2019-05-30
La guerra dei giudici e dei giornali per prendersi la Procura di Roma
Due articoli di Repubblica e Corsera su un'indagine su Luca Palamara. Ma il bersaglio vero è azzoppare Marcello Viola come successore di Giuseppe Pignatone.Magistratura democratica tiene alla propria parzialità e non fa nulla per nasconderla. Arrivando ad attaccare i colleghi che parlano con La Verità.Lo speciale contiene due articoli.La nomina del nuovo procuratore di Roma sta agitando magistrati e giornalisti di complemento. Tanto che ieri abbiamo registrato l'utilizzo di armi non convenzionali. Tutto inizia giovedì scorso, quando la quinta commissione del Consiglio superiore della magistratura attribuisce quattro voti al candidato procuratore Marcello Viola, mentre Franco Lo Voi, successore annunciato dell'uscente Giuseppe Pignatone, resta al palo con un solo voto. Il giorno successivo sulla Repubblica esce un veemente articolo che annuncia la guerra a Viola in nome dell'indipendenza della magistratura e della lotta alla mafia. Che, sembra, sia retaggio esclusivo del duo Pignatone-Lo Voi.A inizio settimana La Verità e il Fatto quotidiano iniziano a indagare su una pratica aperta al Csm su un esposto del pm Stefano Fava contro Pignatone e l'aggiunto Paolo Ielo. Questi due ultimi magistrati vengono messi a conoscenza degli articoli in preparazione. Ielo annuncia dure risposte al Csm. Pignatone tace. La questione sembra fermarsi a questo. Ma nelle stesse ore, da qualche parte, non sappiamo se in un ufficio di Procura o a Palazzo dei marescialli parte quella che sembra una controffensiva.Una manina passa una velina al cianuro su uno dei possibili grandi elettori di Viola, il segretario di Unicost ed ex consigliere del Csm Luca Palamara, autocandidatosi a procuratore aggiunto di Roma: il pm è indagato per corruzione a Perugia e gli inquirenti stanno ispezionando anche la sua vecchia attività nel parlamentino dei giudici. La Repubblica piazza in prima pagina questo titolo: «Corruzione al Csm». Il sommario spazza via ogni dubbio sull'obiettivo del giornale con questo riferimento a Palamara: «È l'uomo chiave degli accordi per la nomina del procuratore di Roma». All'interno si denuncia «il mercato delle toghe» e l'articolista ci informa che l'indagine della pm Gemma Miliani e del Gico della Guardia di finanza «procede per corruzione, perché nell'amicizia tra Palamara e Centofanti (un lobbista d'area Pd arrestato nel 2018, ndr) c'è qualcosa - viaggi e regali diciamo «galanti» - che viene ritenuto vada molto al di là dell'opportuno». Tutto qui. Ma il quotidiano romano omette di far sapere ai suoi lettori che a frequentare in qualche cena Centofanti era anche il loro paladino Pignatone, che il 19 marzo scorso, quasi con un excusatio non petita, lo aveva ricordato in una lettera al pm Fava, aggiungendo di essersi preoccupato di far trasferire da Milano a Genova il fratello di Centofanti, il capitano della Guardia di finanza Andrea, grazie ai suoi rapporti con l'ex comandante generale delle Fiamme gialle Saverio Capolupo. Lo stesso Andrea Centofanti nel maggio 2016 è stato arrestato per un presunto ricatto.Ma il vero target della Repubblica è il presunto «asse» tra Palamara e Cosimo Ferri, ex segretario di Magistratura indipendente (la stessa corrente di Viola), sottosegretario alla Giustizia in tre governi e deputato Pd. Per il quotidiano sarebbero Palamara e Ferri a puntare su Viola «perché ritenuto dalla coppia caratterialmente controllabile». In pratica un pupazzo.Ma contro questo presunto rischio si starebbero battendo fieramente altri magistrati. Gli stessi che probabilmente hanno recapitato la notizia su Palamara a Repubblica, Corriere e Messaggero. Magari per oscurare la storia dell'esposto.Uno scenario cupo che ieri un collega ha prospettato a Palamara, ottenendo questa risposta: «E lo so… la guerra è guerra. I colleghi erano molto agitati per l'esposto e ci sono andato di mezzo io. Sono molto amareggiato». Palamara, già dal mattino, si è messo a disposizione della Procura di Perugia per essere interrogato immediatamente. Nel pomeriggio non aveva ancora ricevuto risposta. «Io non ho nulla da temere. Chiedo solo di essere interrogato dopo circa un anno di indagini». C'è chi sostiene che colpendo lui, qualcuno stia provando ad affondare la candidatura di Viola: «Lo so bene e per questo ero pronto a farmi interrogare già oggi (ieri, ndr)» ha confidato il pm. «Voglio conoscere la contestazione e le fonti di prova, che cosa avrei ottenuto e che cosa avrei dato in cambio. Sono pronto a rispondere a tutte le domande». Palamara ha evidenziato con gli amici fidati che «questa cosa (i rumors sulla sua inchiesta, ndr) gira negli uffici giudiziari ormai da tempo immemorabile» ed è diventata «quasi un'arma di ricatto». «Per questo adesso voglio capire e penso di averne diritto» si è sfogato il pm. Un ex consigliere del Csm gli ha chiesto se lo vogliano tenere a bagnomaria sino alla nomina del procuratore di Roma: «Non lo so, ma ovviamente chiederò ogni giorno di essere sentito. Perché mai, e sottolineo mai, baratterei il mio lavoro e la mia professione per alcunché. Non posso rimanere appeso così».Una guerra sporca in cui intercettazioni e fascicoli possono diventare, per dirla con Palamara, «armi di ricatto».A metà maggio, poco prima della votazione in commissione per il procuratore di Roma, è partita dall'Umbria verso il Csm una nota firmata dal procuratore uscente Luigi De Ficchy con allegata un'informativa di polizia giudiziaria. Ma dentro al plico sembra che ci fosse poco. Si informavano i consiglieri che pende un procedimento penale per corruzione a carico di Palamara. Il dossier è prima passato dal Comitato di presidenza e poi per competenza è stato trasferito alla Prima commissione che si occupa di incompatibilità e trasferimenti d'ufficio. Qui il fascicolo è stato iscritto a ruolo come atti relativi ed è stato chiuso in cassaforte in un unico esemplare.Il presidente della Prima commissione Alessio Lanzi ci spiega: «Non stiamo facendo indagini. Restiamo in attesa di sviluppi da Perugia perché allo stato abbiamo molto poco. Non mi risulta che ci siano intercettazioni di Palamara nella documentazione a nostra disposizione, né addebiti precisi; si dice che frequentava questo Centofanti. Se è un caso di corruzione propria ci deve essere anche l'atto contrario ai doveri d'ufficio e questo non emerge dalle carte che abbiamo. Si parla in modo generico dei rapporti tra l'arrestato e il magistrato». L'affaire Palamara rischia di far saltare l'accordo su Viola? «La quinta commissione ha valutato tutto, proposto Viola con 4 voti su 6 e adesso aspettiamo il plenum di metà giugno. Speriamo per l'interesse della giustizia e della funzionalità della Procura che questo bailamme non allunghi i tempi». Quindi non verrà messo tutto in discussione? «Al plenum ci saranno i fuochi d'artificio. Ma quello dei giornali è scandalismo». Si tratta di articoli che puntano ad azzoppare Viola… «Questo ormai lo stanno capendo tutti, ma non credo che raggiungeranno l'effetto desiderato» conclude Lanzi.Il segretario di Mi, Antonello Racanelli, è molto deluso per lo spettacolo: «Assisto con preoccupazione al tentativo di condizionamento sulle attività del Csm, tentativo che è partito in particolare da un quotidiano (La Repubblica, ndr), utilizzando anche vicende personali di colleghi che dovranno essere accertatei. La mia sensazione è che non si abbiano remore a “infangare" persone utilizzando anche termini quantomeno discutibili. Sono meravigliato del fatto che il vicepresidente (il renziano David Ermini, ndr) non sia ancora intervenuto a difesa del prestigio e dell'autonomia del Csm».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-guerra-dei-giudici-e-dei-giornaloni-per-mettere-le-mani-sulla-procura-di-roma-2638446532.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quei-magistrati-sedicenti-democratici-vittime-dellideologia" data-post-id="2638446532" data-published-at="1757985513" data-use-pagination="False"> Quei magistrati sedicenti democratici vittime dell’ideologia Pensavamo che la definizione di «toghe rosse» potesse infastidirli. E invece no, i giudici di Magistratura democratica tengono alla loro parzialità e non fanno nulla per nasconderla. Tanto che dai loro uffici, anziché interessarsi di mandare avanti la nostra malandata giustizia, si preoccupano di attaccare La Verità e non solo. Quando, nelle scorse ore, siamo venuti a conoscenza di un loro comunicato che ci chiamava in causa, abbiamo dovuto rileggerlo alcune volte prima di renderci conto che gli estensori non stavano scherzando e abbiamo capito perché Magistratura democratica sia diventata quasi irrilevante nel sistema correntizio dei giudici, nonostante l'alleanza con il Movimento per la giustizia dentro al cartello Area. Ma veniamo al punto. Sabato scorso La Verità ha pubblicato un'intervista ad Antonello Racanelli, segretario di Magistratura indipendente, la corrente che nelle ultime elezioni per il parlamentino del Consiglio superiore della magistratura ha fatto l'exploit più significativo, raggiungendo quasi il risultato della Balena bianca dei giudici, Unicost. Racanelli ha rilasciato dichiarazioni non diplomatiche, evitando i giri di parole che solitamente si usano in questo tipo di interviste. A indignarlo un incredibile pezzo pubblicato su La Repubblica in cui si annunciava il ritorno del porto delle nebbie, come veniva definita da alcuni la Procura di Roma tanti anni fa, nel caso non fosse stato nominato Franco Lo Voi «il più naturale successore» (sic) di Giuseppe Pignatone. Racanelli con noi ha ammesso di sospettare che La Repubblica si voglia scegliere il procuratore di Roma e non solo. Lunedì l'esecutivo della componente di sinistra dei magistrati (ne fanno parte sei componenti, compresa la segretaria Mariarosaria Guglielmi, pm nella Capitale) ha accusato, con un dispaccio, il segretario di Mi di essere entrato a «gamba tesa nella vicenda della nomina del procuratore di Roma», senza ricordare che alcuni anni fa avevano aspramente contestato la nomina di Lo Voi, oggi il candidato migliore per la Capitale, a procuratore di Palermo. A corredo del documento i magistrati sedicenti democratici hanno aperto il proprio sito con un'immagine dell'articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione (appunto), usandolo però per attaccare Racanelli e il suo «diritto di manifestare liberamente» il proprio pensiero, soprattutto se esercitato sul giornale che state leggendo. Infatti nel loro documento questi sinceri democratici lasciano intendere che a mandarli su tutte le furie è stata anche la scelta fatta dal procuratore aggiunto di Roma di affidare le proprie riflessioni al nostro quotidiano. Leggiamo: «Il segretario di Magistratura indipendente, Antonello Racanelli, trova “inopportuno" che Magistratura democratica intervenga su “tematiche squisitamente politiche" come l'immigrazione e la legittima difesa. Per celebrare il revival dell'illusoria e fuorviante “apoliticità" della magistratura, sceglie le colonne del giornale La Verità, quotidiano stabilmente schierato su posizioni politiche filogovernative e nel quale la vicenda migratoria è trattata nell'ambito di una rubrica dal titolo Cronache dell'invasione, con inviti a “rinchiudere o spedire in un'isola chi è in attesa di espulsione"». Ma il vero nodo della questione è la «politica» e il supposto collateralismo di Racanelli con il governo. Un concetto sintetizzato nel sommario di presentazione del comunicato, dove si stigmatizza «la prospettiva fuorviante dell'apoliticità, coniugata a una sostanziale omogeneità alle posizioni della maggioranza di governo». Come dire: i magistrati possono fare politica, purché le loro idee non assomiglino a quelle di Lega e M5s. Per esempio, scrivono che «Racanelli non perde l'occasione per manifestare apprezzamenti per la proposta di abrogazione dell'abuso di ufficio». Peccato che nella sua risposta il segretario di Mi abbia citato il contributo di un costituzionalista che ipotizzava una riforma e non l'abolizione. E anche un campione di Md come Raffaele Cantone in un articolo recente sul Mattino ha aperto a questa ipotesi, sostenendo che l'indeterminatezza della formulazione induce dirigenti e politici «a non far uso del proprio spazio decisionale» e della loro firma pur di non finire nelle maglie larghe di un reato che innesca un terzo delle indagini contro la pubblica amministrazione. Ma purtroppo le toghe di sinistra sembrano rivendicare i loro pregiudizi contro «il revival dell'illusoria e fuorviante “apoliticità"» e dalla loro trincea sostengono che per Racanelli sarebbe «neutrale esprimersi a tutela dei diritti forti e politico a favore di quelli deboli». Insomma pensare di rivedere la formulazione di un reato che porta alla condanna di un imputato su cinque (nei già minoritari casi di rinvio a giudizio) sarebbe la difesa dei forti, mentre sostenere che «la gestione della politica migratoria» andrebbe «riservata al Parlamento e al governo, senza invasioni di campo» sarebbe accanirsi con i deboli. In Italia, secondo Md, evidentemente le garanzie costituzionali vanno assicurate sulla base del censo e della posizione sociale. Penalizzando chi sta meglio. In ossequio a certe teorie socio-criminologiche, classiste e culturalistiche, di matrice anche marxista, che deresponsabilizzano i poveri e gli emarginati, i cui reati sono giustificati da motivi socioambientali, mentre le stesse scriminanti, ovviamente, non vengono concesse ai colletti bianchi. In questo milieu devono essere nate le critiche di Md contro Racanelli anche sul tema della legittima difesa. A proposito della riforma il segretario di Mi ci ha detto: «Non ho approvato l'eccesso di critiche sulla riforma e in ogni caso bisogna essere rispettosi delle scelte parlamentari». Apriti cielo. Md ha rinfacciato al segretario di Mi il fatto che nell'immediatezza di un caso di cronaca, avrebbe «sentito la necessità di difendere le parole del ministro dell'Interno (Matteo Salvini, mai nominato per nome, ndr) fuori dal carcere di Piacenza», dove era andato a trovare un commerciante che aveva ferito un ladro. Anche se in realtà si era limitato a esprimere concetti di buon senso come questi: «Ai magistrati spetta certamente la possibilità di formulare valutazioni tecniche, ma non possono certamente dire se una riforma si deve o non si deve fare». Una frase per cui è stato accusato dai colleghi di sinistra di essersi «dissociato dalla seria difesa delle prerogative costituzionali della magistratura operata dall'allora presidente dell'Anm, Francesco Minisci». Minisci è lo stesso magistrato che, mentre la riforma passava dal Parlamento, faceva pressioni perché non fosse votata e che definì «una buona notizia» il rinvio della discussione, avvenuto alla Camera, arrivando ad augurarsi che si trattasse di «un rinvio sine die». Nel loro documento la Guglielmi e compagni proseguono: «Non vorremmo assistere all'ennesimo déjà vu della predicata apoliticità sposata a una sostanziale omogeneità alle posizioni della maggioranza di governo e a un modello di magistrato mansueto e ancillare. Insomma, si può fare politica, ma a patto che coincida con le posizioni dell'esecutivo». Molto meglio stare all'opposizione, magari contrastando chi governa con inchieste farlocche. Siffatto argomentare ci fa sperare di non incontrare mai questi signori in un procedimento giudiziario, temendo di essere giudicati sulla base dell'ideologia più che dei codici. E pur di non liberarci da siffatto timore l'esecutivo di Md ha inteso precisare: «Per quanto ci riguarda, comunque, se fare politica significa partecipare al dibattito sui diritti, ci assumiamo il compito di farla». Evviva.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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