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2019-02-09
La Francia insulta ancora: «Bisogna fermare la lebbra nazionalista»
Ansa
Nessuno mi può convocare, nemmeno tu. Prosegue il festival delle stoccate incrociate tra Roma e Parigi: anche ieri il governo italiano e quello francese si sono scambiati accuse e controaccuse, dopo che l'altro ieri l'ambasciatore francese in Italia, Christian Masset, era stato richiamato in patria a causa dell'incontro avvenuto il 5 febbraio scorso a Montargis tra il vicepremier Luigi Di Maio e alcuni gilet gialli.
Una misura diplomatica che per Parigi potrebbe essere temporanea: «Quando un ministro di un Paese straniero», ha detto ieri il portavoce del governo francese Benjamin Griveaux, «si reca in Francia per incontrare i gilet gialli, la cortesia e la diplomazia vorrebbero che si avvertisse il governo. Abbiamo richiamato l'ambasciatore per una consultazione, non è un atto permanente ma è un importante segnale perché l'Italia è un alleato storico della Francia e un Paese fondatore dell'Unione europea. Il dialogo non è mai stato spezzato», ha aggiunto Griveaux, «ma c'è anche un presidente del Consiglio in Italia, si chiama Giuseppe Conte, è lui il capo del governo italiano e Macron lo ha già incontrato molte volte».
Parole fintamente concilianti seguite da un attacco durissimo: «Se si vuol fare indietreggiare la lebbra nazionalista, se si vuole fare indietreggiare i populisti, se si vuol fare indietreggiare la sfida all'Europa, il modo migliore è di comportarsi bene con i propri partner». Una frase riferita ai gilet gialli, ma che chiama in causa direttamente anche i gialloblù, visto che proprio Macron a giugno si era già rivolto al nostro governo parlando proprio di «lebbra populista», proprio le stesse parole scelte dal suo portavoce. Per finire, Griveaux ha aggiunto che le «battute» di Luigi Di Maio e Matteo Salvini sulla Francia «non hanno evitato all'Italia di entrare in recessione».
«Non si tratta di drammatizzare», ha rincarato il ministro francese per gli Affari europei Nathalie Loiseau, «si tratta di dire che la ricreazione è finita. Un rappresentante di un governo straniero che viene in Francia a sostenere quello che non è nemmeno un leader politico, ma uno che ha chiamato alla guerra civile, al rovesciamento del presidente e a un governo militare, non si era mai visto».
Si riapre anche un altro fronte caldo, quello dell'immigrazione. Fonti del Viminale hanno fatto sapere che la Francia avrebbe cambiato idea sulla Sea Watch, e non sarebbe disposta ad accogliere la sua quota di profughi come concordato: accetterebbe solo stranieri che hanno diritto alla protezione internazionale e non migranti economici.
«Faremo a meno della Francia», ha commentato il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, «non dei francesi che sono un popolo stupendo. Evidentemente chi sta governando ha le idee un po' confuse. La Francia ha respinto negli ultimi due anni 60.000 migranti».
«La prossima settimana», ha aggiunto Salvini a margine di una manifestazione elettorale in Abruzzo, «incontrerò a Roma il ministro degli Interni francese. Lo convocherò perché voglio risolvere la situazione. Con i no non si va da nessuna parte. Al ministro francese chiederò che vengano rimandati in Italia i 15 terroristi italiani che oggi si trovano in Francia».
Il ministro dell'Interno francese Christophe Castaner, però, prima ha risposto piccato «Non mi faccio convocare da nessuno!» e poi ha aggiunto: «Con l'Italia il dialogo è costante ma deve essere rispettoso. Sono pronto anch'io ad accogliere Salvini. Penso che le missioni diplomatiche non debbano farsi di nascosto ma in modo ufficiale». «Ovviamente», ha precisato Salvini, «io non voglio ne posso convocare nessuno: sarò lieto di ospitare in Italia, il prima possibile, il mio collega francese per discutere e risolvere i problemi». Lo stesso Salvini ha poi inviato una lettera a Castaner: «Caro collega», ha scritto Salvini, «i nostri Paesi da sempre condividono solidi rapporti bilaterali, con particolare riferimento ai campi della sicurezza, del terrorismo e dell'immigrazione. In questo quadro, sarei particolarmente lieto di invitarla a Roma, per un confronto e un proficuo scambio sui dossier aperti. Le anticipo, tra i vari temi, che confermo un vivo interesse per la collaborazione da voi offerta», ha scritto Salvini, riferendosi abbastanza esplicitamente al caso dei migranti della Sea Watch, «a proposito dei rimpatri dei migranti economici».
A proposito della Sea Watch: lunedì 11 e martedì 12 febbraio la nave, che batte bandiera dell'Olanda e che è ormeggiata nel porto di Catania, sarà oggetto di un'ispezione tecnica a cura dell'ispettorato ambiente e trasporti del ministero olandese delle Infrastrutture.
Nell'attesa di sapere se e dove si incontreranno Salvini e Castaner, magari in «campo neutro», c'è da registrare anche la lettera che Luigi Di Maio ha indirizzato a Le Monde: «Il popolo francese», ha scritto il leader del M5s, «è il nostro riferimento. Noi guardiamo al vostro popolo come a un punto di riferimento e non un nemico, e le divergenze politiche e di visione fra il governo francese e italiano non devono ricadere sul rapporto di amicizia storico che unisce i nostri due popoli e i nostri due Stati».
Invita alla calma, parlando con La Stampa, il commissario europeo all'Economia, il francese Pierre Moscovici: «È incomprensibile immaginare, per ragioni politiche e pretestuose, un allontanamento fra Italia e Francia».
Pochi mesi fa Eliseo e M5s tubavano
Il M5s che oggi fa a pezzettini Emmanuel Macron e che flirta con i gilet gialli è lo stesso partito che nei mesi (non millenni) scorsi considerava l'inquilino dell'Eliseo un potenziale alleato. Una visione condivisa da Macron, che durante le lunghe consultazioni al Quirinale aveva teso una mano ai grillini proprio quando l'ipotesi del M5s al governo sembrava destinata a tramontare. Basti pensare che il 25 maggio (prima che Sergio Mattarella convocasse Carlo Cottarelli per cercare i voti per un esecutivo tecnico), il presidente francese disse: «Vogliamo tendere la mano al nuovo governo italiano» per lavorare insieme su temi come «la sicurezza, l'immigrazione, l'integrazione dell'Eurozona».
Già da tempo, d'altronde, i grillini mandavano messaggi rassicuranti all'Eliseo. Il 23 novembre 2017, per esempio, sul Blog delle Stelle Luigi Di Maio aveva scritto: «Egr. sig. presidente Macron il Movimento 5 stelle avrà modo di raccontarle e spiegarle chi siamo davvero, cosa vogliamo e come vediamo il futuro dell'Europa e dell'Italia nello scenario internazionale. Probabilmente l'opinione che lei si è venuto via via costruendo nei confronti della prima forza politica italiana è influenzata da una forte propaganda da parte di certo giornalismo e dalle cose che le riferiscono i politici italiani che provengono dai partiti tradizionali, quegli stessi partiti che sono in crisi di rappresentanza in tutta Europa e che lei ha sconfitto nettamente alle presidenziali del maggio scorso con una formazione giovanissima, En Marche». «Presidente Macron», proseguiva Di Maio, «il Movimento 5 stelle crede profondamente, proprio come lei, in una rifondazione dell'Europa che ci riporti alle missioni originarie che la comunità continentale si era data: la pace, la stabilità, il progresso economico, la tutela e la promozione dei popoli».
Passa qualche mesetto e si arriva al febbraio 2018, a poche settimane dalle elezioni del 4 marzo. Di Maio parla alla Link campus university e fa capire ciò che pensa sulla strettissima intesa tra Germania e Francia: «Deve essere chiaro che l'idea di competere con l'asse francotedesco non mi piace: dobbiamo uscire dall'idea degli assi e dei direttori e cominciare a parlare di governance europea. Confido in una migliore integrazione con la Francia, anche per il problema di Ventimiglia. In ogni caso spero di incontrare presto Macron, al quale ho già scritto delle lettere per dirgli che il M5s non è una minaccia per l'Europa». Intervistato da Le Monde, Di Maio all'epoca diceva: «Macron ha meriti immensi», e «il M5s è pro europeo».
Vabbè ma dopo le elezioni la musica è cambiata, direte voi. Non proprio. A fine marzo l'Europe en Marche, movimento associato ma diverso dal partito En Marche in Francia, aveva pubblicato un duro comunicato contro un'apertura ai 5 stelle. In poche ore, però, il messaggio era stato fatto sparire. Secondo fonti vicine all'Eliseo, l'ordine sarebbe partito da Macron, interessato a mantenere buoni rapporti. Il 18 aprile 2018 a sua volta la delegazione del M5s al Parlamento europeo aveva diffuso una nota ufficiale per schierarsi senza se e senza ma al fianco di Macron. Lo spunto era stato il discorso del presidente francese all'Europarlamento: «Siamo pronti a collaborare con il presidente Macron», scrivevano i deputati europei del M5s, «per fornire il nostro contributo a un'agenda veramente europea, in grado di rilanciare un'integrazione fiaccata da anni di egoismi e politiche fallimentari».
Una corrispondenza di amorosi sensi interrotta quando Di Maio ha scelto di allearsi con la Lega.
Ma la stampa d’Oltralpe fa le pulci a Macron: «Ha iniziato lui lo scontro»
Come molti presidenti della Quinta Repubblica francese, anche Emmanuel Macron pensa di essere onnipotente. Dato che la Costituzione - cucita su misura sulla figura del generale Charles de Gaulle - riduce fortemente i contrappesi istituzionali e il ruolo delle opposizioni, non appena qualcuno fa qualcosa che non piace all'Eliseo viene classificato tra i nemici, tra i non républicains. Dopo il suo tour in terra gallica, anche il nostro Luigi Di Maio è stato classificato tra i «cattivi».
Paradossalmente però vari media e osservatori francesi hanno riconosciuto la responsabilità dell'inquilino dell'Eliseo in questa crisi diplomatica inedita e sproporzionata. A differenza di quanto è avvenuto in Italia, pochi sono quelli che si sono stracciati le vesti davanti all'«ingerenza italiana». Quasi tutti coloro che lo hanno fatto appartengono all'area della maggioranza macronista.
Tutto è accaduto nella stessa settimana in cui il Paese ha scoperto un nuovo filone - il quarto - dell'affaire Benalla. Quasi negli stessi giorni il sito Mediapart si è opposto a una perquisizione della sua redazione, giusto qualche ora dopo aver pubblicato la registrazione di una conversazione tra l'ex bodyguard dell'Eliseo e Vincent Crase, l'altro indagato per i fatti del 1° maggio 2018. Fatte queste considerazioni ci si può domandare se la Francia di Macron possa permettersi di fare la morale all'Italia.
La risposta è no per Didier Maïsto, presidente di Sud Radio, soprattutto in materia di migranti. «L'Italia non deve ricevere lezioni dalla Francia, perché in questa emergenza ha lavorato bene, in silenzio e da sola». Per Maïsto, il richiamo dell'ambasciatore di Francia a Roma «non è tanto un segno di debolezza di Macron, piuttosto lo vedo come una strategia volta a strumentalizzare la storia per fare paura agli elettori. Un modo per farsi passare come l'ultima barriera contro gli estremismi». Per il numero uno di Sud Radio «con questa polemica il governo sposta l'attenzione sul rischio di appropriazione che corre il movimento dei gilet gialli. In questo modo non si parla più delle loro rivendicazioni perché si paventa il rischio di ingerenza straniera».
Critico anche Le Figaro, che in un commento di Isabelle Lasserre ha evidenziato che a iniziare le ostilità è stato Macron, che ormai si presenta come la bandiera contro i governi populisti, a partire dal quello di Viktor Orbán in Ungheria, non Luigi Di Maio con la sua visita ai gilet gialli. «Macron ha scelto il suo campo», ha scritto, aggiungendo una domanda retorica: «La relazione fra Francia e Italia è una vittima collaterale dell'opposizione introdotta nel continente dall'Eliseo?».
Critico anche Alexandre Devecchio, giornalista sempre di Le Figaro: «Credo che litigare con un alleato storico come l'Italia non sia il modo migliore per costruire l'Europa della pace, promossa da Emmanuel Macron». Per il giornalista del quotidiano «le due parti hanno trovato nell'altra il loro migliore nemico. Dopo tutto è come se al di qua e al di là delle Alpi si stesse recitando una commedia con finalità di politica interna ed elettorali». Secondo Devecchio comunque la Francia dovrebbe cambiare la propria strategia nell'Ue. «Invece che trovare degli avversari, credo che Parigi dovrebbe agire come un arbitro in Europa. Dovrebbe cercare delle alleanze multiple, non solo con la Germania».
«Spero che ce ne dimenticheremo presto», conclude Alexandre Devecchio, «ma se un giorno dovessimo arrivare a una ridefinizione dell'Europa, in senso progressista o sovranista, potremmo identificare questo momento come l'inizio di questo cambiamento».
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Riduci
Parigi alza il livello della battaglia: potrebbe respingere i migranti della Sea Watch. Matteo Salvini invita a Roma l'omologo Christophe Castaner, che lo snobba: «Non mi faccio convocare».Pochi mesi fa Eliseo e M5s tubavano. Durante le lunghe consultazioni al Quirinale, il leader di En Marche assicurava: «Tenderò una mano al nuovo governo». E Luigi Di Maio rispondeva: «Ha meriti immensi».Ma la stampa d'Oltralpe fa le pulci a Emmanuel Macron: «Ha iniziato lui lo scontro». Per «Le Figaro» è stato il presidente a incominciare la guerra Il direttore di Sud Radio: «Una strategia contro i gilet gialli».Lo speciale contiene tre articoli. Nessuno mi può convocare, nemmeno tu. Prosegue il festival delle stoccate incrociate tra Roma e Parigi: anche ieri il governo italiano e quello francese si sono scambiati accuse e controaccuse, dopo che l'altro ieri l'ambasciatore francese in Italia, Christian Masset, era stato richiamato in patria a causa dell'incontro avvenuto il 5 febbraio scorso a Montargis tra il vicepremier Luigi Di Maio e alcuni gilet gialli. Una misura diplomatica che per Parigi potrebbe essere temporanea: «Quando un ministro di un Paese straniero», ha detto ieri il portavoce del governo francese Benjamin Griveaux, «si reca in Francia per incontrare i gilet gialli, la cortesia e la diplomazia vorrebbero che si avvertisse il governo. Abbiamo richiamato l'ambasciatore per una consultazione, non è un atto permanente ma è un importante segnale perché l'Italia è un alleato storico della Francia e un Paese fondatore dell'Unione europea. Il dialogo non è mai stato spezzato», ha aggiunto Griveaux, «ma c'è anche un presidente del Consiglio in Italia, si chiama Giuseppe Conte, è lui il capo del governo italiano e Macron lo ha già incontrato molte volte».Parole fintamente concilianti seguite da un attacco durissimo: «Se si vuol fare indietreggiare la lebbra nazionalista, se si vuole fare indietreggiare i populisti, se si vuol fare indietreggiare la sfida all'Europa, il modo migliore è di comportarsi bene con i propri partner». Una frase riferita ai gilet gialli, ma che chiama in causa direttamente anche i gialloblù, visto che proprio Macron a giugno si era già rivolto al nostro governo parlando proprio di «lebbra populista», proprio le stesse parole scelte dal suo portavoce. Per finire, Griveaux ha aggiunto che le «battute» di Luigi Di Maio e Matteo Salvini sulla Francia «non hanno evitato all'Italia di entrare in recessione».«Non si tratta di drammatizzare», ha rincarato il ministro francese per gli Affari europei Nathalie Loiseau, «si tratta di dire che la ricreazione è finita. Un rappresentante di un governo straniero che viene in Francia a sostenere quello che non è nemmeno un leader politico, ma uno che ha chiamato alla guerra civile, al rovesciamento del presidente e a un governo militare, non si era mai visto».Si riapre anche un altro fronte caldo, quello dell'immigrazione. Fonti del Viminale hanno fatto sapere che la Francia avrebbe cambiato idea sulla Sea Watch, e non sarebbe disposta ad accogliere la sua quota di profughi come concordato: accetterebbe solo stranieri che hanno diritto alla protezione internazionale e non migranti economici.«Faremo a meno della Francia», ha commentato il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, «non dei francesi che sono un popolo stupendo. Evidentemente chi sta governando ha le idee un po' confuse. La Francia ha respinto negli ultimi due anni 60.000 migranti». «La prossima settimana», ha aggiunto Salvini a margine di una manifestazione elettorale in Abruzzo, «incontrerò a Roma il ministro degli Interni francese. Lo convocherò perché voglio risolvere la situazione. Con i no non si va da nessuna parte. Al ministro francese chiederò che vengano rimandati in Italia i 15 terroristi italiani che oggi si trovano in Francia». Il ministro dell'Interno francese Christophe Castaner, però, prima ha risposto piccato «Non mi faccio convocare da nessuno!» e poi ha aggiunto: «Con l'Italia il dialogo è costante ma deve essere rispettoso. Sono pronto anch'io ad accogliere Salvini. Penso che le missioni diplomatiche non debbano farsi di nascosto ma in modo ufficiale». «Ovviamente», ha precisato Salvini, «io non voglio ne posso convocare nessuno: sarò lieto di ospitare in Italia, il prima possibile, il mio collega francese per discutere e risolvere i problemi». Lo stesso Salvini ha poi inviato una lettera a Castaner: «Caro collega», ha scritto Salvini, «i nostri Paesi da sempre condividono solidi rapporti bilaterali, con particolare riferimento ai campi della sicurezza, del terrorismo e dell'immigrazione. In questo quadro, sarei particolarmente lieto di invitarla a Roma, per un confronto e un proficuo scambio sui dossier aperti. Le anticipo, tra i vari temi, che confermo un vivo interesse per la collaborazione da voi offerta», ha scritto Salvini, riferendosi abbastanza esplicitamente al caso dei migranti della Sea Watch, «a proposito dei rimpatri dei migranti economici». A proposito della Sea Watch: lunedì 11 e martedì 12 febbraio la nave, che batte bandiera dell'Olanda e che è ormeggiata nel porto di Catania, sarà oggetto di un'ispezione tecnica a cura dell'ispettorato ambiente e trasporti del ministero olandese delle Infrastrutture.Nell'attesa di sapere se e dove si incontreranno Salvini e Castaner, magari in «campo neutro», c'è da registrare anche la lettera che Luigi Di Maio ha indirizzato a Le Monde: «Il popolo francese», ha scritto il leader del M5s, «è il nostro riferimento. Noi guardiamo al vostro popolo come a un punto di riferimento e non un nemico, e le divergenze politiche e di visione fra il governo francese e italiano non devono ricadere sul rapporto di amicizia storico che unisce i nostri due popoli e i nostri due Stati». Invita alla calma, parlando con La Stampa, il commissario europeo all'Economia, il francese Pierre Moscovici: «È incomprensibile immaginare, per ragioni politiche e pretestuose, un allontanamento fra Italia e Francia».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-francia-insulta-ancora-bisogna-fermare-la-lebbra-nazionalista-2628406582.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pochi-mesi-fa-eliseo-e-m5s-tubavano" data-post-id="2628406582" data-published-at="1765535993" data-use-pagination="False"> Pochi mesi fa Eliseo e M5s tubavano Il M5s che oggi fa a pezzettini Emmanuel Macron e che flirta con i gilet gialli è lo stesso partito che nei mesi (non millenni) scorsi considerava l'inquilino dell'Eliseo un potenziale alleato. Una visione condivisa da Macron, che durante le lunghe consultazioni al Quirinale aveva teso una mano ai grillini proprio quando l'ipotesi del M5s al governo sembrava destinata a tramontare. Basti pensare che il 25 maggio (prima che Sergio Mattarella convocasse Carlo Cottarelli per cercare i voti per un esecutivo tecnico), il presidente francese disse: «Vogliamo tendere la mano al nuovo governo italiano» per lavorare insieme su temi come «la sicurezza, l'immigrazione, l'integrazione dell'Eurozona». Già da tempo, d'altronde, i grillini mandavano messaggi rassicuranti all'Eliseo. Il 23 novembre 2017, per esempio, sul Blog delle Stelle Luigi Di Maio aveva scritto: «Egr. sig. presidente Macron il Movimento 5 stelle avrà modo di raccontarle e spiegarle chi siamo davvero, cosa vogliamo e come vediamo il futuro dell'Europa e dell'Italia nello scenario internazionale. Probabilmente l'opinione che lei si è venuto via via costruendo nei confronti della prima forza politica italiana è influenzata da una forte propaganda da parte di certo giornalismo e dalle cose che le riferiscono i politici italiani che provengono dai partiti tradizionali, quegli stessi partiti che sono in crisi di rappresentanza in tutta Europa e che lei ha sconfitto nettamente alle presidenziali del maggio scorso con una formazione giovanissima, En Marche». «Presidente Macron», proseguiva Di Maio, «il Movimento 5 stelle crede profondamente, proprio come lei, in una rifondazione dell'Europa che ci riporti alle missioni originarie che la comunità continentale si era data: la pace, la stabilità, il progresso economico, la tutela e la promozione dei popoli». Passa qualche mesetto e si arriva al febbraio 2018, a poche settimane dalle elezioni del 4 marzo. Di Maio parla alla Link campus university e fa capire ciò che pensa sulla strettissima intesa tra Germania e Francia: «Deve essere chiaro che l'idea di competere con l'asse francotedesco non mi piace: dobbiamo uscire dall'idea degli assi e dei direttori e cominciare a parlare di governance europea. Confido in una migliore integrazione con la Francia, anche per il problema di Ventimiglia. In ogni caso spero di incontrare presto Macron, al quale ho già scritto delle lettere per dirgli che il M5s non è una minaccia per l'Europa». Intervistato da Le Monde, Di Maio all'epoca diceva: «Macron ha meriti immensi», e «il M5s è pro europeo». Vabbè ma dopo le elezioni la musica è cambiata, direte voi. Non proprio. A fine marzo l'Europe en Marche, movimento associato ma diverso dal partito En Marche in Francia, aveva pubblicato un duro comunicato contro un'apertura ai 5 stelle. In poche ore, però, il messaggio era stato fatto sparire. Secondo fonti vicine all'Eliseo, l'ordine sarebbe partito da Macron, interessato a mantenere buoni rapporti. Il 18 aprile 2018 a sua volta la delegazione del M5s al Parlamento europeo aveva diffuso una nota ufficiale per schierarsi senza se e senza ma al fianco di Macron. Lo spunto era stato il discorso del presidente francese all'Europarlamento: «Siamo pronti a collaborare con il presidente Macron», scrivevano i deputati europei del M5s, «per fornire il nostro contributo a un'agenda veramente europea, in grado di rilanciare un'integrazione fiaccata da anni di egoismi e politiche fallimentari». Una corrispondenza di amorosi sensi interrotta quando Di Maio ha scelto di allearsi con la Lega. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-francia-insulta-ancora-bisogna-fermare-la-lebbra-nazionalista-2628406582.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ma-la-stampa-doltralpe-fa-le-pulci-a-macron-ha-iniziato-lui-lo-scontro" data-post-id="2628406582" data-published-at="1765535993" data-use-pagination="False"> Ma la stampa d’Oltralpe fa le pulci a Macron: «Ha iniziato lui lo scontro» Come molti presidenti della Quinta Repubblica francese, anche Emmanuel Macron pensa di essere onnipotente. Dato che la Costituzione - cucita su misura sulla figura del generale Charles de Gaulle - riduce fortemente i contrappesi istituzionali e il ruolo delle opposizioni, non appena qualcuno fa qualcosa che non piace all'Eliseo viene classificato tra i nemici, tra i non républicains. Dopo il suo tour in terra gallica, anche il nostro Luigi Di Maio è stato classificato tra i «cattivi». Paradossalmente però vari media e osservatori francesi hanno riconosciuto la responsabilità dell'inquilino dell'Eliseo in questa crisi diplomatica inedita e sproporzionata. A differenza di quanto è avvenuto in Italia, pochi sono quelli che si sono stracciati le vesti davanti all'«ingerenza italiana». Quasi tutti coloro che lo hanno fatto appartengono all'area della maggioranza macronista. Tutto è accaduto nella stessa settimana in cui il Paese ha scoperto un nuovo filone - il quarto - dell'affaire Benalla. Quasi negli stessi giorni il sito Mediapart si è opposto a una perquisizione della sua redazione, giusto qualche ora dopo aver pubblicato la registrazione di una conversazione tra l'ex bodyguard dell'Eliseo e Vincent Crase, l'altro indagato per i fatti del 1° maggio 2018. Fatte queste considerazioni ci si può domandare se la Francia di Macron possa permettersi di fare la morale all'Italia. La risposta è no per Didier Maïsto, presidente di Sud Radio, soprattutto in materia di migranti. «L'Italia non deve ricevere lezioni dalla Francia, perché in questa emergenza ha lavorato bene, in silenzio e da sola». Per Maïsto, il richiamo dell'ambasciatore di Francia a Roma «non è tanto un segno di debolezza di Macron, piuttosto lo vedo come una strategia volta a strumentalizzare la storia per fare paura agli elettori. Un modo per farsi passare come l'ultima barriera contro gli estremismi». Per il numero uno di Sud Radio «con questa polemica il governo sposta l'attenzione sul rischio di appropriazione che corre il movimento dei gilet gialli. In questo modo non si parla più delle loro rivendicazioni perché si paventa il rischio di ingerenza straniera». Critico anche Le Figaro, che in un commento di Isabelle Lasserre ha evidenziato che a iniziare le ostilità è stato Macron, che ormai si presenta come la bandiera contro i governi populisti, a partire dal quello di Viktor Orbán in Ungheria, non Luigi Di Maio con la sua visita ai gilet gialli. «Macron ha scelto il suo campo», ha scritto, aggiungendo una domanda retorica: «La relazione fra Francia e Italia è una vittima collaterale dell'opposizione introdotta nel continente dall'Eliseo?». Critico anche Alexandre Devecchio, giornalista sempre di Le Figaro: «Credo che litigare con un alleato storico come l'Italia non sia il modo migliore per costruire l'Europa della pace, promossa da Emmanuel Macron». Per il giornalista del quotidiano «le due parti hanno trovato nell'altra il loro migliore nemico. Dopo tutto è come se al di qua e al di là delle Alpi si stesse recitando una commedia con finalità di politica interna ed elettorali». Secondo Devecchio comunque la Francia dovrebbe cambiare la propria strategia nell'Ue. «Invece che trovare degli avversari, credo che Parigi dovrebbe agire come un arbitro in Europa. Dovrebbe cercare delle alleanze multiple, non solo con la Germania». «Spero che ce ne dimenticheremo presto», conclude Alexandre Devecchio, «ma se un giorno dovessimo arrivare a una ridefinizione dell'Europa, in senso progressista o sovranista, potremmo identificare questo momento come l'inizio di questo cambiamento».
Ppalazzo Berlaymont (Getty Images)
In base allo schema ipotizzato, per quanto se ne può sapere, Bruxelles convoglierebbe le attività immobilizzate della Banca centrale russa in una linea di credito a tasso zero per l’Ucraina. L’Ue intenderebbe coprire 90 miliardi di euro del deficit di finanziamento dell’Ucraina, che è di 135 miliardi di euro, per i prossimi due anni attingendo a queste attività. A Kiev verrebbe chiesto di rimborsare il prestito solo dopo che Mosca avrà accettato di risarcire i danni causati dalla sua aggressione. Cosa che non avverrà mai. La proposta non ha precedenti nella storia moderna e solleva enormi dubbi e alcune contrarietà su aspetti di grande rilevanza.
Innanzitutto, sul tema delicato della compensazione monetaria destinata a coprire i danni o le perdite subite durante una guerra. Da che mondo è mondo, dalle imposizioni di Roma verso Cartagine dopo la prima e seconda guerra punica, alla guerra franco- prussiana fino a giungere alla Prima e Seconda guerra mondiale, sono sempre stati coloro che hanno perso le guerre che hanno dovuto pagare i debiti, e non il contrario. L’Ue su questa materia capovolge la storia.
In secondo luogo ci sono potenziali implicazioni economiche e strategiche: l’utilizzo degli asset sovrani russi per emettere il prestito di riparazione potrebbe avere effetti «a catena» in tutta l’Eurozona e provocare un esodo di investitori preoccupati da decisioni unilaterali delle autorità in futuro. Ma il punto dirimente e controverso in questo dibattito riguarda non tanto la già avvenuta immobilizzazione degli stessi, bensì l’effettiva possibilità di una confisca permanente. Nel caso degli asset di soggetti «riconducibili» al Cremlino (si pensi ad esempio agli oligarchi) inoltre, le confische rischierebbero di collidere col rispetto dei diritti di godimento di proprietà facenti parte della cornice dei diritti umani. Ancor più complicata è la confisca permanente di asset di diretta proprietà di uno Stato estero, che sono protetti dall’immunità e dal diritto internazionale. Inoltre, una delle più intuitive conseguenze di una confisca da parte dei Paesi europei sarebbe la sicura ritorsione russa. Il Cremlino ha infatti fatto sapere di avere pronta una lista di asset occidentali da aggredire a tal fine. A ogni modo, gli investimenti in Russia e riserve in rublo differiscono significativamente da Paese a Paese, e a essere particolarmente esposti sono proprio i paesi dell’Unione europea. Più che a livello di riserve delle varie banche centrali dei singoli Stati o della stessa Bce, una forte vulnerabilità risiede negli investimenti europei su suolo russo. Stando a fonti russe, su 288 miliardi di dollari la quota di asset degli Stati europei vale oltre 220 miliardi, ossia più del 75%.
Bisogna aggiungere anche che a preoccupare molti Paesi sarebbero anche le possibili conseguenze che una confisca così audace economicamente e «legalmente» avrebbe sulla stabilità dell’euro. Dando vita ad un importante precedente reputazionale, l’esproprio degli asset russi rischierebbe infatti di spingere molte banche centrali di vari Paesi stranieri a ridurre le loro riserve in euro come misura cautelare, indebolendo così la valuta dell’eurozona. È in parte un meccanismo già avviato non solo dalla Russia stessa, ma anche da paesi come Turchia o Cina, che da qualche anno stanno via via sganciandosi da valute come il dollaro e l’euro. Del resto chi si fiderebbe più dell’Europa se basta una decisione politica per sottrarre risorse finanziarie di proprietà di soggetti economici e di Stati esteri che hanno investito nel Vecchio continente? Deve averlo compreso bene la stessa Bce, condividendo le preoccupazioni emerse da più parti se ha deciso di rifiutare di fornire garanzie per il prestito di circa 140 miliardi di euro all’Ucraina, non solo perché la proposta della Commissione europea viola il suo mandato, ma si presume anche per le debolezze politiche e legali di una simile iniziativa.
Infine, una annotazione generale. Questa idea della Commissione europea fa, per così dire, uno scempio del concetto di libero mercato, introducendo una idea di capitalismo politico che si avvicina molto al cosiddetto capitalismo di Stato. Un capitalismo che si addice molto alle autocrazie che Bruxelles vorrebbe combattere. Davvero una gran bella pensata. Se invece di rischiare di pagare conseguenze che ricadrebbero sui cittadini europei, utilizzassero quel poco di sale in zucca rimasto per favorire un negoziato di pace ricostruirebbero un po’ di quella credibilità che allo stato attuale sembra decisamente smarrita.
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Riduci
Ursula von der Leyen (Ansa)
Nella visione del segretario generale della Nato, gli europei saranno «il prossimo obiettivo di Mosca» entro cinque anni. Ma non solo, il conflitto potrebbe addirittura essere «della stessa portata della guerra che hanno dovuto sopportare i nostri nonni e bisnonni». E su queste basi vaghe ha quindi esortato gli alleati ad aumentare gli sforzi di Difesa per scongiurare il temuto conflitto. Poco importa quindi a Rutte se Mosca ha confermato pure ieri che non nutre «alcun piano aggressivo nei confronti dei membri della Nato o dell’Ue». Nella conferenza stampa, a fianco del cancelliere tedesco, Friedrich Merz, il segretario generale della Nato ha poi tirato le orecchie ai Paesi della Nato, colpevoli di non prendere sul serio «la minaccia russa» e di essere «silenziosamente compiacenti».
Ma chi non prende sul serio gli avvertimenti è Bruxelles in merito agli asset russi: il Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper) ha raggiunto un accordo sulla visione rivista della proposta inerente all’articolo 122 del Trattato Ue. E ha dato il via libera alla procedura scritta che si concluderà entro le 17 di oggi. Qualora arrivasse il voto favorevole, il blocco degli asset russi sarà quindi a tempo indeterminato. Si completa così il primo step per far sì che siano utilizzati i beni russi congelati a sostegno Kiev, in vista del Consiglio Ue della prossima settimana. A commentare il risultato è stato il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis: «È stato approvato in linea di principio un regolamento che proibisce il trasferimento» degli asset russi congelati. E ha quindi spiegato che il regolamento «dovrebbe aiutare con il prestito basato sugli asset russi» visto che «assicura che restino congelati», senza il bisogno di rinnovare il blocco all’unanimità ogni sei mesi. Anche il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è intervenuta in merito dicendo: «Domani (oggi, ndr) spero che sia compiuto il prima passo per l’uso degli asset russi, metterli al sicuro, poi la decisione su come usarli sarà presa al Consiglio Europeo la prossima settimana, in un voto a maggioranza qualificata». A non condividere la linea di Bruxelles sono sicuramente la Slovacchia e l’Ungheria. Il premier slovacco, Robert Fico, ha già scritto al presidente del Consiglio europeo, António Costa: «Vorrei affermare che, in occasione del prossimo Consiglio europeo, non sono in grado di sostenere alcuna soluzione alle esigenze finanziarie dell’Ucraina che preveda la copertura delle spese militari dell’Ucraina per i prossimi anni». Continuando a mettere i puntini sulle i, ha sottolineato: «La politica di pace che sostengo con coerenza mi impedisce di votare a favore del prolungamento del conflitto militare: fornire decine di miliardi di euro per le spese militari significa prolungare la guerra». «Profonda preoccupazione» è stata espressa da Budapest per «la recente tendenza» ad «aggirare le procedure di decisione all’unanimità». Anche perché l’articolo 122 non è «la base giuridica corretta» per bloccare senza scadenza gli asset russi.
Sul fronte delle trattative di pace il tempo stringe. E dopo che Kiev ha inviato la sua versione del piano a Washington, ieri pomeriggio la Coalizione dei volenterosi si è riunita virtualmente. Tra i leader che hanno preso parte, il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, il premier britannico, Keir Starmer, il presidente francese, Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Al termine del meeting, il leader di Kiev ha dichiarato: «Stiamo lavorando per assicurare che le garanzie di sicurezza includano componenti serie di deterrenza europea e siano affidabili». E ha avvisato pure Washington: «È importante che gli Stati Uniti siano con noi e sostengano questi sforzi. Nessuno è interessato a una terza invasione russa». Von der Leyen ha ripetuto che «l’obiettivo è raggiungere una pace giusta e sostenibile per l’Ucraina». Le iniziative europee, in ogni caso, per Mosca non sono efficaci. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha infatti commentato: «L’Europa sta cercando in tutti i modi di sedersi al tavolo delle trattative, ma le idee che coltiva non saranno utili ai negoziati». E ha lanciato un avvertimento già noto ai leader europei: qualora venissero schierate le forze di peacekeeping in Ucraina saranno considerate «immediatamente» gli «obiettivi legittimi» di Mosca.
L’agenda dei negoziati intanto prosegue: domani è previsto un incontro a Parigi tra i funzionari ucraini, americani, francesi, tedeschi e britannici per tentare di raggiungere un consenso sul piano di pace. Secondo quanto riferito da Axios, a rappresentare i leader europei e l’Ucraina saranno i rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale, ma non è ancora chiaro se per gli Stati Uniti parteciperà il segretario di Stato americano, Marco Rubio.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
«Al momento, ci sono tre documenti: i 20 punti fondamentali, le garanzie di sicurezza e il documento sull’economia e la ricostruzione», ha proseguito il funzionario. Sempre ieri, Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio, da lui stesso definito «costruttivo e approfondito», sulle garanzie di sicurezza con alcuni alti funzionari americani: il segretario di Stato, Marco Rubio, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, e l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff.
Nel frattempo, le relazioni transatlantiche si stanno facendo sempre più tese. Mercoledì sera, Donald Trump ha commentato aspramente la telefonata che, alcune ore prima, aveva avuto con Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron.
«Abbiamo parlato con i leader di Francia, Germania e Regno Unito, tutti ottimi leader, miei cari amici. E abbiamo discusso dell’Ucraina con parole piuttosto forti. E vedremo cosa succede. Voglio dire, stiamo aspettando di sentire le risposte», ha dichiarato il presidente americano, che ha anche rivelato di essere stato invitato a un incontro in Europa, dedicato alla questione delle garanzie di sicurezza. «Prima di andare a un incontro, vogliamo sapere alcune cose», ha affermato, per poi aggiungere: «Vorrebbero che andassimo a un incontro nel fine settimana in Europa, e prenderemo una decisione, a seconda di cosa ci diranno. Non vogliamo perdere tempo». In tal senso, la Casa Bianca ha fatto sapere che Trump non ha ancora deciso se mandare o meno un rappresentante al vertice di Parigi in programma sabato.
È in questo quadro che, ieri, Merz ha chiesto agli Stati Uniti di partecipare a un meeting che dovrebbe tenersi all’inizio della prossima settimana a Berlino. Il cancelliere tedesco ha inoltre sottolineato che il principale nodo sul tavolo risiede in «quali concessioni territoriali l’Ucraina è disposta a fare». Lunedì scorso, Zelensky aveva escluso delle cessioni di territorio, ribadendo una linea in netto contrasto con quella della Casa Bianca che, ormai da tempo, sta cercando di convincere il presidente ucraino a rinunciare al Donbass. A tal proposito, ieri Zelensky ha confermato che le questioni territoriali (soprattutto quelle del Donetsk e di Zaporizhia) sono ancora «in discussione» e che, secondo lui, dovrebbero essere decise tramite «elezioni o referendum. Deve esserci una posizione del popolo ucraino». Ha inoltre aggiunto che gli Usa vorrebbero creare una «zona economica libera» nell’area di Donbass che Kiev, stando ai desiderata della Casa Bianca, dovrebbe eventualmente abbandonare. Infine, secondo il leader ucraino, Washington ritiene che un cessate il fuoco totale sia possibile solo a seguito della firma di un accordo quadro. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, Trump si era detto «deluso» da Zelensky, accusando inoltre i leader europei di debolezza. A complicare ulteriormente le relazioni transatlantiche ci si è poi messo Macron che, la scorsa settimana, si è recato in Cina, tentando maldestramente di avviare un processo di pace alternativo a quello condotto da Washington.
Mosca, dal canto suo, ha invece espresso sintonia con la Casa Bianca. «Di recente, quando il rappresentante speciale del presidente Trump, Stephen Witkoff, è stato qui, dopo il suo incontro con Vladimir Putin, entrambe le parti, russa e americana, hanno confermato le intese reciproche raggiunte in Alaska», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «L’essenza di queste intese è che l’Ucraina deve tornare ai fondamenti non allineati, neutrali e non nucleari del suo Stato», ha aggiunto. «Dobbiamo dare il giusto riconoscimento al leader americano: dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, ha affrontato seriamente la questione. A nostro avviso, si sta impegnando sinceramente per contribuire a risolvere il conflitto attraverso mezzi politici e diplomatici», ha proseguito. Non solo. Sempre ieri, Mosca ha mostrato apprezzamento verso l’eventualità, rivelata dal Wall Street Journal, che, nel quadro di un potenziale accordo di pace, Washington possa effettuare investimenti in energia russa. «Siamo interessati a un afflusso di investimenti esteri», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ciò detto, ieri la Casa Bianca ha detto che il presidente americano è «estremamente frustrato» tanto da Kiev quanto da Mosca.
Trump punta a chiudere la crisi ucraina per sganciare Mosca da Pechino, facendo leva su economia e commercio. Vladimir Putin, dal canto suo, ha bisogno della Casa Bianca per cercare di riacquisire influenza in Medio Oriente: lo zar vuole infatti recuperare terreno in Siria e ritagliarsi il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran sul nucleare. Ebbene, davanti ai significativi interessi che stanno alla base del riavvicinamento tra Usa e Russia, gli europei fanno fatica a ritagliarsi un ruolo diplomatico, oltreché geopolitico, di peso.
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