2020-10-22
«La Azzolina si dimetta e renda pubblico il suo esame da preside»
Il numero uno della commissione Massimo Arcangeli, che la promosse all'orale della prova contestata: «Non ha risposto alle mie accuse sulle tesi copiate»L'immunologa Antonella Viola la sgrida, lei replica ma viene gelata: «Non c'è un dibattito»Lo speciale contiene due articoli«La ministra Azzolina si deve dimettere. Punto». Massimo Arcangeli, filologo e docente all'università di Cagliari, lo dice e lo ripete. È stato il presidente della sottocommissione 30ma-Sardegna per il concorso a dirigente scolastico. La quale ha promosso all'orale con una striminzita sufficienza (75/100, voto minimo 70) Lucia Azzolina, allora membro della commissione istruzione della Camera, diventata subito dopo sottosegretario e poi ministro da gennaio scorso. Ad aumentare polemiche e accuse è il fatto che il «suo» ministero, nonostante le sentenze del Tar che lo obbliga a depositare gli atti, non deposita prove, verbali di commissione e gli altri documenti. Proviamo a fare chiarezza.Prof, cominciamo dall'inizio. È vero che in Sardegna la prova scritta fu spostata per maltempo dal 18 ottobre 2018, quando si è svolta sul resto del territorio nazionale, al 13 dicembre?«Sì. Fu una decisione del Comune. Chi era stato assegnato alla commissione Sardegna ha avuto la possibilità di effettuare la prova posticipata».Il 17 ottobre 2018, il giorno prima dello scritto, sul sito del ministero fu pubblicata la griglia dei criteri per le prove con allegati gli «incipit» da cui desumere gli argomenti dei cinque quesiti. È vero che la stessa griglia è stata mantenuta per la prova in Sardegna, quindi i candidati hanno avuto 57 giorni di vantaggio rispetto agli altri?«Sì. È evidente che chi ha sostenuto la prova posticipata ha avuto qualche vantaggio».Un sostanzioso vantaggio…«Ma certo, certo».Secondo alcuni ricorsi la modifica dell'elenco degli ammessi all'orale, a prove già avviate, avrebbe cambiato l'assegnazione alle commissioni esaminatrici per molti candidati, tra cui la Azzolina che avrebbe dovuto essere giudicata in Veneto e non in Sardegna… «Mmmh».In particolare secondo il consulente di alcuni ricorrenti l'introduzione di cinque aspiranti presidi il 20 e 24 maggio 2019, dimenticati «per errore», mentre non avrebbe avuto impatto sui primi 780 nomi avrebbe mutato l'assegnazione alle commissioni per i candidati fino al numero 3.800.«Questa storia dell'inserimento dei cinque nomi in effetti mi sembra strana, va verificata».Come si legge da più parti, Lucia Azzolina ha sostenuto anche lo scritto (voto 80,5) oltre che l'orale a Cagliari?«Io le posso dire che ha sostenuto l'orale a Cagliari. Gli scritti noi li abbiamo corretti sulla base di codici come tutte le commissioni. Abbiamo conosciuto i candidati solo all'orale quando a un codice è stato abbinato un volto. Io non so dirle se abbiamo corretto il suo scritto».Se Lucia Azzolina e altri fossero stati giudicati per le due prove dalla stessa commissione sarebbe un'anomalia?«Assolutamente no. Può essere un caso. Non trovo anomalo che una candidata esaminata per lo scritto sia poi esaminata anche per l'orale dalla stessa commissione. La questione è un'altra. La ministra si deve dimettere. Punto. Vede, fino a quando non vengono pubblicati tutti i compiti, non possiamo che ipotizzare…».In un ricorso si sostiene che la sua commissione sia stata la seconda con il più alto numero di promossi allo scritto, dopo il Molise: 60%.«Non è vero. Sono numeri sballati. Siamo stati tra i più severi: 20,33% di promossi allo scritto e 63,92% all'orale».Lei ha assistito all'orale della Azzolina e sulla base della sua performance si è convinto che non può fare il ministro dell'Istruzione.«Ho voluto chiarire una cosa. Nella mia esperienza - ho presieduto e fatto parte di tante commissioni - forse non ho mai incontrato candidati tanto impreparati, ho registrato strafalcioni linguistici e lacune insostenibili per chi vuole fare il dirigente scolastico».Esempio?«Una candidata, non la Azzolina, non capiva che cosa le venisse chiesto. Alla fine ci siamo resi conto che non aveva la più pallida idea di cosa fosse una radice quadrata. Ha dichiarato di non aver mai visto quel simbolo…». Non male per un'aspirante preside. La Azzolina?«Ha preso insufficiente in inglese, 5 (ndr, su 12) e zero in informatica».L'inglese maccheronico non è indice di ministro incapace altrimenti...«Ha preso zero in informatica. Al quesito composto da più domande non ha risposto male, non ha proprio risposto. Ma conosceva le norme e l'orale è andato, informatica e inglese avevano un peso relativo nel giudizio».Devono essere rese pubbliche le prove del concorso a dirigente scolastico?«Ma certo. Io sono solidale con i ricorrenti. Devono essere rese pubbliche tutte le prove, a maggior ragione quelle del ministro. Come ha fatto il ministero della Giustizia per il concorso a magistrato - anche quello sub judice - che ha ritenuto di ostendere le prove. L'ostinazione e l'arroganza del ministero e della ministra all'Istruzione, malgrado le sentenze del Tar, di non consentire ai candidati e a tutti di verificare gli esiti del concorso credo siano una cosa non da Terzo ma da Quinto mondo…». La ministra potrebbe dare l'esempio pubblicando le sue prove, mettendo a tacere accuse magari, in questo momento difficile, anche interessate.«La ministra è la negazione dell'evidenza in ogni sua azione». In che senso?«Come sa ho denunciato il plagio, e sto approfondendo altri aspetti. Ho contato almeno 42 passi copiati nelle sue tesi di primo e secondo livello e di abilitazione all'insegnamento per il sostegno. Non ha mai risposto se non negando l'evidenza. Stiamo parlando di una costante azione di negazione dell'evidenza, di mancata trasparenza. Lo ripeto senza problemi».Ha già detto che secondo lei deve dimettersi: non le chiedo perché.«Deve dimettersi o almeno dare ora garanzia di quella trasparenza che non ha mai garantito da quando si è insediata». Come per gli altri articoli sul concorso a dirigente scolastico, la replica alla ministra Lucia Azzolina.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-azzolina-si-dimetta-e-renda-pubblico-il-suo-esame-da-preside-2648430018.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-ministra-scambia-sierologici-e-tamponi-rapidi" data-post-id="2648430018" data-published-at="1603304112" data-use-pagination="False"> La ministra scambia sierologici e tamponi rapidi Il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, esperta di fama internazionale di banchi a rotelle, zoppica e non poco nelle materie scientifiche, tanto che si becca pure una bella lezione in diretta dalla immunologa Antonella Viola, docente ordinaria di patologia generale presso il dipartimento di scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice scientifica dell'istituto di ricerca pediatrica Città della Speranza. Martedì sera, 20 ottobre. A Otto e mezzo, su La7, il ministro Azzolina è ospite principale. La scuola, come tutti sappiamo, è una delle trincee della lotta al coronavirus, e la Azzolina fino a ora si è opposta strenuamente a ogni ipotesi di chiusura degli istituti scolastici. «In questo momento», sentenzia la Azzolina, «servono i test rapidi nelle scuole, perché noi non possiamo mandare in quarantena i nostri studenti perché hanno un raffreddore o un'influenza. Bene la regione Emilia Romagna che ha messo a disposizione i test, ho sentito oggi il presidente Bonaccini, nelle farmacie affinché possano andare gli studenti e il personale scolastico a farli. Questo serve a decongestionare…». A questo punto, la Viola inizia a fare cenno di no con la testa. «No, no, no!», esclama l'immunologa, rivolgendosi alla Azzolina, «oggi ero io in televisione con Bonaccini e quelli che ha messo a disposizione sono test sierologici che non servono a quello che dice lei ministra, quello che servono sono i test antigenici rapidi che devono essere assolutamente portati all'interno delle scuole per fare monitoraggio, ma i test sierologici non ci aiutano in questo senso». Gelo in studio: la Azzolina cerca di reagire buttandola in caciara: «Io mi sono confrontata con diverse persone», ribatte il ministro, «nel comitato tecnico scientifico. Bisogna distinguere, se sei positivo al Covid e devi fare un controllo nella classe è chiaro che serve quello che dice lei, ma se noi mandiamo in quarantena i bambini perché hanno un raffreddore o un'influenza serve il test che dice lei o serve intanto accertarci per capire se c'è la possibilità che sia Covid o altro, perché qui c'è tutto un dibattito enorme tra gli scienziati». Niente da fare, lo stratagemma del dibattito tra gli scienziati non funziona: «No no no, guardi», ribatte immediatamente la Viola, «non c'è un dibattito, il test sierologico non serve per fare diagnosi, è uno strumento epidemiologico per capire quant'è la prevalenza dell'infezione nella popolazione. Non si usa a livello individuale per dire se si ha il Covid oppure no, anche perché se una persona risultasse positiva al sierologico vorrebbe dire che ha sviluppato già gli anticorpi e non è più contagiosa, mentre noi», precisa la docente, «vogliamo identificare le persone contagiose e per fare questo servono i test antigenici rapidi e sono quelli che devono essere usati nelle scuole, magari mettendo anche più bambini insieme come stanno facendo in Veneto. Il test sierologico non serve, è una cosa che va detta una volta per tutte». Povera Azzolina, ma soprattutto povera scuola italiana.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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