2021-07-18
La festa azzurra, vita contro il «covidismo»
Per non far sbiadire la fobia del Covid tra gli italiani, distratti dai trionfi della Nazionale, media e politici sono tornati a drammatizzare l'epidemia. Ma a una società servono felicità e sentimenti condivisi per ripartireLa partita Italia - Inghilterra, con la conquista del campionato europeo, non è stata solo una bella ed emozionante vicenda sportiva. Lo stesso Draghi (un tipo, come noto, poco incline alla retorica) l'ha subito mostrato, ringraziando i giocatori per avere «unito l'Italia»: un risultato politico mica da ridere. Il presidente del Consiglio ha riconosciuto il peso politico della vittoria ricordando anche che «oggi lo sport segna in maniera indelebile la storia delle nazioni», quindi: «Oggi siete voi a essere entrati nella storia». Dove siedono non solo partiti, istituzioni eccetera, ma anche le Nazionali vincenti. Il fatto è che vincere un campionato internazionale è un atto forte, che per prodursi richiede un contesto umano, culturale, politico, in grado di ispirarlo e realizzarlo, non con le chiacchiere ma con una serie di vittorie. Dietro a una grande vittoria sportiva c'è sempre una nazione forte, o che tale potrebbe diventare o tornare a essere.Draghi, che aveva appena cassato il tentativo del ministro della Salute e del prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, di impedire ai giocatori il giro nell'autobus scoperto tra la folla della capitale, si è così smarcato dagli sforzi delle burocrazie partitiche di banalizzare il senso della situazione. In ciò è stato aiutato (come Giorgio Gandola ha raccontato sulle pagine della Verità), dalla crescita dell'autorità e sicurezza di tutta la squadra e del suo capitano, Giorgio Chiellini, che ha costretto la burocrazia poliziesca e sanitaria ad accettare l'autobus aperto che il prefetto di Roma voleva sostituire con uno chiuso, mettendoci dentro gli eroi di Wembley come galeotti in un cellulare. La fermezza e dignità personale dei giocatori hanno aiutato Draghi a non stare all'eterno gioco al ribasso delle burocrazie politiche, interessate ad abbassare al più presto il livello della partecipazione emotiva popolare e nazionale, rimettendo il più rapidamente possibile l'epidemia assassina al centro dell'attenzione. Come da copione ormai pluricollaudato negli ultimi due anni, infatti, c'era da rinfrescare l'immagine del Covid, che rischiava di sbiadire nelle vacanze. Bisognava drammatizzare efficacemente la nuova variante (magari anche inventando un po'), naturalmente senza mai distinguere tra contagiati e malati, e cercare di rimettere in pista le precedenti procedure di controllo; con i loro effetti politici e pratici, di contrasto e contenimento di emozioni, sentimenti e autonomia personale, riattivando così il clima depressivo dell'ultimo anno e mezzo di pandemia. Guai, infatti, a lasciare che gli italiani escano dalla paura finora loro istillata (questa sì, con accuratezza scientifica ben più precisa di quella usata per tamponi e mascherine). La fine della paura è molto temuta dalla parte politica che ha fino a poco fa gestito l'intera pandemia perché è proprio lì, in un clima collettivo di gioia e di coraggio che le cose possono davvero cambiare, e quel potere politico finire, come natura comanda. La festa, come anche la partita (un incontro-scontro, con un vincitore) è uno dei momenti più importanti nel formare e costituire una società. L'emozione e la gioia mobilitano, rafforzano, unificano. E la nostra società italiana ha ora bisogno di essere ricostituita, dopo un lungo periodo di graduale disfacimento, da cui i disfattori/disfattisti non hanno nessuna voglia di separarsi, soprattutto perché continua a garantire loro uno status, uno stipendio e un potere. La ribellione dei giocatori, competenti coraggiosi contro i burocrati paurosi, ha però fatto fallire il piano. Almeno nel festeggiamento della vittoria; sappiamo però che questi non demordono. «Deprimere per comandare», come insegnava già all'inizio del '900 il sociologo ed economista Vilfredo Pareto, è la tecnica più usata dai regimi autoritari: un modo di essere e di governare, che togliendo ai sudditi la gioia di vivere ha aiutato spesso la continuazione di regimi già completamente bolliti.Questa strategia entra però in crisi quando compaiono nella storia nuovi gruppi e personalità con formazioni diverse, più forti e determinate. Pulite: senza le storie di incompetenza, sperpero, ignoranza, vanità e cattive abitudini che le cronache continuamente ci raccontano e che hanno caratterizzato negli ultimi decenni l'Italia di ieri, e il suo progressivo degrado. L'attuale Nazionale invece, i suoi giocatori e il suo direttore tecnico, Roberto Mancini sembrano avere molte delle caratteristiche positive, del resto visibili anche nella personalità di Mario Draghi. La sostituzione di gruppi costruttivi e affermativi, dotati dello «slancio vitale» descritto da Henry Bergson, ad altri gruppi, invece dissolutivi e immobilisti, è nel ritmo della storia, come ha dimostrato il matematico e filosofo Gaston Bachelard nei suoi lavori sulla dialettica storica, che non può fermarsi perché «immobilizzarsi equivale a morire». Mentre invece questo continuo tentativo di ricondurre la vita sociale e politica all'arresto e all'immobilità, presentate come difesa dalla morte, non fa che aggravare ogni malattia sociale (come, ad esempio è dimostrato dall'impennata dei disturbi alimentari, consumo di droga e alcolici e sedentarietà, anche tra i giovanissimi), e mettere a rischio l'intera società. È l'ideologia del Covidismo, come l'ha chiamata il medico tedesco Ludwig Hellmundt e altri nel mondo: un modo di essere, pensare e fare politica che ha preso forma nel 2020, mentre si diffondeva il Covid 19. Una visione del mondo materialista per la quale la conservazione del corpo è lo scopo supremo della vita e l'ammalarsi di Covid un evento terrificante, che rivela scarsa sensibilità sociale perché potrebbe far ammalare anche loro, i terrorizzati. Il «covidiano doc» segue con assoluto rigore tutte le norme di sicurezza, richieste o anche solo consigliate, guarda con disprezzo chi non lo fa, e obbedisce scrupolosamente a tutte le norme di legge relative. È il contrario di Chiellini: un devoto di quella «servitù volontaria» (come la chiamò nel 1500 Etienne de la Boetie, l'amico e segretario di Montaigne), oggi tornata d'attualità con la comparsa del Covid e dei suoi spaventati fedeli, pazzi per il virus. Livio Cadé sul web in Arianna Editrice ha chiamato il Covidismo: «Un umanismo che non ha più riferimenti all'essere al di là del proprio corpo». Il guaio è che il covidiano fedele non riesce più a curare bene neppure quello, perché conosce solo i vaccini, fuggendo i millenni di medicina precedenti e anche le molte conoscenze attuali, praticate con tranquillo successo fuori dai drammi del covidismo spaventato dei ministri tecnosuperstiziosi.