
Il Mes alimenta i malumori: critico Leu, grillini tentati di ritirare l'appoggio all'esecutivo. E la patrimoniale pd sconquassa i giallorossi: Vito Crimi, Stefano Buffagni e Laura Castelli la bocciano. Stizziti i renziani: «Le tasse vanno diminuite».Il venerdì di passione della pseudo maggioranza giallorossa fa traballare il governo come mai era accaduto prima. La narrazione di un esecutivo determinato sul no al Mes, già ampiamente smentita dai fatti, crolla nella notte tra giovedì e venerdì sotto i colpi dell'accordo all'Eurogruppo, con il sì dell'Italia, e con il Mes all'interno. È l'inizio della fine: da Palazzo Chigi si tenta, in maniera curiosamente disordinata, di far passare il messaggio che «L'Italia vince», ma dalle parti del M5s si suda freddo. Sanno già, i grillini, che si sta per scatenare una vera e propria bufera. Sanno già che li attende una via crucis politica e mediatica. Prevedono il peggio, e, per una volta, la loro previsione è perfettamente azzeccata. Il povero Don Vito Crimi, autoreggente del M5s, in piena notte, inizia a dichiarare a tutto spiano: «Non importa quanto siano ridotte le condizionalità», afferma, «il M5s continua a sostenere la linea di sempre, che è anche la linea del governo più volte rivendicata dal presidente Conte: sì eurobond, no Mes». Purtroppo per Crimi, l'accordo dell'Eurogruppo parla del Mes ma non degli eurobond: l'esatto contrario. Don Vito ci mette qualche ora a capirlo, e alle 9 del mattino corregge il tiro, scarica il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e spacca la maggioranza: «Noi non accettiamo il Mes», dice Crimi a Radio anch'io, su Rai Radio 1, «perché in ogni caso le condizioni ci saranno. Il testo dice di no, ma il trattato dice di sì. Noi lo riteniamo uno strumento non idoneo e molto pericoloso non adesso, ma le conseguenze saranno pagate nel futuro». Crimi è costretto a cambiare rotta perché il partito sta andando a pezzi. Le chat ribollono, i telefonini sono incandescenti. «Lo dico a chiare lettere: se il governo ha detto sì al Mes», scandisce il senatore pentastellato Mario Michele Giarrusso, «questa maggioranza non avrà più il mio voto. A riveder le stelle». Anche Pino Cabras, deputato M5s e membro della commissione Esteri della Camera, è furibondo: «La proposta di accordo che è stata negoziata all'Eurogruppo», dice Cabras, «dal ministro Roberto Gualtieri è palesemente da rigettare». Il deputato di Leu, Stefano Fassina, ci mette il carico: «Il pacchetto condiviso dall'Eurogruppo», scrive, «è, per l'Italia, una trappola: la trappola del Mes. Implica un lento soffocamento della nostra economia e dell'universo del lavoro legato alla domanda interna. Va bloccato dal Parlamento e dal presidente del Consiglio al vertice europeo dopo Pasqua». Pd e Italia viva, da parte loro, difendono l'accordo dell'Eurogruppo. Tutti aspettano la conferenza stampa di Conte, annunciata per le 14, poi rinviata alle 15, poi alle 17, poi all'infinito. L'incontro tra Conte e i capi delegazione dei partiti di maggioranza si prolunga per più di cinque ore. I toni sono altissimi, Gualtieri è sulla graticola. Come se non bastasse, a mandare in frantumi questa sgangheratissima maggioranza giallorossa arriva la proposta del Pd, formulata da Graziano Delrio e Fabio Melilli, capigruppo Dem rispettivamente alla Camera e in commissione Bilancio. La genialata concepita dal Partito democratico è una patrimoniale per il 2020 e il 2021. «Il gruppo del Pd della Camera, in piena sintonia con il partito», dicono Delrio e Melilli, «propone un contributo di solidarietà a carico dei redditi più elevati, che dovranno versare i cittadini con redditi superiori ad 80.000 euro e che inciderà sulla parte eccedente tale soglia». Torna il partito delle tasse, torna il partito delle mani nelle tasche degli italiani. La miscela Mes-patrimoniale fa esplodere i giallorossi. Gli alleati di governo fanno muro, attaccano il Pd, con toni sprezzanti: «È una loro iniziativa. Noi», dice Vito Crimi all'Ansa, «con garbo e spirito unitario abbiamo proposto ai parlamentari di tagliarsi lo stipendio, cosa che il M5s già fa senza ricevere risposta. Ora non è il momento di chiedere ulteriori sacrifici agli italiani, rimaniamo contrari a qualunque forma di patrimoniale». «Questo», attacca il viceministro M5s allo Sviluppo economico, Stefano Buffagni, «è il momento in cui i soldi li dobbiamo mettere nelle tasche degli italiani. Se dal Pd vogliono fare un prelievo, lo facciano dal loro stipendio». Si fa sentire anche il viceministro M5s all'Economia, Laura Castelli. «Siamo stati sempre contrari alla patrimoniale», argomenta la Castelli, «una misura che spacca il Paese, oltretutto in questo caso per recuperare 1 miliardo di euro: per le cifre di cui si parla, nella battaglia anti Covid-19, siamo veramente a una cifra poco considerevole». «Dai nostri partner di governo», afferma il presidente di Italia viva, Ettore Rosato, «in 24 ore ho sentito no alla riapertura graduale delle imprese, no all'attivazione del sostegno europeo tramite il Mes e si alla patrimoniale. Auguri Italia!». «Le tasse vanno diminuite», attacca il capogruppo al Senato di Italia viva, Davide Faraone, «non aumentate. Parlare di patrimoniale per chi guadagna 3.500 euro al mese è assurdo. Si pensi a riaprire in sicurezza, non a spennare gli onesti. Impressiona la mutazione genetica del Pd, sempre più partito delle tasse». Neanche a dirlo, la sinistra comunista di Leu applaude alla proposta della patrimoniale. Povera Italia, sempre più poveri italiani.
Elly Schlein (Ansa)
Fratelli d’Italia spinge per il proporzionale puro con premio di coalizione, ma il Pd grida al magheggio: «Hanno paura di perdere». Esaltati dalle ultime elezioni, credono che con le attuali regole vincerebbero le politiche. Lo scenario più probabile, però, è lo stallo.
I risultati delle regionali di Campania, Puglia e Veneto hanno fatto ringalluzzire la sinistra, sicura adesso di avere un’alternativa a Giorgia Meloni, e contestualmente rintuzzato il dibattito sulla legge elettorale e sul premierato. Ad accendere la miccia il responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli: «Va fatta una riflessione sulla legge elettorale», perché, «con il campo largo unito, a differenza delle politiche 2022, se si dovesse votare oggi non ci sarebbe la stessa stabilità politica né in caso di vittoria del centrodestra né in caso di vittoria del centrosinistra».
(Istock)
- Nel bresciano un bengalese stupra una bambina di 10 anni. L’episodio avvenuto in un centro per rifugiati. L’uomo ha confessato. Tra rito abbreviato e circostanze a discarico, la pena rischia di essere irrisoria.
- A Pisa uno straniero violenta bimba di 6 anni. Il «protocollo rosa» è scattato dopo che la piccola ha denunciato strani comportamenti da parte dell’adulto, ritenuto persona di fiducia dalla famiglia. Sugli indumenti della vittima trovate tracce genetiche dell’indagato.
- Per i fatti di Tor Tre Teste si cerca un tunisino, forse riparato all’estero. I tre fermati hanno precedenti per spaccio. Possibile anche la presenza di un quinto uomo.
Lo speciale contiene tre articoli.
Elly Schlein, Roberto Fico e Giuseppe Conte (Ansa)
Nonostante quel che si dice e si scrive, le elezioni regionali non hanno spostato di una virgola gli equilibri politici nazionali. Per lo meno a destra, mentre nel centrosinistra forse qualche cambiamento c’è stato. Alessandra Ghisleri, che fra i sondaggisti è quella che più ci prende, alla domanda se a questo turno Schlein e compagni siano riusciti a rubare voti alla maggioranza di Meloni, Salvini e Tajani, ha risposto con una fragorosa risata. In Campania, che è portata a esempio di successo del campo largo, Ghisleri sostiene che Pd, 5 stelle e alleati vari abbiano perso, rispetto alle precedenti elezioni, 400.000 voti, mentre il centrodestra ne abbia guadagnati 250.000.
Giulia Bongiorno (Imagoeconomica)
La Lega mette nel mirino il ddl e fa slittare l’approvazione a febbraio. La Bongiorno: «È necessario ascoltare esperti». Il timore è che norme troppo vaghe invertano l’onere della prova. In effetti sul punto il presidente del Tribunale di Milano si è già contraddetto.
L’accordo tra Elly Schlein e Giorgia Meloni sul ddl consenso è chiuso, certo, ma non nei dettagli, come ovvio che accada tra presidente del Consiglio e leader di opposizione. Difficile immaginarle al tavolo insieme a scrivere la legge, ma è proprio nei dettagli che, come si dice, spesso si nasconde il diavolo. O meglio detto: nei particolari si celano le preoccupazioni. Qui si è creata l’impasse che ha portato alla richiesta di approfondimenti da parte della Lega e poi di tutto il centrodestra in commissione Giustizia al Senato. Tra le pieghe dell’emendamento ci sono passaggi poco chiari, che vanno definiti e chiariti bene per evitare di emanare una legge scritta male con tutti i rischi che ne derivano.






