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2023-06-23
La Cedu delude i gay. Roccella: ora sanatoria
Roberto Gualtieri (Ansa)
La Corte europea dei diritti umani mette un’altra robusta pietra d’inciampo sulla strada del Far West delle culle. Ieri i giudici di Strasburgo hanno bocciato una serie di ricorsi contro l’Italia di coppie dello stesso sesso che chiedevano la condanna dell’Italia perché non consente di trascrivere all’anagrafe gli atti di nascita esteri per bambini nati approfittando dell’utero in affitto. Assai dura la motivazione: «La Corte constata che il desiderio di veder riconosciuto un legame tra i bambini e i genitori d’intenzione non si è scontrato con un’impossibilità generale e assoluta, visto che i ricorrenti avevano a disposizione la strada dell’adozione e non l’hanno utilizzata».
Insomma, ancora una volta cause e ricorsi si sono dimostrati tentativi di aggirare le norme, comprese quelle che in Italia vietano la maternità surrogata e la registrazione dei figli di coppie dello stesso sesso. Il quadro si va sempre più delineando in modo chiaro, dopo che negli ultimi giorni la Procura di Padova ha impugnato una serie di registrazioni, la Commissione europea ha ribadito che ogni Stato membro mantiene piena sovranità in materia di diritto di famiglia. E, alla Camera, è iniziata la discussione della proposta di legge di Fratelli d’Italia che rende perseguibile il reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da un cittadino italiano.
I giudici di Strasburgo sono intervenuti su una serie di ricorsi di coppie omosessuali, ma anche su una richiesta di far condannare l’Italia presentata da una coppia eterosessuale. Tutti i ricorrenti erano andati all’estero per affidarsi alla pratica dell’utero in affitto e si lamentavano di non poter registrare in Italia gli atti di nascita. La Corte ha bollato come inammissibili tutti i ricorsi, confermando la legittimità del veto opposto negli uffici anagrafici.
In particolare, in una delle sentenze emesse il 30 maggio e pubblicate ieri, i giudici europei ricordano che «la maternità surrogata alla quale hanno fatto ricorso i denuncianti per crearsi una famiglia era contraria all’ordinamento pubblico italiano» e che «questi lo sapevano». Poi osservano che, in Italia, c’è anche una giurisprudenza ormai costante che consente all’altro genitore, quello putativo, di chiedere l’adozione del bambino e garantire, così, il diritto del minore ad avere una famiglia.
Infine, come detto, la Corte di Strasburgo spiega chiaramente che la via maestra per far valere i diritti la cui violazione è stata lamentata era proprio questa: adottare il bambino del compagno o compagna. Insomma, anziché piantare bandiere e bandierine, andare dritti all’esercizio delle potestà e dei doveri di genitore.
Va detto che la linea tenuta da Strasburgo stupisce poco, perché già a maggio del 2021, chiamati a esprimersi sulla legislazione islandese, i giudici considerarono legittimo il divieto dell’utero in affitto. E anche la Cassazione civile, a sezioni unite, l’anno scorso aveva indicato la via della cosiddetta stepchild adoption per risolvere una serie di problemi sulle trascrizioni e tenere il punto sulla surrogata come reato. Il problema è che anni di caos e scorciatoie più o meno lecite, magari nella convinzione che la battaglia per i diritti della comunità Lgbt avrebbe prima o poi risolto tutto, hanno lasciato aperti una serie di problemi.
Ieri Eugenia Roccella, ministro per le Famiglia e le Pari opportunità, ha praticamente aperto la porta a una sorta di «sanatoria» sui bambini già nati, anche se il termine, forse, non è dei più felici in un Paese che, di solito, lo usa per le tasse non pagate e gli abusi edilizi. Registrando La confessione con Peter Gomez sul Nove, Roccella ha affermato: «Dovremo pensare a una sorta di sanatoria una volta che ci sarà la nuova legge per la perseguibilità dell’utero in affitto, anche per chi lo fa all’estero, visto che in Italia è già vietato per fortuna. Io penso che sia utile introdurre una soluzione legale che non sia un modo di aggirare le leggi per i bambini nati fin qui».
Negli ultimi giorni, in effetti, un po’ di nodi sono venuti al pettine. Mercoledì un portavoce della Commissione europea, al quale si voleva far aprire una polemica contro l’Italia sul caso Padova, aveva ricordato senza mezzi termini che «ogni Stato in Europa è sovrano in materia di diritto di famiglia». La Procura della città veneta ha impugnato la trascrizione di 33 atti di nascita da parte di coppie di mamme, registrando anche il fatto che non tutte erano padovane e che evidentemente c’era stato un certo turismo anagrafico.
A Milano, per esempio, il sindaco Beppe Sala aveva registrato circa 300 bambini figli di coppie arcobaleno ma poi, a metà marzo, ha smesso dopo che Viminale e Procura avevano fatto capire che avrebbero applicato la legge che vieta a due persone dello stesso sesso di registrare un bambino. E il sindaco dem aveva giustificato il voltafaccia con la volontà di non esporre i funzionari comunali a rischi penali. Non senza polemizzare, però, con la Cassazione e con il suo invito a seguire la strada dell’adozione, definita da Sala «tortuosa». La stessa strada che oggi viene confermata anche da Strasburgo sulla base della sua evidente logicità: voglio fare il papà di un bambino? Lo adotto.
A Roma, invece, il sindaco Roberto Gualtieri, due settimane fa, ha trascritto per la prima volta l’atto di nascita di due minori nati all’estero da coppie di donne. Inoltre distingue tra bambini nati con l’eterologa o con la surrogata e teorizza che la sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, riguardando un caso di utero in affitto, non riguarderebbe altre fattispecie utilizzate da coppie gay.
Roccella se ne esce con la sanatoria
«Dovremo pensare a una sorta di sanatoria, una volta che ci sarà la nuova legge per la perseguibilità dell’utero in affitto, anche per chi lo fa all’estero, visto che in Italia è già vietato per fortuna». Sono le parole del ministro della Famiglia Eugenia Roccella, secondo la quale sarebbe «utile introdurre una soluzione legale che non sia un modo di aggirare le leggi per i bambini nati fin qui». Il punto è capire come mettere a punto tale «sanatoria» dato che, per esempio, l’ipotesi stepchild adoption - richiamata dalla stessa Roccella al Corriere della Sera all’indomani dell’impugnazione degli atti di nascita di 33 bambini con «due mamme» da parte della Procura di Padova - non convince il mondo pro life. Il perché l’ha illustrato in una nota Simone Pillon, già senatore della Lega e oggi presidente dell’associazione San Tommaso Moro il quale, anzitutto, ricorda la differenza tra stepchild adoption e l’adozione in casi particolari prevista dalla legge 184 del 1983. «Nel primo caso, infatti, si assisterebbe a una sorta di automatismo», spiega Pillon, «mentre nel secondo sarebbe necessario comunque un approfondito e accurato vaglio da parte dell’autorità giudiziaria per verificare, intanto, l’assenza di altri genitori naturali e poi per valutare se tale adozione risponda o meno all’interesse del fanciullo».Secondo Pillon, il solo modo efficace per intervenire è quello di affermare («anche in Costituzione, se necessario») il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre, vietando ogni forma di riconoscimento di altra genitorialità. Diversamente, per Pillon, il rischio è che la stepchild adoption possa vanificare anche il rendere l’affitto reato universale: «Sarebbe semplice per un uomo recarsi all’estero, ritirare il bambino appena partorito, farsi firmare una dichiarazione dalla madre surrogata in cui la stessa attesti che il figlio sia frutto di una relazione carnale e, contestualmente, rinunci al riconoscimento del figlio e alla responsabilità genitoriale e poi tornare in Italia per iniziare immediatamente l’iter della stepchild».Anche Jacopo Coghe, portavoce di Pro vita & famiglia onlus è contrario all’«adozione del figliastro», che - nella sentenza con cui ieri ha rigettato le istanze di coppie ricorse contro l’Italia perché non consente le trascrizioni degli atti di nascita dei nati con l’utero in affitto - la Corte europea dei diritti umani ha indicato come strumento da poter utilizzare.«Si tratta di un abuso», ha commentato Coghe, «poiché quella disposizione, all’interno della legge 184 del 1983, non fu fatta per coppie dello stesso sesso e la sua applicazione al caso di specie è uno stravolgimento della stessa legge che viene, di fatto, strumentalizzata a uso e consumo della comunità Lgbtqia+ per soddisfare il desiderio ideologico di avere figli a tutti i costi». Il portavoce di Pro vita & famiglia è perplesso pure sull’ipotesi di «sanatoria» per i figli nati fino ad oggi con l’utero in affitto. «Non esiste una sola situazione concreta», dice Coghe alla Verità, «che non possa essere risolta per esempio attraverso deleghe e scritture private. Il compagno del genitore biologico può fare testamento e può essere nominato fiduciario sanitario. Infine, in caso di morte del genitore biologico, esiste la continuità affettiva che permetterebbe al compagno del padre o compagna della madre di custodire il bimbo».Ciò detto, va sottolineato, tornando alla stepchild adoption, come sia un’ipotesi cui, secondo gli attivisti arcobaleno, il governo non crede sul serio. Basti vedere quanto detto da Alessandro Zan, responsabile diritti del Pd: «Hanno sempre criticato la stepchild adoption anzi, l’hanno voluta affossare. E utilizzare adesso la stepchild adoption è un argomento risibile». Alessia Crocini, presidente di Famiglie arcobaleno ha, addirittura, accusato il ministro della Famiglia di essere una «bugiarda».
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La Corte europea ha respinto i ricorsi contro l’Italia perché vieta il riconoscimento automatico di chi è nato all’estero con la surrogata. I «genitori» arcobaleno «potevano avvalersi dell’adozione, non l’hanno usata». Il ministro della Famiglia pensa a una «soluzione legale» per i bambini partoriti fin qui. Scettici i Pro vita: «Così si vanifica l’iter per far diventare la Gpa un reato universale». Lo speciale contiene due articoli. La Corte europea dei diritti umani mette un’altra robusta pietra d’inciampo sulla strada del Far West delle culle. Ieri i giudici di Strasburgo hanno bocciato una serie di ricorsi contro l’Italia di coppie dello stesso sesso che chiedevano la condanna dell’Italia perché non consente di trascrivere all’anagrafe gli atti di nascita esteri per bambini nati approfittando dell’utero in affitto. Assai dura la motivazione: «La Corte constata che il desiderio di veder riconosciuto un legame tra i bambini e i genitori d’intenzione non si è scontrato con un’impossibilità generale e assoluta, visto che i ricorrenti avevano a disposizione la strada dell’adozione e non l’hanno utilizzata».Insomma, ancora una volta cause e ricorsi si sono dimostrati tentativi di aggirare le norme, comprese quelle che in Italia vietano la maternità surrogata e la registrazione dei figli di coppie dello stesso sesso. Il quadro si va sempre più delineando in modo chiaro, dopo che negli ultimi giorni la Procura di Padova ha impugnato una serie di registrazioni, la Commissione europea ha ribadito che ogni Stato membro mantiene piena sovranità in materia di diritto di famiglia. E, alla Camera, è iniziata la discussione della proposta di legge di Fratelli d’Italia che rende perseguibile il reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da un cittadino italiano. I giudici di Strasburgo sono intervenuti su una serie di ricorsi di coppie omosessuali, ma anche su una richiesta di far condannare l’Italia presentata da una coppia eterosessuale. Tutti i ricorrenti erano andati all’estero per affidarsi alla pratica dell’utero in affitto e si lamentavano di non poter registrare in Italia gli atti di nascita. La Corte ha bollato come inammissibili tutti i ricorsi, confermando la legittimità del veto opposto negli uffici anagrafici.In particolare, in una delle sentenze emesse il 30 maggio e pubblicate ieri, i giudici europei ricordano che «la maternità surrogata alla quale hanno fatto ricorso i denuncianti per crearsi una famiglia era contraria all’ordinamento pubblico italiano» e che «questi lo sapevano». Poi osservano che, in Italia, c’è anche una giurisprudenza ormai costante che consente all’altro genitore, quello putativo, di chiedere l’adozione del bambino e garantire, così, il diritto del minore ad avere una famiglia. Infine, come detto, la Corte di Strasburgo spiega chiaramente che la via maestra per far valere i diritti la cui violazione è stata lamentata era proprio questa: adottare il bambino del compagno o compagna. Insomma, anziché piantare bandiere e bandierine, andare dritti all’esercizio delle potestà e dei doveri di genitore. Va detto che la linea tenuta da Strasburgo stupisce poco, perché già a maggio del 2021, chiamati a esprimersi sulla legislazione islandese, i giudici considerarono legittimo il divieto dell’utero in affitto. E anche la Cassazione civile, a sezioni unite, l’anno scorso aveva indicato la via della cosiddetta stepchild adoption per risolvere una serie di problemi sulle trascrizioni e tenere il punto sulla surrogata come reato. Il problema è che anni di caos e scorciatoie più o meno lecite, magari nella convinzione che la battaglia per i diritti della comunità Lgbt avrebbe prima o poi risolto tutto, hanno lasciato aperti una serie di problemi. Ieri Eugenia Roccella, ministro per le Famiglia e le Pari opportunità, ha praticamente aperto la porta a una sorta di «sanatoria» sui bambini già nati, anche se il termine, forse, non è dei più felici in un Paese che, di solito, lo usa per le tasse non pagate e gli abusi edilizi. Registrando La confessione con Peter Gomez sul Nove, Roccella ha affermato: «Dovremo pensare a una sorta di sanatoria una volta che ci sarà la nuova legge per la perseguibilità dell’utero in affitto, anche per chi lo fa all’estero, visto che in Italia è già vietato per fortuna. Io penso che sia utile introdurre una soluzione legale che non sia un modo di aggirare le leggi per i bambini nati fin qui».Negli ultimi giorni, in effetti, un po’ di nodi sono venuti al pettine. Mercoledì un portavoce della Commissione europea, al quale si voleva far aprire una polemica contro l’Italia sul caso Padova, aveva ricordato senza mezzi termini che «ogni Stato in Europa è sovrano in materia di diritto di famiglia». La Procura della città veneta ha impugnato la trascrizione di 33 atti di nascita da parte di coppie di mamme, registrando anche il fatto che non tutte erano padovane e che evidentemente c’era stato un certo turismo anagrafico. A Milano, per esempio, il sindaco Beppe Sala aveva registrato circa 300 bambini figli di coppie arcobaleno ma poi, a metà marzo, ha smesso dopo che Viminale e Procura avevano fatto capire che avrebbero applicato la legge che vieta a due persone dello stesso sesso di registrare un bambino. E il sindaco dem aveva giustificato il voltafaccia con la volontà di non esporre i funzionari comunali a rischi penali. Non senza polemizzare, però, con la Cassazione e con il suo invito a seguire la strada dell’adozione, definita da Sala «tortuosa». La stessa strada che oggi viene confermata anche da Strasburgo sulla base della sua evidente logicità: voglio fare il papà di un bambino? Lo adotto.A Roma, invece, il sindaco Roberto Gualtieri, due settimane fa, ha trascritto per la prima volta l’atto di nascita di due minori nati all’estero da coppie di donne. Inoltre distingue tra bambini nati con l’eterologa o con la surrogata e teorizza che la sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, riguardando un caso di utero in affitto, non riguarderebbe altre fattispecie utilizzate da coppie gay.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-cedu-gela-i-gay-2661739928.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="roccella-se-ne-esce-con-la-sanatoria" data-post-id="2661739928" data-published-at="1687505463" data-use-pagination="False"> Roccella se ne esce con la sanatoria «Dovremo pensare a una sorta di sanatoria, una volta che ci sarà la nuova legge per la perseguibilità dell’utero in affitto, anche per chi lo fa all’estero, visto che in Italia è già vietato per fortuna». Sono le parole del ministro della Famiglia Eugenia Roccella, secondo la quale sarebbe «utile introdurre una soluzione legale che non sia un modo di aggirare le leggi per i bambini nati fin qui». Il punto è capire come mettere a punto tale «sanatoria» dato che, per esempio, l’ipotesi stepchild adoption - richiamata dalla stessa Roccella al Corriere della Sera all’indomani dell’impugnazione degli atti di nascita di 33 bambini con «due mamme» da parte della Procura di Padova - non convince il mondo pro life. Il perché l’ha illustrato in una nota Simone Pillon, già senatore della Lega e oggi presidente dell’associazione San Tommaso Moro il quale, anzitutto, ricorda la differenza tra stepchild adoption e l’adozione in casi particolari prevista dalla legge 184 del 1983. «Nel primo caso, infatti, si assisterebbe a una sorta di automatismo», spiega Pillon, «mentre nel secondo sarebbe necessario comunque un approfondito e accurato vaglio da parte dell’autorità giudiziaria per verificare, intanto, l’assenza di altri genitori naturali e poi per valutare se tale adozione risponda o meno all’interesse del fanciullo».Secondo Pillon, il solo modo efficace per intervenire è quello di affermare («anche in Costituzione, se necessario») il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre, vietando ogni forma di riconoscimento di altra genitorialità. Diversamente, per Pillon, il rischio è che la stepchild adoption possa vanificare anche il rendere l’affitto reato universale: «Sarebbe semplice per un uomo recarsi all’estero, ritirare il bambino appena partorito, farsi firmare una dichiarazione dalla madre surrogata in cui la stessa attesti che il figlio sia frutto di una relazione carnale e, contestualmente, rinunci al riconoscimento del figlio e alla responsabilità genitoriale e poi tornare in Italia per iniziare immediatamente l’iter della stepchild».Anche Jacopo Coghe, portavoce di Pro vita & famiglia onlus è contrario all’«adozione del figliastro», che - nella sentenza con cui ieri ha rigettato le istanze di coppie ricorse contro l’Italia perché non consente le trascrizioni degli atti di nascita dei nati con l’utero in affitto - la Corte europea dei diritti umani ha indicato come strumento da poter utilizzare.«Si tratta di un abuso», ha commentato Coghe, «poiché quella disposizione, all’interno della legge 184 del 1983, non fu fatta per coppie dello stesso sesso e la sua applicazione al caso di specie è uno stravolgimento della stessa legge che viene, di fatto, strumentalizzata a uso e consumo della comunità Lgbtqia+ per soddisfare il desiderio ideologico di avere figli a tutti i costi». Il portavoce di Pro vita & famiglia è perplesso pure sull’ipotesi di «sanatoria» per i figli nati fino ad oggi con l’utero in affitto. «Non esiste una sola situazione concreta», dice Coghe alla Verità, «che non possa essere risolta per esempio attraverso deleghe e scritture private. Il compagno del genitore biologico può fare testamento e può essere nominato fiduciario sanitario. Infine, in caso di morte del genitore biologico, esiste la continuità affettiva che permetterebbe al compagno del padre o compagna della madre di custodire il bimbo».Ciò detto, va sottolineato, tornando alla stepchild adoption, come sia un’ipotesi cui, secondo gli attivisti arcobaleno, il governo non crede sul serio. Basti vedere quanto detto da Alessandro Zan, responsabile diritti del Pd: «Hanno sempre criticato la stepchild adoption anzi, l’hanno voluta affossare. E utilizzare adesso la stepchild adoption è un argomento risibile». Alessia Crocini, presidente di Famiglie arcobaleno ha, addirittura, accusato il ministro della Famiglia di essere una «bugiarda».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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