2019-02-22
La Boschi travestita da Perry Mason è la peggior difesa d’ufficio dei Renzi
L'ex ministro, appena tornata a fare l'avvocato, si butta su una causa persa: demolire senza veri argomenti le accuse ai genitori del Bullo. Un'arrampicata sugli specchi che tira in ballo macchina del fango e Francesco De Gregori.Maria Elena Boschi torna a fare l'avvocato. Alla sola notizia immagino che ci siano legioni di italiani che hanno perso soldi in banca pronti a spellarsi le mani. Tuttavia, è meglio frenare gli entusiasmi, perché l'ex ministro delle Riforme non ha alcuna intenzione di lasciare la politica per tornare a fare quello che faceva prima di essere eletta in Parlamento. No, Maria Elena ha già commesso una volta l'errore di dichiararsi disposta alle dimissioni. In caso di sconfitta al referendum si disse pronta a fare le valigie con Matteo Renzi, seguendone il destino. Ma come si sa, presa la batosta con il plebiscito, la signorina si diede un gran da fare per prendere almeno una poltroncina di seconda fila. Non più ministro, ma almeno sottosegretario. E il mite Paolo Gentiloni piegò la testa pur di farsela incoronare da presidente del Consiglio.No, dunque. Maria Elena torna a fare l'avvocato, ma solo per un giorno e tenendosi stretta il seggio. E lo fa per il suo mentore, ossia per lo stesso Renzi, accorrendo in sua difesa con un'intervista al Foglio. E che sia una difesa senza tentennamenti lo si capisce sin dall'incipit della chiacchierata con il giornalista del quotidiano di Claudio Cerasa. «Basta leggere le carte per capire che la misura cautelare nei confronti dei genitori di Renzi è a dir poco ardita. Per l'accusa sarà difficile sostenere questa tesi fino in Cassazione». Proprio così. Maria Elena mette la toga e bacchetta i magistrati con un'arringa in cui spiega che gli arresti sono arditi e l'accusa difficile da sostenere in tre gradi di giudizio. Per sostenere le tesi della difesa, l'avvocato Boschi usa tutto l'armamentario a disposizione. Complotto no, ma spiega che essere garantisti significa credere in una giustizia giusta, che in questo caso, per essere giusta, ti deve assolvere. E poi indugia su due poveri pensionati agli arresti, sul provvedimento arrivato dopo mesi (ma è giustizia a orologeria anche se arriva dopo mesi?), in un orario insolito (cioè in ritardo sulla prima edizione dei tg), in coincidenza con il voto su Salvini e per una vicenda di anni fa (ma il 2018 risale ad anni fa?). Conclusione: «La costruzione dell'accusa solleva molti dubbi giuridicamente e lo dico da avvocato più che da politica». Già che c'è, però, ci aggiunge anche la citazione di Francesco De Gregori: «Cercavi giustizia, ma trovasti la legge», che non si sa bene che cosa c'entri e soprattutto che cosa voglia dire, ma è bel monito ai magistrati, per dire che non sarà un complotto, ma ci somiglia molto.Maria Elena, però, ne ha per tutti e in particolare ce l'ha con la macchina del fango. Era un po', a dire il vero, che non si sentiva parlare di questo prodigioso meccanismo. Ideato per scagionare qualsiasi persona fosse gradita alla sinistra e criticata dalla stampa non politicamente corretta, la straordinaria invenzione ebbe un periodo d'oro, ai tempi, con i casi di Dino Boffo, ex direttore dell'Avvenire, e di Gianfranco Fini. Aver raccontato la faccenda della casa di Montecarlo che ora, a distanza di anni, è ritornata d'attualità nei tribunali con l'ex presidente della Camera alla sbarra, era un modo d'infangare. Anche descrivere perché e per come Tiziano e Lalla Renzi sono alla sbarra, secondo l'avvocato difensore Maria Elena Boschi, è un modo d'infangare, perché sui fatti giudiziari s'imbastiscono processi in pubblico. «Per questo dico che c'è un problema di cultura prima di tutto. Di principi. Di rispetto delle persone. Per non citare la Costituzione, che se ci piace ci deve piacere tutta. I tempi della giustizia vanno aspettati e rispettati. E infatti io sono sempre prudente. Mentre in Italia ci si abbandona facilmente alla barbarie. Alla violenza verbale. O al silenzio complice e pauroso. All'opportunismo». Brava. E infatti, lei, per non essere né barbara, né violenta, né complice, né paurosa, né opportunista, dopo aver detto tutto ciò tira in ballo i papà di Luigi Di Maio e quello di Alessandro Di Battista. Che non sono mai stati indagati per bancarotta fraudolenta o per l'emissione di fatture false, ma che lei, quando mesi fa non era ancora avvocato difensore di Renzi, attaccò, cercando di rifarsi su di loro per la storia di suo padre, indagato dopo il crac di Banca Etruria. Insomma, come ministra Maria Elena non sarà stata un granché, tanto che gli italiani hanno bocciato la sua riforma della Costituzione. Ma come avvocato gira-frittate diciamo che ha talento da vendere.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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