2022-02-09
La Lega alza il tiro sulle bollette ma il governo sfila il tema dal Cdm
Pressing di Matteo Salvini per misure immediate a favore delle aziende in crisi. L’esecutivo non ci sente e rimanda alla prossima settimana. Si cercano 4 miliardi, però niente scostamento. I Comuni: «Urgente, troppi rischi».A giudicare dai segnali che giungono da Palazzo Chigi, l’impennata dei costi delle bollette per famiglie e lavoratori italiani non sono in cima alle preoccupazioni di Mario Draghi e del suo ministro dell’Economia, Daniele Franco. Sarebbe altrimenti difficile trovare una spiegazione logica alla scelta di non accelerare, non solo di fronte a chi chiede un intervento sostanzioso che implichi anche un nuovo scostamento di bilancio, ma anche a chi sta implorando di fare qualcosa immediatamente. A metà pomeriggio di ieri, infatti, da Piazza Colonna si lasciava trapelare che il tanto sospirato intervento ci sarà, ma molto probabilmente non nel Consiglio dei ministri previsto per domani (come invece tutti si attendevano) bensì la settimana prossima. Una messa a punto, seppure ufficiosa, che ha rinfocolato i malumori di tutte le categorie colpite dalla crisi e dei settori della maggioranza che più si stanno esponendo per ottenere uno stanziamento degno di questo nome per mitigare gli effetti sulla popolazione della crisi energetica. E l’intervento che si sta profilando (e che fino a ieri era previsto per domani) non può certo rispondere a questa definizione, poiché si tratterebbe di un palliativo: un decreto da quattro miliardi (fino a ieri si parlava di cinque miliardi), che andrebbe a coprire il secondo trimestre dell’anno corrente e che porterebbe il totale dei soldi stanziati a fronte dell’emergenza bollette a 15 miliardi circa. Meglio di niente, si potrebbe dire, così come si è detto dei ristori messi in campo durante la fase acuta della pandemia, ma al pari di questi ultimi si tratta di cifre troppo basse. Non a caso, se sul fronte politico sale il pressing per ottenere lo scostamento (che a dirla tutta vede la sola Lega, all’interno della maggioranza additare senza ambiguità questa come soluzione migliore), in quello economico e civico la giornata di domani ha già in programma una serie di manifestazioni e di clamorosi gesti di protesta che potrebbero risultare tanto più vibranti quanto l’orientamento dell’esecutivo a temporeggiare dovesse stabilizzarsi. Andiamo con ordine: il leader leghista Matteo Salvini, da settimane, continua a battere sul tasto dell’assoluta necessità di un intervento cospicuo e immediato del premier e del Mef su questo versante, e anche ieri, quando peraltro sembrava acquisito che il primo stanziamento sarebbe partito domani, ha aumentato il pressing rallegrandosi del fatto che il governo si sia cominciato a muovere. «Ne parlo da mesi», ha affermato Salvini, «adesso tutti si sono accorti che il costo di luce e gas non è più sostenibile e grazie anche alle nostre insistenze penso di essere riuscito a ottenere entro pochi giorni un sostanzioso e importante intervento di diversi miliardi di euro». Poi, l’affondo sulle cifre, lasciando intendere che quelle di cui si parla dovranno essere solo un anticipo di ben altri interventi: «C’è qualche ministro che vive in una realtà tutta sua, in alcune interviste si parla di 4,5, 6, 7 miliardi, il mezzo a me interessa poco, mi interessa il fine». È evidente, però, come testimoniato da dichiarazioni di altri esponenti del Carroccio, a partire dal senatore Alberto Bagnai, che lo strumento indicato come il più efficace sarebbe uno scostamento di bilancio da almeno 30 miliardi. In questo la Lega sembra essere sostenuta da M5s, se si prendono in considerazione le parole di più un parlamentare pentastellato sintetizzate in una nota in cui si chiede «un nuovo scostamento di bilancio, con fondi adeguati per limitare l’impatto delle bollette». Il problema, però, è che nell’attuale situazione di caos determinatasi dopo la sentenza napoletana che ne ha sospeso la leadership (già ampiamente traballante di suo) di Giuseppe Conte, il peso specifico della pattuglia grillina è ai minimi storici e la situazione non prevede miglioramenti nel breve. Ne consegue il ruolo determinante che avrà l’atteggiamento del Pd, che per ora chiede genericamente un impegno concreto del governo e lo stanziamento di «risorse adeguate», facendo molta attenzione però a non entrare in rotta di collisione con l’accoppiata Draghi-Franco. Per il responsabile economico del Nazareno, Antonio Misiani, infatti, «se il governo riesce a recuperare risorse senza ricorrere a uno scostamento di bilancio è meglio, perché sarebbe nuovo debito, ma servono più soldi in tempi rapidi». Con queste premesse, ha buon gioco Fdi dall’opposizione ad attaccare, chiedendo a Draghi di venire a riferire in Parlamento sulla situazione. In attesa di capire come sia possibile stanziare i tanti miliardi che servono senza lo scostamento, si diceva poc’anzi che monta la protesta: il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha fatto sapere che, domani, in moltissimi comuni italiani verranno simbolicamente spente le luci di «un edificio rappresentativo o di un luogo significativo per la comunità» perché «le risposte dal governo alle nostre richieste non sono sufficienti. Evidentemente», osserva Decaro, «non si percepisce il rischio che questa crisi si ripercuota negativamente sulla possibilità di erogare con continuità i servizi pubblici ai cittadini».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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