
L'istituto viene commissariato per bypassare l'azionista che fino ad oggi ha messo i soldi. La banca s'ha da sposare a qualunque prezzo. Il premier Giuseppe Conte telefona ai Malacalza ma si schiera con la Vigilanza.Alla fine la Bce guidata da Mario Draghi è intervenuta a gamba tesa, e ha commissariato banca Carige, mettendo in frigorifero gli azionisti di maggioranza, la famiglia Malacalza, che hanno votato contro l'aumento di capitale. Il governo dal canto suo stavolta si è schierato dalla parte della Bce, con cui pure pochi mesi fa aveva bisticciato (Luigi Di Maio a ottobre 2018 accusò Draghi di «avvelenare il clima» contro l'Italia): arrivano mesi di campagna elettorale e un crac bancario vorrebbe dire finire sepolti dalle macerie del credito, come successe a Matteo Renzi con Mps. L'istituto ligure è stato posto in amministrazione straordinaria dalla Banca centrale europea. Per la prima volta in Italia sono stati scelti direttamente dalla Bce - e all'oscuro di Bankitalia - gli ex vertici della banca, l'ex presidente Fabio Innocenzi e l'ex ad Pietro Modiano, insieme a Raffaele Lener, ed è poi stato nominato un comitato di sorveglianza con Gian Luca Brancadoro, Andrea Guaccero e Alessandro Zanotti. Francoforte ha spiegato che la decisione di imporre amministratori temporanei è una misura di intervento preventivo per assicurare continuità e a perseguire gli obiettivi del piano strategico. Da parte sua, in una nota, la banca genovese ha assicurato che verrà «garantita la consueta operatività senza alcun impatto su clienti, depositanti e dipendenti». In particolare, «in continuità con la strategia in atto verranno proseguite da parte di Innocenzi, Modiano e Lener le attività di: rafforzamento patrimoniale; rilancio commerciale attraverso recupero delle quote di mercato nei segmenti; riduzione dei non performing loan (crediti deteriorati, ndr) e ricerca di «possibili business combination». Tradotto: matrimonio con un altro istituto. Elementi che, sottolinea il comunicato, «troveranno una sintesi nel prossimo piano industriale». Inoltre, «tra i primi atti della rinnovata gestione ci sarà anche l'avvio di riflessioni con lo schema volontario di intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, per rivalutare l'operazione (di sottoscrizione del bond subordinato da 320 milioni, ndr) alla luce del nuovo quadro venutosi a creare». Parole che danno un'idea di cosa sia accaduto tra la fine del 2018 e le prime ore del 2019. A partire dal punto che riguarda il rafforzamento patrimoniale necessario per la banca: a far decadere il cda di Carige, con le dimissioni dei vertici, sono state infatti le «mutate condizioni derivanti dall'esito dell'assemblea del 22 dicembre che non ha approvato la delega al consiglio di amministrazione per l'aumento del capitale sociale» da 400 milioni. Il riferimento è all'assemblea dei soci in cui la famiglia Malacalza si era astenuta bloccando di fatto la ricapitalizzazione - la quarta nel giro di sei anni - che, insieme all'emissione del bond subordinato sottoscritto dallo Schema volontario del Fondo interbancario, costituiva uno dei pilastri del piano di ristrutturazione dell'istituto. Se quindi il primo punto all'ordine del giorno della nuova gestione riguarda proprio il rafforzamento patrimoniale, che non può prescindere dall'aumento di capitale, la decisione della Bce è una fortissima pressione nei confronti del primo azionista che, a quanto risulta alla Verità, è stata oggetto nelle scorse ore di «moral suasion» anche da parte del governo. In particolare, il premier Giuseppe Conte avrebbe incontrato, lo scorso 31 dicembre, sia Innocenzi che Modiano e avrebbe chiamato al telefono il capostipite, Vittorio Malacalza. La situazione non si sarebbe però sbloccata, e da qui il colpo di accetta della Bce, tra l'altro nel primo giorno di Vigilanza bancaria guidata dall'italiano Andrea Enria.L'intervento della Bce ha così tolto le castagne dal fuoco al governo, che in questa fase non avrebbe potuto permettersi di correre il rischio che Carige implodesse, trascinando obbligazionisti e risparmiatori nel gorgo del bail in. Per questo motivo la famiglia Malacalza - che da parte sua ha investito cospicui capitali nell'istituto - avrebbe provato a cercare una sponda politica, che però non è arrivata. Il timore non infondato dei Malacalza era ed è quello di uno scippo. In pratica, dopo aver sottoscritto gran parte dell'aumento di capitale, assistere passivamente a una fusione con un partner sgradito e troppo invadente. Anche se va ricordato che in questo cul de sac si sono infilati gli stessi Malacalza, i quali hanno scelto Modiano e Innocenzi salvo poi scoprire solo dopo che i mondi di riferimento dei due manager erano quelli delle fondazioni bancarie e di un mondo cattolico bianco che nulla aveva a che fare con il Vaticano del cardinal Tarcisio Bertone. A questo punto a breve ci sarà un matrimonio. Unicredit non ha voluto commentare l'ipotesi: per la banca di piazza Gae Aulenti l'acquisizione rappresenterebbe comunque una deroga al piano industriale, basato sulla crescita organica. Ma potrebbe esserci anche una francese in coda. D'altronde il dado è tratto e anche se i Malcalza ricorreranno per le vie legali il destino è già stato deciso. Ora l'azionista di maggioranza è la Bce.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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