2018-12-24
Così Bruxelles ha peggiorato la manovra
Il trio Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis rischia di affossare la crescita dell'Italia il prossimo anno: tagli agli investimenti, più tasse, più clausole di salvaguardia Iva e mancato adeguamento delle pensioni imposto per fare quota 100. Negli Usa l'economia al top dopo il taglio choc delle tasse, ma Bruxelles impallina anche i pensionati.La lunga e spossante «trattativa Stato-Ue», durata ben due mesi, non ha solo sottratto tempo alla discussione parlamentare, ma ha restituito una manovra sensibilmente peggiorata dal punto di vista della crescita. È grave che, da giorni, con l'eccezione di questo giornale, si discuta quasi solo degli aspetti procedurali legati alla legge di bilancio (i tempi dei lavori a Senato e Camera), e si ignori la sostanza. Lo stesso Quirinale ha enfaticamente lodato il negoziato con Bruxelles, descrivendo l'Ue non come un «vincolo esterno» ma come un «moltiplicatore» della nostra «capacità di espansione economica».Peccato che le quattro richieste, anzi le quattro imposizioni di Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis, siano di segno non espansivo, anzi chiaramente recessivo, tali da deprimere le possibilità di crescita italiana nel 2019. E la cosa è grave due volte: perché si colpisce la propensione ai consumi e agli investimenti privati di famiglie e imprese italiane, e perché gli stessi mercati - com'è noto - sono molto più interessati alla robustezza della crescita di un Paese che non al rispetto di parametri formali e regolette europee. E allora senza fare indovinelli (il riferimento è al «Test sulla manovra» ideato da Luigi Di Maio in un nuovo foglietto pubblicato su Facebook) ricapitoliamo i quattro diktat recessivi della Commissione. Primo: meno investimenti, per 4 miliardi. È il tema denunciato con forza dal ministro Paolo Savona, che ha esplicitato il timore che il rattrappimento degli investimenti pubblici possa disincentivare - a cascata - gli investimenti privati, gettando sabbia nei delicati ingranaggi della crescita. Secondo: più tasse, attraverso l'introduzione della webtax, su cui si è registrato un repentino allineamento italiano alle posizioni francesi. La cosa non solo irriterà Donald Trump, che vede come il fumo negli occhi una campagna fiscalmente ostile verso i giganti telematici Usa, ma rischia di creare, anche qui, un effetto depressivo. Da un lato disincentivando nuovi investimenti, e dall'altro agevolando il noto meccanismo per cui le nuove tasse vengono scaricate sui consumatori finali. Anche un bambino capisce che, se imponi una tassazione sui servizi digitali a carico delle imprese che forniscono pubblicità e trasmettono dati o che vendono online, a essere colpite saranno anche le aziende e le start-up italiane, e subito dopo i consumatori.Terzo: la richiesta di attenuare la rivalutazione delle pensioni. È forse la mossa più odiosa di Bruxelles, redatta dalle parti della Ragioneria dello Stato. Colpisce l'adeguamento periodico delle pensioni normali (altro che oro o platino). Per il nuovo anno, il tasso di rivalutazione reso noto dal Ministero dell'Economia era dell'1,1%; ma, dopo la trattativa con Bruxelles, ecco la doccia fredda: una piena rivalutazione scatterà solo per i trattamenti fino a 1.521 euro (tre volte il minimo). Per l'Ue si trattava di un intervento necessario per bilanciare quota 100.Salendo nella scala dei trattamenti, la rivalutazione tenderà ad assottigliarsi: tra i 1.522 e i 2.029 euro, la rivalutazione sarà il 97% del tasso di riferimento, quindi all'1,067%; tra i 2.029 e i 2.537 euro, pari al 77% del tasso, quindi allo 0,847%;tra i 2.537 e i 3.042 euro, pari al 52% del tasso, quindi allo 0,572%;tra i 3.042 e i 4.059 euro, pari al 47% del tasso, quindi allo 0,517%;tra i 4.059 e i 4.566 euro, pari al 45%, quindi allo 0,495%; per i trattamenti superiori ai 4.566 euro (si entra nel territorio delle «pensioni d'oro»), pari al 40% del tasso, quindi allo 0,44%. Quarta e ultima imposizione degli «scienziati» della Commissione: più clausole di salvaguardia, sotto forma di bombe pronte a esplodere dalla prossima legge di bilancio. Prima di questa manovra, la pesante eredità dei governi del Pd prevedeva clausole della seguente entità: 12,5 miliardi nel 2019, 19,2 miliardi nel 2020, 19,6 miliardi nel 2021. La prima stesura della manovra gialloblù sterilizzava le clausole per il 2019 (quindi zero miliardi) e prevedeva 13,7 miliardi di clausole nel 2020 e 15,6 miliardi nel 2021. L'ultima stesura, successiva all'accordo con Bruxelles, prevede zero miliardi nel 2019, 23,1 miliardi nel 2020 (con l'Iva che balzerebbe al 25,2%) e 28,8 miliardi nel 2021 (Iva al 26,5%). Come si vede, un aumento di ulteriori 9,4 miliardi nel 2020 e di altri 13,2 nel 2021. È evidente che un'eliminazione secca delle clausole sarebbe stata preferibile. Ma, allo stato attuale, avrebbe richiesto una profonda operazione di spending review. Si è scelta l'opzione di uno slittamento in avanti, che crea preoccupazione rispetto alle prossime manovre: a settembre 2019, il primo compito sarà trovare risorse ancora più ingenti di quelle recuperate quest'anno. Il giudizio verso Bruxelles è ancora più severo perché non c'è stata analoga richiesta di clausole di salvaguardia verso la Francia di Emmanuel Macron, che sforerà in misura molto maggiore (3,5%) rispetto al 2,04% italiano. Complessivamente, dunque, dalla Commissione sono venute quattro richieste recessive e anti-crescita. Se Donald Trump ha ottenuto risultati economici spettacolari con un taglio-choc delle tasse abbinato a mega-investimenti, Bruxelles ci costringe a fare il contrario. E, per sovrammercato, punisce la capacità di acquisto dei nostri pensionati. Siamo ancora sicuri che l'Europa sia saggia e amica? E siamo ancora convinti che il vero problema siano i tempi di lavoro al Senato?
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci