
Per un anno e mezzo Elsa Fornero è stata ministro del Lavoro e delle politiche sociali. Nessuno, prima che Giorgio Napolitano le assegnasse il delicato incarico, l’aveva mai nemmeno sentita nominare, ma credo che oggi tutti se la ricordino, con le lacrime agli occhi. Non le sue, ma quelle piante dagli italiani quando capirono che sarebbero andati in pensione molto più tardi di quanto avessero previsto. Di certo ne hanno memoria le decine di migliaia di lavoratori che scoprirono sotto l'albero di Natale il pacco-dono della signora, la quale con un colpo di penna cambiò la loro vita e quella delle loro famiglie. Invece di potersi ritirare e godere i frutti di tanti anni di fatica, appresero, infatti, a metà dicembre di aver perso sia il lavoro sia l’assegno previdenziale. «Esodati», li chiamarono, ma sarebbe stato meglio chiamarli con un termine più aderente alla realtà: fregati, e per di più dallo Stato. Per riparare i pasticci, i governi venuti dopo quello di cui faceva parte la professoressa torinese furono costretti a varare ben nove provvedimenti legislativi. Uno per ogni anno. L’ultimo a distanza di dieci anni dalla riforma lacrime e sangue (è il caso di dirlo) della signora.
Ho fatto questa lunga premessa, ricordando i guasti dell’esecutivo presieduto da Mario Monti e della donna che in quel consesso si occupava di lavoro e politiche sociali, perché la Fornero è tornata. Forse considerando che il tempo si porta via ogni ricordo, anche quelli più brutti, si è affacciata dalle pagine della Stampa per impartire una lezione. Appartenendo a quella sinistra chic che si reputa da sempre superiore e per di più, avendo a lungo calcato le cattedre, l’ex ministro ha voluto interrogare il governo sulle ragioni per cui si oppone all’introduzione del salario minimo. Indossati i panni dell’eroina dei più deboli e dimentica di quei deboli a cui lei ha contribuito a togliere salario e pensione, lasciandoli in mezzo a una strada, Fornero è partita con una raffica di domande. Che, ovviamente, erano talmente retoriche da contenere già la risposta.
Se l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non fa quello che i più intelligenti chiedono, ovvero non fissa un parametro per la retribuzione oraria, è perché ha paura di fare il lavoro della sinistra, perché teme di alienarsi le simpatie dell’ala destra del sindacato ma, soprattutto, perché ha timore di deludere le imprese che lavorano in nero e di fare un favore agli immigrati. Ovviamente, io ho tradotto le domande in sentenze, in quanto è questo che la prof voleva dire.
Tuttavia, nei panni di nostra signora degli oppressi, Fornero si è dimenticata la domanda delle cento pistole. Ovvero, non si è chiesta perché lei, quand’era ministro nel governo dei migliori, non ha fatto ciò che ora rimprovera ad altri di non fare. Che cosa le ha impedito di varare il salario minimo? Partiti e sindacati, di certo, non si sarebbero messi di traverso perché, spaventati com’erano, non fiatarono neppure quando lei, con una buona dose di faccia tosta, si mise a lacrimare sulle pensioni tagliate. La scena grottesca del coccodrillo che piange dopo essersi pappato la preda fu accolta con mutismo e rassegnazione. E poi Fornero e compagni erano spalleggiati dall’Europa, dalla Merkel e da Sarkozy. Erano i professori. Anzi, i migliori. E dunque, potevano fare ciò che volevano. Ma, guarda caso, il salario minimo non lo fecero. Strano, eh? La professoressa ha avuto 16 mesi per varare la misura che dovrebbe strappare gli oppressi al loro destino, ma li ha lasciati trascorrere nonostante fosse compito suo occuparsi di lavoro e politiche sociali. Però, ora, rimprovera l’esecutivo in carica da otto mesi di non fare abbastanza.
Piccolo particolare: nei calcoli che la portano a concludere che in Italia esistono tre milioni e mezzo di lavoratori sottopagati, Fornero include anche coloro che hanno un lavoro in nero, facendo finta di non sapere che retribuire un lavoratore senza pagare le tasse e i contributi è contro la legge. Ma se lo Stato non riesce a far rispettare oneri e imposte, perché dovrebbe riuscire a far rispettare una legge che fissa una retribuzione oraria?
Chissà se a questa domanda le sarà più facile rispondere rispetto a quella che da anni molti lavoratori le rivolgono, ossia come ha fatto a non capire che, con la sua riforma, avrebbe messo sul lastrico decine di migliaia di famiglie. In fondo, sulle pensioni ha dato lezioni per una vita, ma l’unica volta che le è capitato di mettere in pratica i suoi studi, ha fatto un disastro.






