
L'abbassamento del Pil peggiorerà il rapporto col deficit: Oltralpe non possono rispettare i parametri di Maastricht. È una sconfitta per il presidente e per l'Ue, da sempre tenera con le politiche di Parigi.L'economia francese non gode di buona salute. Un'altra cattiva notizia per il presidente Emmanuel Macron che, insieme ai suoi ministri economici, è stato costretto negli ultimi giorni a rivedere al ribasso le stime. Per prima cosa il rapporto deficit-Pil è peggiorato. Per il 2019 Parigi prevede di toccare quota 2,8% invece del 2,6% stimato ad aprile 2018. Il ministro delle Finanze, Bruno Lemaire, assicura che la Francia si manterrà al di sotto della soglia del 3% imposta da Bruxelles. All'origine di questa revisione delle stime c'è una crescita debole attesa per quest'anno. Solo l'1,7% invece del 2%, secondo il ministero delle Finanze. Lo stesso che ostenta sicurezza e afferma che riuscirà a rispettare gli impegni europei. Tuttavia, per voce del suo titolare, Bruno Lemaire, riconosce che l'aumento del prezzo del petrolio e gli scioperi della scorsa primavera hanno ridotto dello 0,1% il Pil. Tenuto conto della facilità con cui i sindacati francesi indicono scioperi, si potrebbe pensare che alla prima occasione di protesta il Pil francese subisca un'altra batosta. Portando matematicamente il rapporto deficit-Pil oltre la fatidica soglia del 3%. Non va meglio sul fronte occupazione. I dati diffusi l'11 settembre sempre dall'Insee parlano di un tasso di disoccupazione fermo al 9,1%.Si tratta di una notizia doppiamente negativa per il governo francese. Da un lato perché manifesta la mancanza di effetti delle politiche occupazionali adottate dalle presidenziali in poi. Dall'altro perché i disoccupati, in Francia, percepiscono dei sussidi che possono arrivare anche a più del 50% dell'ultimo stipendio. Altre voci di costo per le casse dello Stato. Inoltre Macron paga uno sconto fiscale voluto dal suo predecessore. Già, perché mentre all'Italia Bruxelles non ha mai fatto favori, la Francia ha ottenuto spesso margini di manovra più ampi. Per esempio nel 2013 François Hollande introduceva il Cice, un credito d'imposta per la competitività delle imprese. Macron l'ha trasformato in una riduzione permanente del 6% dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Problema: dal 2019 le tasse saranno calcolate alla fonte, ma il credito d'imposta sulla competitività continuerà ad essere calcolato sull'esercizio precedente. In pratica le casse dello Stato francese dovranno assorbire sia il credito d'imposta che la riduzione dei contributi. Altro dato negativo: quello del debito pubblico, che è schizzato praticamente a quota 100%. Questo perché i 40 miliardi di euro necessari al salvataggio della Sncf - le ferrovie francesi - sono stati già aggiunti al debito. Quella della Sncf è una lunga storia. L'azienda pubblica è diventata nel corso del tempo sempre più costosa per le casse dello Stato. Questo nonostante operi in un regime di sostanziale monopolio nel trasporto passeggeri. Anche in questo caso, la Francia è uno di quei paesi Ue che non hanno seguito immediatamente le regole di Bruxelles. Anzi, Parigi ha ritardato l'apertura alla concorrenza, introdotta a partire dagli anni Novanta dalle regole europee. Nessuno dei governi che hanno guidato la Francia negli ultimi 30 anni ha mai «osato» attaccare questo carrozzone di Stato e, soprattutto, i privilegi di cui beneficiano i dipendenti. Una categoria estremamente sindacalizzata in grado, per molti decenni, di bloccare il Paese con scioperi a oltranza. L'unico che abbia fatto qualcosa per cambiare la situazione è stato proprio Macron, bisogna riconoscerlo. Questa primavera ha fatto approvare la riforma della Sncf, senza lasciarsi influenzare dallo sciopero a singhiozzo (due giornate con le braccia incrociate ogni tre giorni) che i sindacati dei ferrovieri hanno tenuto per tre mesi, da inizio aprile a fine giugno. In quel periodo il leader transalpino poteva contare su un sostegno popolare non indifferente. Un sondaggio pubblicato dal Journal Du Dimanche il 20 maggio 2018, riportava ad esempio che tre quarti dei francesi approvavano la riforma. Alla base di questa fiducia c'era anche la voglia di farla finita una volta per tutte con lo statuto (privilegiato) dei ferrovieri, nato nel 1920. Questa categoria non conosce la parola «licenziamento» perché i ferrovieri sono assunti praticamente a vita, vanno in pensione a 52 o 57 anni, hanno diritto a biglietti ferroviari gratuiti - o quasi - per loro e i loro familiari. Altra fonte del sostegno popolare alla riforma della Sncf era rappresentata dalla promessa governativa che i contribuenti non avrebbero dovuto pagare per il risanamento della società.Su questo punto però, si è capito rapidamente che il proposito fosse un po' confuso. Il 15 aprile sul canale all news Bfm Tv, Emmanuel Macron affermava che «non ci sarà un aumento della pressione (fiscale, ndr)» nel corso del suo mandato. Ma pochi giorni dopo il primo ministro Edouard Philippe aveva affermato che il salvataggio della Sncf «richiederà uno sforzo supplementare dei contribuenti».È forse da questo punto in poi che sempre più francesi hanno cambiato opinione su Emmanuel Macron, iniziando a girargli le spalle. Dopodiché, durante l'estate, c'è stato l'affaire Benalla, con le dimissioni del popolarissimo ministro dell'Ecologia. Eventi che hanno portato a uno scivolone di 12 punti percentuali. Ormai secondo un sondaggio realizzato da Odoxa per il settimanale L'Express - pubblicato l'11 settembre - il 71% dei francesi ha un'opinione negativa del proprio presidente. Una vera doccia fredda per il giovane inquilino dell'Eliseo, che sarà probabilmente obbligato ad assumere il ruolo di tribuno antinazionalista in previsione delle elezioni europee 2019. Elezioni sulle quali peserà anche il livello che avrà raggiunto, nel frattempo, il deficit pubblico: se la tendenza attuale fosse confermata, sarà superiore al 100%. Insomma la Francia assomiglierà un po' più all'Italia. Chissà se Bruxelles continuerà a farle degli sconti o no.
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