2018-10-11
«La Fornero fa male a lavoratori e aziende»
Il presidente di Federalimentare: «Svantaggi sia per i dipendenti sia per le società. L'ex ministro dovrebbe provare a stare alla catena di montaggio a 64 anni: capirebbe perché è un errore. Oltre alla stabilità dei conti pubblici guardiamo alla crescita».Gli amministratori delegati di Balocco e Axitea: «Favorire il ricambio generazionale è un atto dovuto».Lo speciale contiene due articoliIl progetto di abolizione (o parziale riforma) della legge Fornero a dispetto delle aspre critiche ricevute dal Fondo monetario, da Bankitalia e da altre istituzioni internazionali resta nel Def. E si appresta a diventare uno dei pilastri della prossima legge finanziaria. Chi si oppone all'introduzione di quota 100, cioè alla possibilità di andare in pensione a 62 anni con 38 di contributi, sostiene nell'ordine a) che la novità di matrice leghista sia troppo costosa e quindi spacchi i conti; b) che non garantisca la staffetta generazionale; C) che entro 20 anni avremo per ogni lavoratore un pensionato. Tutte le obiezioni non tengono però conto del fatto che la riforma Fornero aggiusta i conti sul lungo termine. Purtroppo il picco negativo di spesa pensionistica sarà nel 2037, quando gli italiani vivranno sulla propria pelle le storture delle baby pensioni. Il problema sta nel medio termine e nel miglioramento della produttività. Le modifiche introdotte dal governo Monti ingessano il mercato, come dimostrano i dati Istat. Da ormai due anni cresce l'occupazione degli over 50, mentre gli under 24 non riescono a fare il salto. Il tasso relativo di disoccupazione resta inchiodato intorno al 30%.Ci sono imprenditori che ritengono sia arrivato il momento di mettere in discussione il dogma. Lo spiega alla Verità Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare e amministratore delegato di Inalca. «Faccio una premessa», spiega, «nessun imprenditore vuole tornare ai decenni passati, quando si pianificavano pensioni baby che hanno penalizzato i giovani e zavorrato i conti, al tempo stesso le aziende hanno bisogno di strade più flessibili di quella che la legge Fornero ha cristallizzato». È favorevole o contrario a quota 100? Ritiene che abolire la riforma Fornero riesca a creare una sorta di staffetta generazionale?«È il momento di rivedere la Fornero. Le opzioni assimilabili a quota 100 sono interessanti e da valutare. Per quanto non da trascurare, non esiste solo il tema della stabilità dei conti da perseguire nel lungo termine, ma anche quello della produttività. E questa deve essere al più presto incrementata. Le uscite anticipate dal mondo del lavoro per talune categorie sono più che mai ossigeno per molte aziende. Non concentriamoci sui dirigenti e sugli incarichi apicali. Fare uscire in anticipo figure produttive che necessitano di una formazione basica consentirà certamente un ricambio generazionale. Il dirigente o il capo reparto con 35 anni di esperienza non potrà certo essere sostituito con il giovane appena uscito dalle scuole superiori, ma l'operaio di linea sì».La Fornero ha penalizzato i lavoratori?«Posso dire che alcuni aspetti della Fornero hanno penalizzato oltre ai lavoratori molte aziende in termini di produttività. Al Nord ci sarà bisogno di inserire figure under 30 e sarà difficile trovarle. A meno che non si coordinino le uscite anticipate con corsi di formazione adeguati rivolti ai giovani. Non vorrei mai che si tornasse solo a stimolare le politiche passive, i vecchi ammortizzatori sociali. Ma è bene stimolare le politiche attive in parallelo a una riforma del comparto pensionistico».Non sono tanti gli imprenditori che la pensano come lei. Perché?«Sono molti, magari non si esprimono. Molti vorrebbero chiedere alla politica e alla Fornero di mettersi nei panni dei diretti interessati». In che senso?«Un professore universitario non vorrebbe mai andare in pensione. Io però inviterei Elsa Fornero a lavorare in una linea di produzione e a continuare a farlo fino all'età di 64 anni. Capirebbe che qualcosa non funziona per il lavoratore e per l'azienda».Il precedente governo ha puntato energia e soldi sull'industria 4.0. L'attuale esecutivo ha confermato gli impegni del precedente. Portando più tecnologia nelle aziende si potranno inserire comunque i giovani nei ruoli più bassi?«Se portiamo più tecnologia nelle aziende, cosa che tutti si augurano, crede che la cosa possa facilitare i lavoratori anziani? Innanzitutto sarà più facile il binomio industria 4.0 e ragazzi, e poi non immaginiamo aziende fatte di robot. Per noi il valore aggiunto sarà sempre dato dagli uomini. Dunque non vedo il problema».Rappresenta una filiera che però gode di una buona produttività. Negli ultimi dieci anni (2007-2017) il comparto agricolo ha registrato un aumento del parametro del 5,5% a dispetto di una contrazione generale dell'economia italiana, spalmata su dieci anni, del 4,1%. Anche l'alimentare ha messo a segno una crescita del 3,6%. «Vero, è così. Immaginate cosa la filiera potrebbe fare togliendo anche il tappo che ingessa la mobilità». Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-fornero-fa-male-a-lavoratori-e-aziende-2611432127.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-imprenditori-vogliono-quota-100-per-poter-aumentare-la-produttivita" data-post-id="2611432127" data-published-at="1758066215" data-use-pagination="False"> Gli imprenditori vogliono quota 100 per poter aumentare la produttività All'interno del World economic outlook che il Fondo monetario internazionale comunica due volte l'anno c'è un messaggio chiaro indirizzato al governo italiano sulla riforma delle pensioni: «In Italia le passate riforme pensionistiche e del mercato del lavoro dovrebbero essere preservate e ulteriori misure andrebbero perseguite, quali una decentralizzazione della contrattazione salariale per allineare i salari con la produttività del lavoro a livello aziendale», si legge nel documento degli economisti di Washington. Il problema del sistema pensionistico italiano è proprio questo: con il passare degli anni e l'aumento dell'età media dei lavoratori si è arrivati a un abbassamento considerevole della produttività, un problema per cui ora gli imprenditori chiedono una soluzione a gran voce. A dirlo sono i dati Ocse che mostrano come tra il 2010 e il 2016 l'indice di produttività (il Pil per ora lavorata) sia stato bassissimo: la crescita media annua è stata dello 0,14%, il dato peggiore dopo quello della Grecia (-1,09%). Peggio ancora è andata tra il 2001 e il 2007, quando lo Stivale ha ottenuto la maglia nera in assoluto con una flessione dello 0,01%: ultimi su tutta la linea. Non è difficile dunque capire perché la proposta del sistema quota 100 (la somma di età e contributi versati che nel 2019 permetterà a chi avrà raggiunto un'età minima di 62 anni e 38 anni di contributi di andare in pensione) piaccia agli imprenditori italiani. Un ricambio di lavoratori più frequente permetterebbe alle aziende di avere professionisti più giovani e quindi più produttivi. «Non vedo come si possano far entrare i giovani nel mondo del lavoro, senza lasciar uscire i “meno giovani"», ha detto ieri alla Verità Alberto Balocco, presidente e amministratore delegato di Balocco spa, produttore di dolciumi che ha sede a Fossano, in Piemonte. «In un Paese in cui la disoccupazione giovanile supera il 40% mi sembra un atto dovuto». «È evidente che il sistema pensionistico italiano attuale presenti diverse criticità e la quota 100 è un primo passo per rivederlo», ha evidenziato ieri alla Verità anche Marco Bavazzano, amministratore delegato Axitea spa, azienda da oltre 1.500 dipendenti che si occupa di sicurezza informatica. «È un provvedimento che può naturalmente favorire il ricambio generazionale all'interno delle aziende, facilitando l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro», spiega. «I giovani, spesso dotati di un livello di istruzione superiore a quello dei lavoratori vicini alla pensione, sono una risorsa importante per le aziende, soprattutto per quelle che, come la nostra, vogliono investire sulle nuove generazioni e sulle competenze tecnologiche». Questo è infatti un altro tema: spesso l'istruzione dei più giovani è migliore dei lavoratori che li hanno preceduti. Un sistema pensionistico che dunque favorisca l'ingresso nel mondo del lavoro di giovani e più preparati fa prima di tutto un regalo all'economia italiana, non solo alle singole aziende. «Il vero vantaggio lo avrà il nostro Paese, in particolar modo i nostri figli, non le singole aziende», spiega Bavazzano. «Sostituire un lavoratore in età da pensione comporta inevitabili costi e difficoltà, si lascia un patrimonio di esperienza e si deve investire in nuova formazione». Del resto, il sistema previdenziale attuale non è più sostenibile: né come risorse finanziarie, né tantomeno come età pensionabile. Andare in pensione a 70 anni non è un vantaggio per nessuno. Non lo è per il lavoratore che non si gode la vecchiaia, e non lo è nemmeno per le imprese che spesso si trovano costrette a tenere un professionista non più nel fiore degli anni, in attesa che suoni la campanella della pensione. «Indubbiamente, in questi anni molte aziende hanno visto praticamente congelato il proprio turnover aziendale: è innegabile che l'allungamento dei requisiti per andare in pensione abbia influito sulle scelte delle imprese», continua Bavazzano di Axitea. «Si è passati da un eccesso all'altro», aggiunge Alberto Balocco. «Negli scorsi decenni abbiamo subito delle vere oscenità: dai baby pensionati alle pensioni calcolate sul sistema retributivo, ai parlamentari che in quattro anni acquisivano diritti che gli altri umani maturavano in non meno di 35», sottolinea. «Il sistema andrebbe rivisto, pagando tutte le pensioni con il metodo contributivo, smettendola di regalare soldi a chi non li ha versati, baby pensionati e parlamentari inclusi». In effetti, questa sarebbe proprio la volontà dell'attuale governo. Non resta che trovare le coperture necessarie e il gioco è fatto. Gianluca Baldini