2020-06-11
Si sveglia la Cei: «No alla legge sull’omofobia»
Gualtiero Bassetti (Ansa)
Anche i vescovi italiani si decidono a lanciare l'allarme: «Derive liberticide» nei 5 ddl in discussione. A rischio la libertà d'opinione e quella religiosa, senza eccezioni per le omelie dei sacerdoti. E questa volta non dovrebbe esserci la presa di distanza di Francesco.Nella differenza tra reale discriminazione e libertà di opinione si colloca la discesa in campo dei vescovi italiani contro i 5 ddl che sono in discussione alla commissione Giustizia della Camera e che si pongono l'obiettivo di introdurre una fattispecie di reato per omotransfobia. Il comunicato diffuso ieri dalla Cei entra nel dibattito in corso sui 5 ddl come una mannaia, vista la chiarezza: «Esistono già adeguati presidi», scrivono i vescovi, «con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio». Quindi nessun vuoto normativo da colmare, come peraltro anche giuristi di varia estrazione hanno fatto notare, il nostro codice già prevede una serie di proporzionate sanzioni per reati che possono facilmente comprendere quello legato alla discriminazione per orientamento sessuale o di genere.Ma sono soprattutto le «derive liberticide» a preoccupare i vescovi, «per cui - più che sanzionare la discriminazione - si finirebbe con il colpire l'espressione di una legittima opinione». Per esempio, «sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma - e non la duplicazione della stessa figura - significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l'esercizio di critica e di dissenso».Parole che lasciano poco spazio all'interpretazione. I vescovi sono scesi in campo contro i 5 ddl, e lo hanno fatto non da singoli, ma con il peso specifico della Conferenza episcopale. E ciò non era affatto scontato. Diversi segnali potevano far intendere che in qualche modo si fosse deciso, nel nome dell'accoglienza e del rispetto per i diversi orientamenti sessuali, di lasciare andare le cose. Un testo del cardinale Matteo Zuppi, pubblicato di recente dal quotidiano dei vescovi Avvenire, tutto teso ad «accogliere e non discriminare», sembrava indicare una linea. Poi martedì era uscita la lettera del vescovo di Ventimiglia-San Remo, Antonio Suetta, pubblicato ieri dalla Verità, un testo chiaro e coraggioso. Ma a quanto si apprende il comunicato diffuso ieri era già in cantiere da qualche giorno, sotto la moral suasion del mondo pro life italiano e anche di (molti) vescovi e monsignori che chiedevano di intervenire percependo il problema.La linea, per così dire, non era propriamente definita e probabilmente il comunicato è anche il frutto di una presa di coscienza dei vertici Cei sulla gravità dei ddl in discussione. I vescovi si sono resi conto dei trappoloni enormi in merito alla possibilità che si configuri un reato di opinione da polizia del pensiero, nascosto dietro la mascherina della discriminazione. Perché sono in ballo almeno tre libertà costituzionalmente garantite: quella religiosa, quella di opinione e quella educativa.Peraltro il testo del ddl Zan non prevede nemmeno il cosiddetto «salva preti», che invece era presente nel testo del vecchio ddl Scalfarotto, cosicché il sacerdote che dall'ambone predicasse la lettera di San Paolo ai Romani o persino il Catechismo (n. 2357 e 2358) potrebbe doversi mettere il bavaglio per non incorrere nel neo reato.A quanto apprende La Verità a essere prevalente tra i vescovi che tardavano a intervenire, tanto da sembrare disinteressati, era proprio una certa ignoranza sulla posta in palio. E, invece, un numero importante dei circa 200 vescovi italiani risulta che avesse desiderio di mettere i paletti. Con ogni probabilità il comunicato di ieri è uscito dopo aver consultato anche il Sommo inquilino della residenza di Santa Marta, anche perché è da ritenere che il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi, non abbia nessuna voglia di ripetere il triste balletto di comunicati andato in onda per la faccenda delle messe con popolo alla partenza della cosiddetta fase 2 dell'emergenza Covid-19. Dopo un duro comunicato della Cei per la riapertura delle messe seguì una sorta di smentita in mondovisione del Papa stesso, che in una preghiera da Santa Marta era sembrato andare palesemente in soccorso di Giuseppe Conte. Abbiamo fondati motivi di pensare che il comunicato di ieri sui ddl omotransfobia sia stato verificato prima dell'uscita ai più alti livelli del Vaticano.La grana per il governo di Giuseppi c'è tutta, perché la Chiesa questa volta ha parlato come Conferenza episcopale e quasi sicuramente con il placet della Santa Sede. Insistere come niente fosse per tramutare in legge questi ddl, nonostante la simpatia delle sacre stanze per l'attuale maggioranza, potrebbe essere un problema. Perché se è vero che la sensibilità sul tema, all'interno dell'associazionismo cattolico e delle parrocchie, è varia, sulla questione del triplice rischio «liberticida» e della polizia del pensiero i plotoni potrebbero essere affiancati.Pro Vita & Famiglia prende la palla al balzo e con un comunicato stampa fa capire che si stanno scaldando i motori. «Scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona», scrivono Jacopo Coghe e Toni Brandi, «non può significare certo limitare la libertà di ognuno di pensare ed esprimere le proprie opinioni». Per questo, dicono, «dobbiamo impedire tutti insieme che la spada di Damocle della reclusione o dell'eventuale denuncia, a causa di posizioni in favore della famiglia naturale, penda sugli italiani senza alcuna ragione oggettiva».