica. Questa sinistra otterrà ciò che vuole, anzi lo ha già ottenuto. Per esempio può fregiarsi della figurina fresca di nomina che risponde al nome di Veronica Atitsogbe, professione figlia di genitori togolesi. Quasi giovane (28 anni), sta scodellando tutti i luoghi comuni che le hanno fatto ottenere il posto. Dichiara di essere «la prova vivente che l’Italia è cambiata», va giustamente fiera delle sue origini straniere perché per adesso sono l’unica cosa che ha da offrire, nonché il motivo per cui l’hanno candidata. Ha vinto, onore a lei, e adesso può andare in tutte le trasmissioni a dire che serve una nuova legge sulla cittadinanza, come se c’entrasse con il miglioramento della qualità della vita in città. Del resto praticamente nulla di ciò che hanno proposto le sardine in saor di Tommasi ha qualche attinenza con la bigia realtà quotidiana. Finora è tutto un tripudio di Belle ciao, di terzomondismo stantio, di complimenti al fascistologo Paolo Berizzi (quello secondo cui il nubifragio su Verona era meritato causa elevata presenza di fascisti in loco) e di scenette da meglio gioventù. In pratica, è la versione concreta di ciò che un archetipico uomo di destra potrebbe indicare come l’inferno sulla Terra. E sapete che c’è? C’è che il centrodestra, questo inferno, se lo merita tutto. Purtroppo, gli elettori lo meritano un po' meno.
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