2025-06-12
        La batosta al voto non serve a Landini. Ancora un no a 20 miliardi di aumenti
    
 
Nell’ultimo vertice per il rinnovo del contratto degli statali, la Cgil continua a bloccare incrementi salariali medi da 150 euro lordi al mese. Il paradosso: il governo potrebbe usare le risorse per il taglio delle tasse.Ci sono circa due milioni e 300.000 lavoratori del pubblico impiego che aspettavano il referendum su Jobs act e cittadinanza con un ansia paragonabile solo a quella del comitato promotori. Per loro non c’erano in ballo il reintegro o la causale sui contratti a termine, ma poco meno di 20 miliardi di aumenti che il governo ha già stanziato e che sono bloccati dai no della Cgil e Uil. In media (senza considerare le sostanziose una tantum) più 150 euro lordi al mese che dovrebbero vedere da mesi (la prima tornata riguarda il triennio 2022-2024) nelle loro buste paga e che invece restano in un limbo. Bene, i dipendenti della sanità e della scuola, ma non solo, anche quelli di Regioni, Comuni ecc. speravano che una battuta d’arresto di Landini & C. nella consultazione voluta fortissimamente dal segretario potesse portare a un ammorbidimento nella trattativa per il rinnovo del contratto. Nessun si spingeva a immaginare un mea culpa di chi insiste a chiedere incrementi delle retribuzioni del 15% a fronte del 7% (e parliamo già di aumenti record) prospettati, ma una ridimensionamento delle pretese sì. Visto che la lotta senza se e senza ma, risultati elettorali alla mano, non sembra stia portando granché (ai lavoratori non sta portando nulla), perché non sedersi al tavolo con intenzioni più dialoganti? La domanda, o meglio l’auspicio, degli statali ha avuto una risposta a strettissimo giro. Nelle scorse ore (subito dopo la conclusione, disastrosa per la sinistra, della consultazione referendaria (Landini puntava al quorum, ma i votanti si sono fermati al 30%) all’Aran è andata in scena un’altra puntata dell’interminabile trattativa per il rinnovo dell’accordo di Regioni, Comuni ecc. Circa 400.000 lavoratori coinvolti. Non solo il vertice ha confermato che Cgil e Uil restano ferme sulla posizione del «non firmiamo». Ma sembra addirittura che gli animi si siano esacerbati. Pare che il flop di domenica e lunedì abbia portato i due sindacati a chiudersi in trincea e così anche la possibilità che il ministro Zangrillo sia costretto dal governo a concedere aumenti per legge (in questo modo si perderebbe tutta la parte normativa e di welfare accessorio) o il rischio che le risorse vengano dirottate altrove (taglio delle tasse al ceto medio?) non ha avuto nessun effetto. Anzi, l’impressione è che i due sindacati non vedano l’ora di soffiare sul fuoco dello scontro. Se il governo dovesse agire unilateralmente avrebbe l’occasione di gridare all’esproprio delle risorse, all’esecutivo autoritario ecc ecc. Insomma Landini, con l’avallo dell’inspiegabile posizione di Bombardieri, avrebbe modo di rispolverare l’armamentario retorico che gli è più caro. Tanto se i lavoratori continuano a restare con il cerino in mano ai sindacalisti duri e puri poco importa. Insomma, se scartiamo le soluzioni estreme (aumenti per legge e dirottamento delle risorse), l’unica speranza rimasta è quella di convincere i sindacati autonomi che hanno votato no a cambiare idea. Da questo punto di vista è particolarmente interessante la situazione della sanità. Il contratto del Servizio sanitario nazionale riguarda 580.000 lavoratori tra infermieri, tecnici e personale non dirigente e prevede un aumento medio mensile di 172,37 euro per tredici mensilità, pari al 6,8% in più rispetto agli stipendi attuali. «Sì» e «no» all’intesa sono sul filo e alla fine l’ultimo tavolo è saltato perché il Nursing Up nel giro di un paio di ore ha cambiato idea schierandosi dalla parte di Cgil e Uil. Bene, sembra che la sigla degli infermieri stia cambiando nuovamente posizione. Pretattica? Un modo per alzare la posta? Difficile dirlo. Così come è difficile spiegare perché gli stipendi di 580.000 lavoratori debbano essere appesi alle «paturnie» di una sindacato che rappresenta un’esigua minoranza del personale della sanità. Al prossimo incontro del 18 giugno probabilmente ne sapremo qualcosa in più. Per adesso, vale la pena registrare che anche Elly Schlein (mal di pancia ci sono pure all’interno della Cgil) sembra essersi stancata di questa linea oltranzista. Difficile trovare dichiarazioni esplicite del segretario dem che difendano la posizione della Cgil nella trattativa sugli statali. Posizioni, che come del resto è successo anche per i referendum, la leader democratica sembra subire più che assecondare. Che Landini voglia scalare la sinistra è sotto gli occhi di tutti, così come è sotto gli occhi di tutti che il numero uno del Pd lo stia marcando stretto per evitare il sorpasso sull’elettorato massimalista e sul fronte dei dipendenti pubblici. Una linea di rimessa che però rende la Schlein sempre più marginale. L’ultimo paradosso potrebbe portarla a dare una mano alla Meloni in quello che sembra essere diventato il nuovo cavallo di battaglia del governo di centrodestra: il taglio delle tasse al ceto medio. Le risorse? A breve mister Mef, Giancarlo Giorgetti, potrebbe stancarsi e dire: ci sono quasi 20 miliardi per il rinnovo del contratto degli statali bloccati, intanto li usiamo per dare una bella sforbiciata all’Irpef, poi si vedrà.
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
Continua a leggereRiduci
        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
    
        Francesca Albanese (Ansa)