2019-03-16
La Cassazione boccia i trucchi coop sui salari
Gli ermellini danno ragione a una inserviente che si è vista applicare il contratto di categoria meno oneroso per la cooperativa Il lavoratore ha diritto alla retribuzione migliore garantita dalla contrattazione. Strada aperta a migliaia di ricorsi, anche dell'Inps.Coop rosse al... verde. Nel silenzio generale anche e soprattutto dei sindacati, il mondo cooperativo è da qualche giorno in preda a una improvvisa crisi d'identità (e di futura liquidità) dovuta alla recentissima sentenza della Cassazione che ha riconosciuto l'illegittimità del dumping salariale in danno dei soci-lavoratori di questo particolare genere di società. E cioè l'abitudine - diventata prassi - di pagare i propri dipendenti meno rispetto ai contratti nazionali di categoria. Una disuguaglianza resa possibile dalla scelta delle coop di aderire di volta in volta al contratto di settore più vantaggioso, ma meno rappresentativo, tra quelli disponibili. Risparmiando così sugli stipendi e sui contributi ma tradendo lo spirito e i principi della cooperazione.La Suprema corte (presidente Giuseppe Bronzini, a latere Federico Balestrieri, Adriano Piergiovanni Patti, Margherita Maria Leone e Carla Ponterio) ha invece fissato questo paletto di civiltà e di equità socio-economica trattando il ricorso di una coop di Genova che aveva riconosciuto a una sua lavoratrice il contratto nazionale portieri e custodi (più vantaggioso per l'azienda) in luogo di quello pulizie multiservizi (che prevede invece un salario più alto per il lavoratore). I giudici hanno stabilito il diritto della dipendente, che aveva già ottenuto una vittoria in Appello, a vedersi riconosciuti uno stipendio e un trattamento previdenziale più consistenti, e quindi - in ultima istanza - garanzie contrattuali più robuste. Una decisione che diventa così giurisprudenza e apre, anzi spalanca le porte a ricorsi di massa che potrebbero letteralmente travolgere il comparto delle cooperative, costrette dai giudici a corrispondere non solo buste paga più pesanti ma anche a trattare con l'Inps adeguamenti contributivi tutt'altro che irrilevanti.La pronuncia della Suprema corte si basa sull'assunto, ribadito per ben due volte nella sentenza, che «il regolamento cooperativo» non possa «contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto a tale trattamento minimo» previsto dai contratti di categoria più rappresentativi e comunque non sovrapponibili per funzioni e organizzazione delle mansioni. Il principio sancito dagli ermellini è un richiamo a che le cooperative applichino ai soci-lavoratori «i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria». Impegno disatteso nonostante, nel 2007, sia stato firmato un protocollo d'intesa tra governo, triplice sindacale, Confcooperative e Legacoop che è (dovrebbe essere) tuttora vincolante. Sul punto, la corte di ultima istanza è chiara: «Le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci-lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione».Dunque, niente più scorciatoie per minimizzare i costi del fattore umano e massimizzare i guadagni, come peraltro già stabilito dal giudice del lavoro di Rimini che aveva bocciato i contratti capestro offerti dalle coop sociali vincitrici degli appalti banditi dalla holding Hera ai loro soci-lavoratori in Emilia Romagna. Una pratica, che La Verità ha raccontato nelle scorse settimane, contro cui sta combattendo da tempo Veronica Verlicchi, tenace capogruppo de La Pigna nel consiglio comunale di Ravenna, che ha inviato anche un lungo e articolato esposto all'Inps e alla guardia di finanza dopo la pronuncia del Palazzaccio. «La sentenza della Cassazione conferma quanto la lista civica La Pigna sostiene da tempo nella battaglia, contrastata dal Pd, per far riconoscere l'applicazione del contratto Fise ai lavoratori delle coop sociali e di servizi che operano nell'igiene ambientale», spiega la Verlicchi al nostro giornale. «E, a questo proposito, abbiamo inviato ad Atersir Emilia Romagna (l'agenzia regionale, ndr) una diffida affinché in sede di aggiudicazione del mega appalto dei rifiuti, della durata di 15 anni, obblighi attraverso il relativo contratto di assegnazione l'unica cordata offerente, formata da Hera spa e da consorzi di cooperative, ad applicare ai lavoratori utilizzati unitamente il contratto Fise». «È fondamentale che, a partire dal mercato della pubblica amministrazione, non solo non vi siano più casi di vergognosi sfruttamenti dei lavoratori ma anche storture e favori. Data l'enorme diffusione di questo malcostume è facile ipotizzare che le minori entrate per l'Inps e quindi per lo Stato ammontino a diverse centinaia di milioni di euro».
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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