2023-09-17
Kadyrov peggiora e Putin adesso trema: la polveriera cecena rischia di riesplodere
Senza leader, l’area musulmana finirà nel caos. Sepolto vivo il suo medico. Gli Usa: «Pericolo furto delle armi per l’Ucraina».Iran, spari al corteo per Mahsa Amini. Arrestato il padre della ragazza a un anno dalla sua morte, mentre in piazza tornano le proteste contro il regime islamico. La polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti.Lo speciale contiene due articoli.Continuano a rincorrersi le notizie sulle gravi condizioni di salute del leader ceceno Ramzan Kadyrov. Secondo i servizi segreti occidentali il «macellaio di Grozny» è in coma, prossimo alla morte. Un quadro verosimile, considerato che il fedelissimo di Vladimir Putin lotta contro una malattia ai reni da anni, aggravata dal vizio dell’alcol, contro la quale non sono servite né le cure ricevute in Russia, né quelle negli Emirati arabi. Kadyrov (46 anni) è insomma un condannato in attesa della sua fine. Per la quale ha pagato per primo il suo medico personale, Elkhan Suleimanov: secondo la Bild, infatti, il dottore è stato sepolto vivo, incolpato del forte deterioramento della salute del suo paziente e sospettato di aver cercato di avvelenarlo. Ma la morte di Kadyrov sarà un cruccio anche per il presidente russo: il vuoto di potere lasciato dal dittatore ceceno potrà infatti causare il caos non solo nelle sue milizie, che combattono a fianco di Mosca in Ucraina, bensì in tutta l’area del Caucaso, tormentata fino al 2009 da conflitti e instabilità. Per capire l’importanza di Kadyrov e del suo regime islamico, bisogna tener presente la storia della Repubblica cecena: dopo la dissoluzione dell’Urss, la sua popolazione, prevalentemente musulmana, ha cercato di divenire indipendente dalla Russia, senza successo. Kadyrov, da nemico giurato di Mosca, alla fine delle seconda guerra cecena divenne il presidente della regione per mano di Putin, di cui divenne fedele alleato. Da allora le carriere dei due leader sono legate a doppio filo: lo zar può contare sul presidente ceceno per tenere a bada la repubblica ribelle e controllare l’intero Caucaso settentrionale, mentre Kadyrov mantiene il potere, amministra la Cecenia come un feudo personale, e gode di un’enorme ricchezza. Personaggio controverso, spietato uomo della guerra, il ceceno è quindi per il Cremlino una garanzia di stabilità della zona, in cui ribolle il fondamentalismo islamico e le relative cellule terroristiche, rimaste sotto la cenere dopo anni di attentati sanguinosi in Russia (basti pensare all’attacco delle «vedove nere» al teatro Dubrovka di Mosca nell’ottobre 2002, in cui persero la vita 129 civili, e la strage alla scuola di Beslan del 2004, con 334 morti, oltre a diversi attacchi kamikaze in treni, metropolitane e aerei). Senza Kadyrov, privo di eredi politici (come Putin) anche le sue milizie (i Kadyrovtsy) resteranno senza una figura di riferimento, nel bel mezzo della guerra in Ucraina. Nella quale, più che la qualità dei combattenti ceceni, ha contribuito la quantità. A Euronews, Harold Chambers, analista del Caucaso settentrionale, aveva affermato che «i ceceni sono un sorta di esercito speciale di Vladimir Putin e Kadyrov che è un convinto sostenitore della guerra vuole ingraziarsi il favore del presidente russo». Esperti nelle operazioni di controinsurrezione in patria, hanno partecipato a combattimenti urbani a Mariupol, Sievierodonetsk e nel Donbass. Allo stesso tempo, la Russia ha utilizzato i ceceni fedeli al Cremlino per disciplinare e, secondo quanto riferito, persino giustiziare soldati dissenzienti, nonché per intimidire i civili in Ucraina. Spietati e implicati in torture, saccheggi, stupri e stragi di civili, la presenza dei miliziani ceceni sarebbe stata per molti esperti militari più che altro una grossa operazione di propaganda russa che ha mostrato, specie nei primi giorni del conflitto, l’arrivo in Ucraina «dei combattenti d’élite del Cremlino» al grido di «Allah akbar». Un grido che senza Kadyrov rischia di togliere il sonno a Putin. Intanto, un altro timore prende forma a Washington: le armi e le munizioni che i soldati Usa stanno muovendo attraverso l’Europa verso l’Ucraina rischiano di essere rubate o di andare perdute, perché le misure di sicurezza non vengono osservate in modo efficace, avverte il Pentagono che punta il dito in particolare contro un sito logistico in Polonia. Novità anche sul fronte grano: l’Ucraina ha annunciato che due cargo stanno navigando nel Mar Nero in direzione dei suoi porti, per la prima volta dopo la scadenza, a luglio, dell’accordo con la Russia che permetteva di esportare le derrate ucraine malgrado l’invasione del Paese. Il ministro ucraino delle Infrastrutture, Oleksandr Kubrakov, ha spiegato che al «porto di Chernomorsk verranno caricate quasi 20.000 tonnellate di grano per l’Africa e l’Asia».Le navi battono bandiera di Palau e i membri dell’equipaggio provengono da Turchia, Azerbaigian, Egitto e Ucraina. Lo stop delle esportazioni ucraine, dopo la scadenza dell’accordo con Putin, ha consolidato il dominio di Mosca sul mercato globale del grano, con l’inondazione del prodotto russo che ha dimezzato i prezzi del cereale. Allontanando, ancora una volta, le possibilità di un braccio di ferro senza compromessi con il Cremlino.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/kadyrov-peggiora-putin-trema-2665504303.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="iran-spari-al-corteo-per-mahsa-amini" data-post-id="2665504303" data-published-at="1694956821" data-use-pagination="False"> Iran, spari al corteo per Mahsa Amini Proteste, scioperi, arresti. È stato tutt’altro che pacifico, in Iran, l’anniversario della scomparsa di Mahsa Amini, la giovane morta il 16 settembre dello scorso anno a seguito di tre giorni di coma dopo esser stata arrestata per aver indossato il velo in modo ritenuto allentato. Se infatti già nei giorni scorsi le autorità iraniane avevano arrestato centinaia di persone in diverse regioni - accusandole di voler incitare la popolazione nell’anniversario della morte della Amini -, nella giornata di ieri la tensione è salita alle stelle. A Teheran, dove sono apparsi graffiti e striscioni contro la Repubblica islamica, alcune fonti hanno riferito di spari da parte della polizia sui manifestanti radunati attorno a Piazza Azadi e sette prigioniere politiche hanno inscenato una protesta nel carcere di Evin. Molti negozi sono rimasti chiusi a Baneh, Kamyaran, Divandarreh, Sanandaj e Saqqez, la città di cui Mahsa era originaria, e gli arresti non si sono certo fermati. Basti dire che in mattinata è stato fermato perfino Amjad Amini, il padre della giovane commemorata, il quale dopo le proteste degli scorsi giorni era stato messo sotto sorveglianza con la richiesta di non partecipare ad alcuna cerimonia in memoria della figlia; le stesse strade che, dalla casa della famiglia, conducono verso il cimitero di Aichi - dov’è sepolta la ragazza - da qualche giorno risultavano «altamente militarizzate» allo scopo di scoraggiare ogni manifestazione, con anche gli alberghi chiusi ad ogni ospite esterno. A quello che a molti era parso come un tentativo d’intimidazione da parte del regime, la famiglia di Masha aveva risposto col seguente comunicato: «Come ogni famiglia in lutto, noi, la famiglia Amini, ci riuniremo presso la tomba della nostra amata figlia Jina (Mahsa) Amini, nell’anniversario della sua morte, e stiamo celebrando cerimonie commemorative tradizionali e religiose». Di conseguenza, non appena l’uomo ha lasciato la sua abitazione, a Saqez, è stato arrestato; a leggere alcune ricostruzioni sarebbe praticamente stato prelevato sulla porta. Poche ore dopo è però stato rilasciato e ora sarebbe ai domiciliari. L’intera vicenda è stata così riferita dalla Ong Iran human rights, con sede a Oslo, secondo la quale il padre di Masha «è stato arrestato questa mattina mentre lasciava la sua casa» e lì «è tornato poche ore dopo». Sempre secondo la Ong, Amjad Amini era già stato convocato per essere interrogato da varie agenzie di sicurezza almeno quattro volte nelle ultime settimane, e anche altri due membri della stati arrestati martedì scorso durante un raid delle forze di intelligence a Saqqez e sarebbero tutt’ora detenuti. Evidentemente nel regime guidato dal presidente Ebrahim Raisi è ancora viva ben la memoria dello scorso anno, quando le proteste furono furiose e furiosa fu soprattutto la repressione, tanto che, secondo l’agenzia dei diritti umani iraniani Hrana, vi furono 20.000 arresti e persero la vita 551 persone. Di quegli eventi Mahsa Amini è divenuta poi il simbolo, e certamente a Teheran erano - e sono - molto forti i timori di una riproposizione degli stessi. Di qui le rigidissime misure di sicurezza, arrivate all’installazione di telecamere sul cimitero dov’è sepolta la giovane e, come si già diceva, all’arresto di suo padre. Un evento, quest’ultimo, che per quanto temporaneo ha colpito molto l’opinione pubblica internazionale, a partire dai dissidenti del regime rifugiati all’estero. Come il pianista Ramin Bahrami, esule in Germania, che ad Adnkronos si è detto «profondamente rattristato per l’accaduto». Secondo Bahrami, ciò che è avvenuto è di assoluta gravità ma «purtroppo non cambierà nulla» ai vertici della Repubblica islamica.