2019-06-07
La fine di un amore mai scoppiato tra Mr. Tod’s e l’orgoglio fiorentino
La gioia del tifo viola per la vendita della società di calcio all'italoamericano Rocco Commisso non si può capire se non si coglie l'incompatibilità tra i Della Valle e la città. E ora la curva festeggia la sua piazzale Loreto.Se un marziano capitasse a Firenze oggi, senza aver vissuto gli ultimi anni del rapporto tra la città e i Della Valle, non capirebbe il tracotante trionfalismo con il quale viene misurato il loro distacco dalla Fiorentina, che ha i toni e i gesti di una piazzale Loreto del pallone. C'è chi per il closing annunciato ieri dalla società viola scomoda esagerati paragoni resistenziali, esaltati dalla provenienza del nuovo patron Rocco Commisso, del tipo: «Arrivano gli americani a liberare la città». I più accaniti meditano vendette, evocando un clima di epurazioni (da che cosa?) per quei tifosi che fino all'ultimo hanno giustificato una proprietà che, da qualche anno a questa parte, non ha fatto nulla per ascoltare e, soprattutto, dialogare con la piazza. Da ultimo, stanca di spendere e di ricevere in cambio solo insulti e (sgarbati) inviti ad andarsene, compreso un flash mob di fronte al negozio Tod's della centralissima via Tornabuoni che pare sia stato il passo decisivo verso la vendita, ha ceduto baracca e burattini senza rimpianti. In un comunicato estremo, ieri pomeriggio, Diego Della Valle ha eternato la sua dedica a certi tifosi, definendoli «cazzari». I fiorentini non la vedono esattamente cosi. Chi ha sempre garantito un abbonamento, anche in C2, chi allo stadio c'è andato a prescindere, si è sentito preso in giro, convinto che per Della Valle la Fiorentina sia stata sempre un passatempo e perciò il patron non abbia fatto quello che avrebbe potuto e, soprattutto, quello che aveva promesso prima di nascondersi nel silenzio della mediocrità e del vivacchiare. Proprio lo stato che Firenze non sopporta.La verità è che i Della Valle (soprattutto Diego) e Firenze con i fiorentini, non si sono mai capiti. Certo, è difficile capirli, i fiorentini, per chi non sia fatto della loro pasta. Capaci di innamoramenti pazzi, per semplice passione, o di odi eterni verso chi non condivide l'orgoglio e l'ambizione. Diego, permaloso come loro, mai avrebbe potuto accettare un passo indietro e nemmeno un passo di lato. Che infatti non s'è mai sognato di compiere. Anzi, fino all'ultimo ha riaffermato, con una lettera inviata un mese fa alla Nazione, il giornale della città, la sua maestà lesa e la sua generosità non ripagata. Si riferiva soprattutto agli imprenditori, a quelli che i soldi ce li hanno e che Diego definì «rosiconi» in un improvviso eccesso di ira qualche anno fa. Comprendendo in questa categoria quanti la domenica, all'ora della partita, sfilavano nella tribuna autorità a mangiare tartine, a far salotto e ossequiare se il vento tirava dalla parte giusta, oppure a parlar male se invece spirava al contrario. E però un bel momento in cui furono chiamati a contribuire alle spese della squadra, tutti si squagliarono. Della Valle restò il solo a frugarsi e quando stanco di farlo disse che la Fiorentina si poteva finanziare solo con un nuovo stadio e un grande indotto fatto di alberghi, abitazioni di lusso, ristoranti e negozi, ci si mise la magistratura (e forse anche qualche colpo basso di invidia) a bloccare tutto, così squadra e società furono costretti a vivere di autofinanziamento. Scopo nobile e sano, ma poco popolare. A questo punto siamo arrivati. Pronti a rassegnarsi a un'altra mortificazione: dopo Federico Bernardeschi la Fiorentina è a un passo dal perdere anche Federico Chiesa, magari destinato pure lui alla Juventus. Peggio di così. In altri tempi, anni Novanta, per un affronto simile, la cessione di Roberto Baggio ai soliti bianconeri, i tifosi misero la città a ferro e fuoco per giorni, e non solo in senso figurato. Prima che la famiglia Pontello cedesse la squadra a Mario Cecchi Gori. E pensare che durante questa lunga agonia con i Della Valle, i fiorentini sono arrivati perfino a rimpiangere Vittorio, il figlio di Mario, che ne combinò più di Carlo in Francia, però almeno ci mise quella passione folle, che fu talmente tanta da far dimenticare alla città il periodo visionario, che pure portò la società al fallimento, condannata a ripartire dalla C2. Proprio con i Della Valle. E qui il cerchio si potrebbe chiudere. Invece si apre su 17 anni finiti ingloriosamente in questi giorni, con il passaggio della Fiorentina all'italoamericano Rocco Commisso. Da allora, era il 2002, la famiglia marchigiana ha garantito un equilibrio di bilanci, che è cosa importante in un'epoca di dissennate gestioni nel calcio. Ma il pallone vola: è passione appunto, emozione, utopia, esagerazione e incoscienza. Maledetti difetti che, per fortuna loro e delle loro aziende, i Della Valle non hanno mai avuto. Ma è questo che la piazza gli rimprovera. È questo ciò che Firenze avrebbe voluto, non l'esibizione dei successi contabili, di sontuose plusvalenze (40 milioni dalla Juventus per Bernardeschi) che non si traducevano in risultati esaltanti sul campo. Lo scudetto del bilancio non seduce la gente e non fa sognare.Per l'ambiziosa Firenze, un'onta inaccettabile. Chi ha osato non assecondare le aspirazioni di una città che nel mondo è maestra di tutto? Nell'inno musicale della squadra, c'è un passaggio in cui un po' enfaticamente si fa credere, «Oh Fiorentina, ricorda che del calcio è tua la storia». Si riferisce al calcio in costume, che in effetti si gioca qui da 500 anni, ma non c'entra nulla con il football moderno, nato in Inghilterra. Però a Firenze piace credere che sia così, si alimenta di questa illusione e guai a chi la mette in discussione. Ignaro, lo fece Mario Cognigni, presidente esecutivo ma soprattutto uomo di fiducia di Diego (anche più del fratello Andrea), al quale, mentre ragionava e prometteva, scappò detto «clienti» invece di «tifosi», forse perché troppo abituato a dedicarsi ai negozi e ai bilanci Tod's, più che a palloni e gol. Comunque un'offesa da lavare con il disprezzo eterno. Il nuovo signore di Firenze, Rocco Commisso, che ieri è arrivato per la prima volta in città e oggi incontrerà la gente allo stadio, qui non lo conosce nessuno, ma da qualche giorno è come se fosse nato in San Frediano, il quartiere di Vasco Pratolini. Fiorentino doc ad honorem. Qualcuno sarebbe pronto ad annettere Marina di Gioiosa Ionica, il paese natale di Rocco, alla Repubblica fiorentina, se si potesse fare. Disposti a far finta di nulla di fronte alle voci che lo descrivono tifoso della Juventus. Sarebbe l'ultimo dispetto di Della Valle, che si sapeva che era tifoso dell'Inter, poi nessuno ci fece più caso. A Firenze non sarebbe la prima volta. Ma per ora va bene anche così, paisà.