2022-02-25
La fiera dell’utero in affitto a Milano: «È illegale, il sindaco Sala la fermi»
Dopo Parigi, il 21 e il 22 maggio è in programma nel capoluogo meneghino l’evento «Un sogno chiamato bebè», che promuove la maternità surrogata. Femministe sul piede di guerra: «Offende la dignità di tutte le donne».«Alla fiera dell’est, per due soldi, un bambino mio padre comprò». Si potrà commentare così, rivisitando la nota canzone di Angelo Branduardi, Un sogno chiamato bebè, la fiera dell’utero in affitto che si terrà a Milano questa primavera. L’evento avrà luogo sabato 21 e domenica 22 maggio, ma il luogo non è sicuro. Si parla dello Spazio antologico di via Mecenate 84, ma non sono esclusi dei cambiamenti. Quello che invece è certo è il tentativo, da parte degli organizzatori, di presentare la manifestazione - che ha già fatto tappa in vari Paesi europei come la Francia, dove si è tenuta mesi fa, a Parigi, sotto il nome di Désir d’enfant - con toni melliflui.Ai partecipanti, infatti, è già ora assicurata l’opportunità di «incontrare personalmente, in un ambiente discreto e sicuro, i principali attori globali della fertilità, medici ed esperti in medicina di talento, associazioni, con i quali scoprirai le diverse opzioni di trattamento disponibili nel mondo e una vasta gamma di soluzioni naturali, mediche e personalizzate». La parola magica, come si vede, è fertilità. Della mercificazione del grembo materno e della compravendita di esseri umani non c’è invece traccia negli annunci di un evento che fa già discutere per il fatto che, banalmente, non si sarebbe dovuto tenere. Quando infatti lo scorso settembre aveva preso a circolare voce che una versione italiana di Désir d’enfant sarebbe sbarcata a Milano, tutti si erano smarcati. A partire da palazzo Marino che, tramite l’assessore all’Educazione e istruzione, Laura Galimberti, aveva ritenuto «importante chiarire» come al Comune di Milano non fosse «arrivata nessuna richiesta o informazione a riguardo». La senatrice del Pd Valeria Valente aveva perfino annunciato battaglia: «Io credo che l’appuntamento di Milano di questo Salone vada fermato». Vedremo se i dem milanesi daranno prova di coerenza osteggiando Un sogno chiamato bebè, ora che sulla sua ufficialità non ci sono più dubbi. Di certo, c’è chi si sta già apertamente mobilitando contro la fiera; e in prima linea, significativamente, troviamo delle donne. Come Deborah Giovanati, vicecapogruppo della Lega a Palazzo Marino, la quale ha trasmesso alla giunta di Beppe Sala una interrogazione urgente per sapere dove si terrà la manifestazione e se, per caso, si stiano effettuando le opportune verifiche in merito alla possibile configurazione di fattispecie di reato secondo quanto stabilito dalla Legge 40 del 2004, che all’articolo 12 espressamente punisce penalmente «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità».«Quella è una fiera illegale per il nostro ordinamento, basta vedere la scorsa edizione di Parigi», spiega alla Verità Giovanati, che annuncia di aver preparato anche «una mozione da far votare al consiglio comunale nella quale si chiede al sindaco e alla giunta di intraprendere ogni atto utile affinché non si svolgano nella nostra città manifestazioni che promuovano anche indirettamente l’utero in affitto». Una opposizione alla fiera primaverile dell’utero in affitto si sta organizzando anche al di fuori delle sedi strettamente istituzionali.Un gruppo di sigle femministe che va da Radfem Italia a Se non ora quando, e che include anche nomi di personalità di rilievo - da Luisa Muraro a Monica Ricci Sargentini fino a Marina Terragni -, ha preso carta e penna scrivendo a sindaco, giunta e consiglio comunale per chiedere se «non ritengano di doversi attivare preallertando le forze dell’ordine nonché intraprendendo qualsivoglia altra iniziativa atta a impedire l’annunciata violazione della legge italiana, che si realizza pubblicizzando una pratica che oltre a fare mercato di creature umane «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni» (Corte costituzionale, sentenza 272/2017)».«Ci siamo interrogate a lungo su cosa fare», racconta alla Verità Marina Terragni, «e valutando se procedere eventualmente a un esposto o a una querela preventiva o comunque a una segnalazione alle forze dell’ordine». «Ci troviamo davanti a un esempio della famosa finestra di Overton», aggiunge ancora la scrittrice, alludendo al noto meccanismo di condizionamento dell’opinione pubblica secondo cui «quello che la prima volta ti fa schifo, la seconda volta ti farà meno schifo e poi via di questo passo, verso l’accettabilità». In effetti, è difficile sottrarsi all’impressione che eventi come Un sogno chiamato bebè, proprio per l’enfasi e i toni con cui sono presentati, abbiano un scopo ben preciso: quello di preparare il terreno all’utero in affitto. Una pratica che la grande parte degli italiani ancora condanna, ma che muove un giro d’affare enorme - svariati miliardi di euro, a livello globale -, e che, quindi, vale la pena provare a rendere più presentabile. Come? Servendosi di parole come «sogno», «fertilità» e «bebè» per celare qualcosa che rappresenta non l’apice bensì il fondo della civiltà.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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