2022-05-18
La crociata anti omofobia travolgerà tutto
La Russia è il «diavolo» perché discrimina gli omosessuali. Ma per gli attivisti arcobaleno il problema è il Putin in ognuno di noi. Pretendono sempre nuovi «diritti», alimentando il risentimento. E così facendo trasformano la nostra democrazia in una dittatura.come figure «in grado di disattivare le strutture di pensiero concettuali, binarie», e ci aveva sicuramente visto giusto. In questo tempo l’emotività domina sulla ragione, e la differenza (il «binarismo») è bandita. L’androgino ha trionfato, ma non, come immaginava Zolla, sul piano spirituale e psichico, bensì su quello più materiale. Fluidità non è disponibilità mentale al superamento degli steccati, non è una visione morbida della realtà. È, piuttosto, una prescrizione riguardante il corpo, che dev’essere manipolabile e disponibile all’ibridazione. Fluidità è la parola d’ordine del nuovo regime, ovunque ripetuta, ovunque imposta. Non stupisce, dunque, leggere ciò che ha scritto ieri su Repubblica Claudia de Lillo, raccontando come il figlio di 12 anni le abbia illustrato la sua foto di classe appena scattata: «Questa è Maya, è pansessuale; Simone è gay, invece Bianca è bisessuale. Marta è fluida. Al momento io sono eterosessuale e cisgender. Ma devo ancora vedere». Quanto è lontano da tutto ciò quel sano equilibrio tra maschile e femminile immaginato dal grande studioso. Ciò che sconcerta, nell’elenco del ragazzino dodicenne, è l’ossessione burocratica, la classificazione sterile, la pretesa di sciogliere scientificamente il mistero della sessualità, e di rendere il sesso centrale nella definizione dell’identità di una persona, anche se si tratta di un preadolescente che inizia a malapena a conoscere il proprio corpo. Ma tant’è, questa è l’epoca. Il problema vero è che tutto ciò non è ancora sufficiente. Abbiamo notizia di licei che introducono la «carriera alias» per permettere ai minorenni di registrarsi come femmine se si «sentono» tali. Baci e moine arcobaleno sono talmente esibiti sui media da aver perso ogni carica provocatoria o sensuale. Il linguaggio è stato accuratamente levigato e sterilizzato, persino sui principali quotidiani appaiono articoli di illustri maestri del pensiero (anzi, maestr*) che utilizzano caratteri «non binari» e schwa. Chiunque esprima dubbi su questo tipo di posizioni è ferocemente attaccato, o persino censurato. C’è addirittura chi fronteggia aggressioni fisiche, come il comico americano Dave Chappelle, noto per essere divenuto il nemico numero uno degli attivisti trans. Ovunque si diffonde quella che i liberali americani Helen Pluckrose e James Lindsay chiamano «la nuova intolleranza» (così s’intitola il loro bel libro appena pubblicato in Italia da Linkiesta Books). Eppure non è ancora sufficiente. Claudia de Lillo, la mamma di quel bambino che con perizia da entomologo procedeva alla classificazione di genere dei suoi compagni, spiega che dobbiamo ancora liberarci dai pregiudizi, che i giovani sono avanti sulla scala del progresso ma la nazione ha ancora tanto da fare. Stando a una classifica stilata dall’associazione Lgbt Ilga, l’Italia è al ventiduesimo posto per quanto riguarda la tutela dei diritti arcobaleno: ci precede, abominio, anche la temibile Ungheria. Certo, il Parlamento ha rigettato il ddl Zan (lo ha fatto democraticamente, per inciso), e ciò senz’altro non ha reso felici le associazioni Lgbt. Ma nei fatti è come se la legge fosse passata. Il ministero dell’Istruzione ha invitato tutte le scuole d’Italia a organizzare eventi in occasione della giornata contro l’omofobia che si celebrava ieri. A favore dei gruppi di attivisti sono stati regolarmente stanziati milioni di euro. Inoltre, l’intero sistema economico-mediatico agisce, ormai da tempo, secondo gli standard anglo americani, cioè promuovendo (e più spesso imponendo) «l’inclusività», che in realtà è una subdola forma di tirannia della minoranza. Questo è il quadro, e decisamente non è ostile al mondo arcobaleno. Eppure continuiamo a leggere sui giornali commenti in cui si spiega che viviamo in una terra nemica dei trans, dei gay e delle lesbiche (anche se poi i primi a insultare e minacciare le lesbiche e a marginalizzarle politicamente sono spesso i gay). Ormai mesi fa, all’inizio del conflitto in Ucraina, i principali quotidiani hanno riportato con orrore le dichiarazioni del patriarca ortodosso Kirill secondo cui quella della Russia sarebbe una guerra contro la lobby gay. Ancora ieri Micromega lo accusava di nutrire una «ossessione omofobica». Ovviamente il patriarca non aveva mai parlato di lobby gay e non aveva mai suggerito di bombardare i gay pride. Ma non importa. Ciò che conta è che quando da queste parti si deve procedere alla demonizzazione di Vladimir Putin e di Mosca, non si trascura mai di citare le discriminazioni messe in pratica nei confronti degli omosessuali. Dunque, almeno secondo il pensiero prevalente, si va alla crociata antirussa anche per proteggere i pride. Ed è qui che emerge il cortocircuito. Siamo impegnati nella lotta contro il male, ma a leggere i nostri giornali sembra che siamo omofobi più o meno come i russi, che tra Roma e Mosca non ci sia poi tutta questa differenza. Il problema, a quanto pare, non è Putin in sé, ma Putin in noi. Casomai si riuscisse a rieducare Mosca, poi a chi toccherà? Ai polacchi, ora amati in quanto furenti odiatori della Russia ma fino a ieri considerati ottusi odiatori di omosessuali? Toccherà a noi in quanto razzisti e bigotti? Oppure agli stessi ucraini, che le associazioni Lgbt giudicavano, negli anni passati, pericolosamente intolleranti? Insomma, la domanda è: quando una nazione può dirsi «guarita» dall’omofobia? A giudicare da ciò che dicono gli attivisti arcobaleno, questa guarigione non si verifica mai. Sono omofobi gli Stati Uniti, omofobo il Regno Unito, c’è un fondo d’omofobia persino in qualche angolo del Nord Europa. Kenneth Minogue la chiamava «sindrome da San Giorgio in pensione». Una volta ucciso il drago come San Giorgio, l’attivista liberal non sa smettere: «Più aveva successo», scriveva Minogue, «più si faceva incantare dal pensiero di un mondo privo di draghi, e meno diventava capace di tornare alla vita privata. Aveva bisogno dei suoi draghi». Questa psicotica ricerca di nuovi draghi, la pretesa di sempre nuovi «diritti», finora non ha fatto altro che produrre un ritorno di fiamma: ha alimentato risentimento nei confronti delle eccessive pretese delle minoranze. Se oggi c’è chi prova insofferenza verso l’Occidente liberal, se c’è chi guarda alla Russia come un modello politico, è anche per via di questa degenerazione delle lotte sociali, di questa follia sessual-identitaria che, in mancanza di draghi, se la prende con le lucertole. A sentire certi attivisti, la nostra democrazia è in realtà una dittatura. In effetti è vero: lo sta diventando anche grazie a loro.
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