2018-04-14
La guerra di Tom regala altre 48 ore ad Alfie
Il papà del bambino inglese non si arrende all'eutanasia. La sua diretta social rivela i blocchi della polizia per evitare la fuga in Italia e fa accorrere centinaia di persone davanti all'ospedale. La spina è ancora attaccata.Non è ancora finita. Ieri i medici dell'ospedale di Liverpool non hanno staccato la spina alle macchine che tengono in vita il piccolo Alfie Evans. Il papà del bambino inglese, affetto da una patologia degenerativa, sta lottando e ha ottenuto altre 48 ore di vita per suo figlio. La sua diretta Facebook, che ha mostrato i blocchi della polizia per evitare la fuga, sta indignando il mondo. Un rinvio di 48 ore e una nuova udienza davanti alla Corte d'appello. I genitori di Alfie Evans, il bimbo di 23 mesi affetto da una patologia degenerativa del sistema nervoso, non vogliono accettare la decisione della giustizia di spegnere la macchina che aiuta il piccolo a respirare. Il loro progetto è di trasferirlo in Italia, all'ospedale Bambino Gesù di Roma, perché venga curato ancora e aiutato a guarire. Un obiettivo che sono disposti a raggiungere con ogni mezzo. Come dimostra questa nuova udienza, fissata nel pomeriggio di ieri per lunedì, dopo che l'iter giudiziario sembrava ormai chiuso. Thomas Evans, 21 anni, e Kate James, 20 anni appena, hanno costretto i giudici a concedere una nuova revisione, dopo che giovedì sera davanti all'Alder Hey Hospital di Liverpool, dove il piccolo è ricoverato, si è scatenata una specie di sommossa. Parecchie centinaia di persone si sono sistemate di fronte agli ingressi, quasi volessero bloccarli, e hanno cominciato a inneggiare alla liberazione di Alfie. Insieme a loro c'erano i genitori del bimbo, che invitavano la folla a non mollare. Anzi, Thomas Evans, che arringava i sostenitori della battaglia per Alfie con un megafono, ha anche cercato di portare via il bambino. Si è presentato nella sua camera, armato di telefono cellulare, brandendo una serie di documenti con il logo del Christian legal centre, che spiegavano che aveva il diritto di portare fuori il piccolo. Secondo quelle lettere, in quanto detentore della patria potestà può scegliere dove farlo curare e trasferirlo, purché abbia un respiratore portatile e la strumentazione adeguata a mantenere il bimbo in vita. Che c'erano. Nel video, diffuso via social, il padre di Alfie ha mostrato il respiratore portatile, il bimbo ben in carne e addormentato, i documenti che attestavano la presenza di un'equipe di medici pronti a seguire il trasferimento, la disponibilità di un'ambulanza attrezzata e di un aereo. Tutto pronto, insomma, per spiccare il volo. Un piano quasi perfetto, che non si è potuto concludere positivamente per via dell'intervento dei responsabili dell'ospedale, che hanno chiamato la polizia. Gli agenti si sono occupati di tenere tranquilla la folla dell'Alfie's Army (l'esercito di Alfie) e poi hanno intimato a Thomas di non fare nulla, perché rischiava di essere arrestato. Un controsenso, a pensarci bene, perché i medici che vogliono staccare la spina che tiene in vita il bimbo sarebbero nel giusto, mentre commetterebbe un reato il padre che vuole portarlo via per tentare di salvarlo. Nelle ore successive sono continuate le proteste e gli incontri, con l'avvocato di Alfie arrivato da Londra che discuteva e l'ospedale che ha ottenuto via fax l'autorizzazione a trasferire al tribunale la patria potestà sul bambino, in modo da impedire il suo allontanamento. Il botta e risposta è continuato fino a notte inoltrata, con la folla fuori dall'ospedale che non si disperdeva, ma non è stato vano. I medici infatti hanno accettato di non spegnere le macchine ieri, come era inizialmente previsto. In mattinata la protesta è ripresa intorno alle dieci, e dopo una serie di incontri con i legali e i responsabili del centro medico, i genitori di Alfie Evans hanno ottenuto di andare di nuovo davanti ai giudici. Quarantotto ore di pace, con il respiratore in funzione e il tempo per mettere a fuoco la strategia legale. Questa volta Thomas e Kate chiederanno di continuare a curare il bambino e, di fatto, di poterlo trasferire altrove. La destinazione ideale è l'Italia, che si è spesa in tanti modi in favore della famiglia, con gli specialisti del Besta di Milano che sono disposti a collaborare e a verificare le condizioni di salute del bambino. E l'ospedale Bambino Gesù di Roma che si è detto disponibile ad accoglierlo, eseguendo piccoli interventi che potrebbero permettere al piccolo di sopravvivere mentre si riprende, magari anche stando a casa. La speranza è che questa volta il permesso venga concesso e che non accada di nuovo quello che è successo, poco meno di un anno fa, con Charlie Gard, un bimbo di nemmeno un anno affetto da una grave patologia, a cui il respiratore è stato staccato nonostante la mano tesa della sanità italiana. L'ospedale inglese, che ha chiesto il sostegno delle forze dell'ordine e dei servizi sociali durante la nottata di «guerriglia» con l'esercito di Alfie, ieri ha diffuso una nota nella quale esprime un ringraziamento al proprio staff, che giovedì sera ha continuato a lavorare al meglio, per evitare problemi, nonostante la manifestazione e le proteste. «Alder Hey è un luogo speciale con un personale di elevata specializzazione, che dedica la propria vita a prendersi cura di migliaia di bambini malati ogni anno», ha dichiarato la direzione sanitaria. «La nostra priorità è solo quella di garantire il benessere dei pazienti e continuare a offrire loro la cura d'eccellenza che vengono riconosciute in patria e non solo». Un punto di vista diametralmente opposto a quella di Thomas Evans, che in un comunicato ieri pomeriggio ha sottolineato che «Alder Hey ha perso ogni credibilità, è completamente fuori dalla legge nella sua violazione dei diritti e ha perso il senso di ciò che significa prendersi cura degli esseri umani».
Jose Mourinho (Getty Images)