2022-07-13
La Chiesa anglicana firma la resa: «Non ci è possibile definire una donna»
L'arcivescovo Justin Welby nella cattedrale di Canterbury (Getty Images)
La sconfitta culturale al sinodo britannico. Gli alti prelati piegati all’ideologia arcobaleno: «Difficoltà legate all’identità di genere».«Spiacenti, non sappiamo definire cosa sia una donna». Firmato: la Chiesa d’Inghilterra. Sembra una cronaca dell’assurdo, eppure questa è l’ultima che arriva dalla Gran Bretagna, dove l’ideologia gender annebbia ormai pure le menti degli alti prelati. Se n’è avuta conferma nei giorni scorsi in seno al sinodo generale anglicano, l’organo che appunto guida la Chiesa d’Inghilterra - formato dalle tre case dei vescovi, dei pastori e dei laici -, riunitosi a York dal 6 al 10 luglio. In quel contesto Adam Kendry, un membro laico rappresentante della Royal Navy, ha semplicemente chiesto: «Qual è la definizione di donna della Chiesa d’Inghilterra?». Una domanda tutt’altro che banale, anzi decisiva visto il dibattito che proprio su questo tema si è recentemente aperto nel mondo politico anglosassone. Ebbene, di tutta risposta alla domanda di Kendry la replica, per giunta messa per iscritto, è stata che «non esiste una definizione ufficiale che consideri il fatto che, se fino a tempi abbastanza recenti definizioni di questo tipo erano ovvie», oggi invece tocca fare i conti con «complessità associate all’identità di genere». In calce a tali parole, una firma: quella del reverendo Robert Innes, il quale tutto è fuorché l’ultimo arrivato. Classe 1959, ha studiato ingegneria a Cambridge, può vantare due dottorati di cui uno in filosofia, ha insegnato teologia, nel 2012 è stato cappellano di Sua Maestà e due anni dopo è diventato nientemeno che il vescovo anglicano per l’Europa. Innes è dunque una figura di prima grandezza per la comunità anglicana, eppure non tutti sono convinti delle sue considerazioni.Per esempio, Angela Berners-Wilson, la quale nel 1994 è diventata la prima donna ordinata sacerdote anglicano, pur riconoscendo la necessità ecclesiale di «essere molto sensibili» e forse di «riesaminare» alcuni punti di vista, non ha nascosto al Telegraph il suo malcontento per le parole del suo vescovo. Più in generale, in reazione a Innes si sono riconfigurati i due soliti schieramenti parte di questo dibattito: da un lato gli attivisti arcobaleno, naturalmente soddisfatti, dall’altra il molto meno entusiasta mondo femminista, la cui punta di diamante è la scrittrice J.K. Rowling, da anni in lotta contro l’oltranzismo transgender. Quest’ultimo fronte ha visto la sua indignazione espressa dalle parole di Maya Forstater, attivista dell’organizzazione Sex matters che il 6 luglio scorso ha vinto la causa intentata contro il suo datore di lavoro, il Center for global development, che - discriminandola, così ha stabilito il giudice - non le aveva rinnovato il contratto dopo che aveva espresso delle critiche sul genere, riaffermando il primato dell’identità sessuale. Per Forstater la Chiesa d’Inghilterra ha preso una posizione «scioccante», dal momento che «i concetti di maschio e femmina non avevano alcun bisogno di una definizione ufficiale formale» poiché «sono più antichi della stessa vita umana». Ci si è comportati «come se questa verità fondamentale non avesse importanza», ha chiosato la femminista. La realtà è che la Chiesa anglicana ha da tempo archiviato i fondamentali dell’etica cristiana in favore dell’agenda liberal e progressista. Già nel 2018, per dire, si era fatta circolare tra le parrocchie una guida che le invitava ad essere «creative e sensibili» nell’uso della liturgia, compresi i servizi cerimoniali come il battesimo, appoggiando le persone che passano a un sesso diverso da quello assegnato alla nascita. Una scelta figlia pure del fatto che già l’anno prima il Sinodo generale aveva approvato una mozione che impegnava la Chiesa d’Inghilterra ad accogliere ed incoraggiare «l’affermazione incondizionata delle persone trans, allo stesso modo di tutte le altre, all’interno del corpo di Cristo». Tutto questo per dire che il reverendo Innes non ha inventato granché; si è limitato ad aggiungere un tassello, per quanto vistoso, ad un rovesciamento antropologico in atto; e non sono a livello ecclesiale.Proprio in Inghilterra appena un mese fa, come raccontato dalla Verità, avevano suscitato più di qualche ironia le parole del capo dei laburisti, sir Keir Starmer, il quale, dialogando col conduttore Nick Ferrari sulle frequenze della Lbc, aveva affermato che «sì, c’è una minoranza di donne che può avere il pene e che non si identifica nel sesso biologico» anche se, aveva poi subito aggiunto, «il 99,99% di loro considera la questione dal punto di vista biologico e devono sentirsi protette nei luoghi comuni, come bagni e palestre». Ma la confusione su questi temi è grande anche sotto il cielo americano. L’enfant prodige dei democratici americani, Alexandria Ocasio-Cortez, già da tempo al termine «donne» preferisce il più neutro «gente con le mestruazioni», e l’opinionista Matt Walsh ha da poco girato un documentario di 90 minuti, eloquentemente intitolato «What is a woman?», in cui si aggira fra dipartimenti universitari e reparti di ginecologia ponendo a tutti questa domanda. Alla fine quasi nessuno risponde a Walsh e, dopo lo scivolone della Chiesa d’Inghilterra, in Occidente ad affermare cosa sia una donna oggi resta solo la Chiesa cattolica. La stessa che, per questo, dal mondo Lgbt è giudicata transfobica.
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