2020-03-22
La Lombardia s’è rotta di aspettare. Tutto chiuso e stop alle «corsette»
Attilio Fontana impone un'ulteriore stretta: fino al 15 aprile niente più sport (anche individuale), chiusi mercati, cantieri, alberghi e gli studi professionali. Adesso pure Luca Zaia e Vincenzo De Luca sono tentati. Il governo italiano guidato da Giuseppe Conte è riuscito a raggiungere l'unanimità: quella dei dissensi. Da destra e sinistra, dai sindaci dei piccoli Comuni ai presidenti delle grandi Regioni, l'Italia intera chiede a Conte a ai suoi ministri di prendere provvedimenti drastici di fronte al dilagare dell'epidemia. Purtroppo per tutti noi, però, da Palazzo Chigi si continua a nicchiare. E allora la Lombardia ha fatto da sé. Nella serata di ieri, il governatore Attilio Fontana ha varato una nuova ordinanza. Ha vietato lo sport all'aperto anche in solitaria e ha chiuso uffici pubblici, attività artigianali (a parte quelle essenziali, come l'alimentare), distributori di bibite e cibo, cantieri (tranne quelli legati agli ospedali e quelli stradali o ferroviari), gli studi professionali e gli alberghi (gli ospiti dovranno sloggiare entro 72 ore). La decisione ha fatto seguito a un confronto con i sindaci dei capoluoghi, il presidente dell'Anci regionale e i rappresentanti del tavolo del Patto per lo sviluppo. Le disposizioni dureranno fino al 15 aprile. Indeciso a tutto, Conte non ha il controllo della situazione. È apparso evidente a tutti da quella maledetta sera del 7 marzo, quando il giochino di anticipare le bozze dei provvedimenti del governo ai giornalisti amici provocò una catastrofica fuga dalla Lombardia verso il Sud, col risultato di rischiare una drammatica esplosione del contagio anche al meridione. Il problema principale dei decreti del governo è che lasciano ampi spazi interpretativi, che mettono in difficoltà Regioni e Comuni, che devono fare fronte a ricorsi, proteste, richieste di maggior durezza o di maggiore elasticità. Prendiamo il Dpcm dell'11 marzo scorso, quello con il quale Conte ha varato le misure di contrasto al diffondersi dell'epidemia, con la chiusura della maggior parte degli esercizi commerciali. All'articolo 1, comma 5, si legge: «Il presidente della Regione può disporre la programmazione del servizio erogato dalle Aziende del trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l'emergenza coronavirus sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali». Il presidente della Regione «può»: vale a dire, vedetevela voi, governatori, e assumetevi la responsabilità di decisioni drastiche sul trasporto pubblico. E cosa dire dei parchi pubblici e del footing? «Resta consentito», si legge nell'ordinanza firmata due giorni fa dal ministro della Salute, Roberto Speranza, «svolgere individualmente attività motoria nei pressi della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona». Che significa «nei pressi della propria abitazione»? Un chilometro? Cento metri? Incredibile ma vero, nessuno lo sa. Per non parlare della ridicola autocertificazione che ci consente di uscire, essere fermati dai carabinieri e farla franca dicendo: «Sto andando a fare la spesa». Chi saprà mai, se è vero o no? Chi potrà controllare che non sto andando invece a bighellonare in giro? Nessuno. Le incertezze del governo, dicevamo, hanno provocato una sollevazione generale. Durissimo, il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che ha già varato ordinanze più restrittive di quelle del governo, ad esempio chiudendo i cantieri edili e gli uffici di tutti i comuni non indispensabili alla pubblica utilità: «Io la penso diversamente dal governo. Ritengo», azzanna De Luca, «che le mezze misure non risolvano il problema. Ancora una volta l'Italia si è rivelata il Paese del mezzo e mezzo o, come dico io, del fare finta. Non si è decisa una cosa chiara. Non possiamo dire tutti a casa», aggiunge De Luca, «e poi tenere i parchi aperti o consentire di fare jogging».Dal Pd alla Lega, dalla Campania al Veneto: Luca Zaia mette bene in chiaro che le misure che ha varato, più restrittive di quelle del governo centrale, non le ritira ma anzi le rivendica con orgoglio. «Ieri sera (l'altro ieri per chi legge, ndr) abbiamo avuto un fuoriprogramma», dice il governatore del Veneto, «l'ordinanza del ministro Speranza va a regolamentare l'attività all'aria aperta ma io non ritiro l'ordinanza del Veneto. So che chiedo sacrifici, ma la salute e la sicurezza sono patrimonio di tutti. Non si potrà uscire di casa», aggiunge Zaia, «se non per validi motivi. Si potrà uscir di casa a fare una passeggiata a 200 metri dalla propria abitazione. Nella mia ordinanza ricordo che ho chiuso anche gli alimentari per domani (oggi, ndr) restano aperte solo le farmacie, le parafarmacie e le edicole».«È arrivato il momento di fermarci, ma per davvero. Confidiamo in voi»: così i 243 sindaci dei Comuni bergamaschi, a partire dal primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori, si sono rivolti a Conte e al governatore Fontana, che ha poi «scavalcato» Palazzo Chigi. «L'adozione di coraggiosi nuovi provvedimenti restrittivi», hanno detto i primi cittadini, rappresenta «l'unica e auspicabile soluzione per una tragedia che sembra oggi, che i contagi aumentano inesorabili, non avere fine». Sarebbe ora che Conte si assuma le responsabilità che gli competono.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)