2024-07-24
Joseph, l’eroe arrivato dall’Africa e l’attrazione (fatale) per Fiamma
Nel riquadro la cover del libro di Silvana De Mari «La ballata dei bambini senza nome» (iStock)
Da oggi in edicola con «La Verità» e «Panorama» il libro di Silvana De Mari, «La ballata dei bambini senza nome». Il protagonista, giunto in Italia, si scontra con una società decadente e scristianizzata.Fiamma è la prima della classe. Fiamma è nata prima della classe, esattamente come Mozart è nato musicista, Jack lo squartatore è nato serial killer e Forrest Gump è nato scemo. Anche alle elementari era la prima della classe. All’asilo no, perché non ci è andata: salute cagionevole e madre terrorizzata dai germi hanno fatto sì che i nonni e soprattutto le tate sostituissero le istituzioni scolastiche della madre patria. I germi erano un’opzione improponibile sia perché la mamma le vuole bene e non vuole vederla malata, ovvio. Inoltre, portare un bambino all’asilo presuppone il tempo di svegliarlo, vestirlo, dirgli «buongiorno pulcino mio» o locuzione equivalente, e dargli la colazione. La tata viene lei: quando arriva, il bambino dorme ancora e la madre esce veleggiando verso la propria scintillante postazione di lavoro senza doversi fermare all’asilo, senza avere sulle immacolate camicie e le perfette giacche blu o nere la marmellata della merendina o il muco. Forse è per questo che lei, Fiamma, «socializza male», come enunciano con tono sconsolato i fulgidi rappresentanti del personale docente e quello non docente, in tempi remoti chiamati professori e bidelli [...].Fiamma è figlia unica. L’irrazionalità di mettere al mondo un figlio a casa sua è stata affrontata un’unica volta e anche quella con perplessità […]. Sua madre si è resa conto di essere incinta e ha pensato subito che fosse un disastro. Fiamma risente la voce di sua madre. Per sottolineare i concetti sua madre scandisce le sillabe. «Un di-sa-stro! Avevo il master all’Msh, rischiavo di perderlo, capisci?», spiega sua madre. La drammaticità della scelta è stata palese. L’Msh è il Mont Sion Hospital, uno dei più prestigiosi ospedali del pianeta. Fiamma si chiede se sua madre quando ha scoperto di essere incinta abbia pensato anche di non volerla. Di non averla? Per fortuna poi ha fatto i conti. «Poi abbiamo fatto i conti, ci siamo resi conto che la bambina sarebbe nata a luglio, giusto a metà dei due mesi di vacanza estiva. Una for-tu-na!». Una fortuna davvero. Se invece di luglio la data fosse stata settembre? O febbraio? Lei esisterebbe lo stesso o sarebbe andata a ingrassare le statistiche dell’Ivg, interruzione volontaria di gravidanza? È un pensiero inquietante [...]. I suoi giocattoli, tutti, sono sempre stati comprati nei negozi di giochi educativi, una roba tristissima fatta di legno, corda e mesti colori naturali, di genere sempre neutro, cioè senza connotazioni da maschio o da femmina, nella discutibile teoria che le due categorie siano sovrapponibili e intercambiabili [...]. Fiamma se ne va a passare il resto del pomeriggio da Leila, amica del cuore. Leila è una brusca spinta a piantarla di piangersi addosso, passare a un pensiero meno ottusamente bloccato sulle magagne di una vita molto dorata. Leila dalla vita non ha avuto molto. Sua madre stava fuori dalla mattina alla sera come quella di Fiamma, ma la luminosa carriera era quella di pulire scale e fare pulizie in nero. Leila è nata senza padre, nel senso che chiunque fosse il proprietario dello spermatozoo che ha portato i ventitré cromosomi all’ovulo di sua madre, si è dileguato nel nulla prima di assumersi la felicità e la responsabilità della nuova vita […]. Leila passava i pomeriggi sola in casa, in silenzio, con l’ordine di non aprire a nessuno, come i tre porcellini, nel timore che alla soglia della baracca si presentassero a bussare il lupo cattivo o i servizi sociali: essendo il lupo il meno temuto [...].Fiamma e Leila si sono incontrate in prima media. È stato un incontro perfetto, essendo l’amicizia perfetta un incontro dove ognuno dei due partecipanti è convinto di avere ricevuto più di quanto abbia dato. Leila ha ricevuto libri, materiale da disegno, lezioni private su tutto lo scibile che nella sua piccola scuoletta elementare doveva essere saltato per l’urgenza di insegnare l’italiano a tutti gli appartenenti a lingue diverse. Fiamma ci ha guadagnato un’amicizia vera, la possibilità di uscire dal suo guscio per scoprire le paludi, i campi nomadi, la percezione della propria immensa fortuna [...]. E a questo punto è comparso Joseph, piovuto dalla parte più nera dell’Africa e dalla parte più nera della cronaca. Un giorno apparentemente qualsiasi di due anni prima mentre erano in giro a cercare nidi di anatre, lei, Leila, Umberto, Ursula e Stefano, cinque scolaretti di prima media, carini e con le camicie pulite e stirate, sono stati attaccati da una banda di ragazzi africani, più grandi di loro, ben più duri di loro, in grado di farli a pezzi. Il tutto si era risolto, se l’erano cavata. Fiamma era rimasta sconvolta dal capo: sapeva che se erano usciti dall’incontro senza un graffio era stato grazie a lui. Lui l’aveva guardata per un lungo attimo e poi li aveva lasciati andare. È stato un ricordo strano, che le faceva venire una specie di nodo alla gola. Per un mucchio di sere aveva ricordato gli occhi dell’altro, le spalle. Si era chiesta cosa l’altro avesse già visto, già vissuto, si era sentita sempre più anatroccolo, un anatroccolo capriccioso che osava lamentarsi della sua condizione di dorato privilegio. Comunque, da allora non era più andata nelle paludi. Sua madre aveva messo un veto assoluto e onestamente neanche tanto ingiustificato. Poi la situazione era precipitata. La mamma di Leila aveva sposato un veterinario e il veterinario aveva adottato il ragazzo africano, Joseph. Forse adozione non era il termine corretto, forse era stata un’altra cosa, affido, qualcosa del genere, ma il risultato finale era stato lo stesso. Fiamma se lo era trovato di fronte in classe. Un ragazzone impacciato e imbarazzante che parlava male l’italiano, con un qualsiasi nome inglese e un accento francese che non aveva niente di esotico. Il fascino era diminuito parecchio da quando era il capobanda di una banda di mezzi criminali o forse criminali interi secondo i punti di vista, ma era poi aumentato di nuovo, bisognava riconoscerlo, perché Joseph giocava benissimo a calcio: c’era stata un’unica partita dove Joseph e Umberto avevano giocato insieme, ed era stata bellissima. A Fiamma del calcio era sempre fregato meno di zero, però era rimasta incantata il giorno della partita dall’eleganza, dalla forza, dalla potenza. La partita di calcio era stata una specie di battaglia incruenta, un poema epico dove ventidue cantastorie avevano raccontato di una guerra. E su tutti la virilità di Joseph aveva scintillato. Di nuovo le si era seccata la gola. Di nuovo il cuore aveva battuto forte e si era formata alla bocca dello stomaco quella strana sensazione, come quando si salta un gradino. Fiamma si era chiesta se lei, già principessa delle divisioni a due cifre, rampolla dell’aristocrazia culturale, avrebbe mai potuto abbassare lo sguardo su un calciatore. La domanda era rimasta senza risposta, e questo voleva dire che la risposta ovvia e scontata, no non era né ovvia né scontata. Voleva dire che la risposta avrebbe anche potuto essere sì. Non c’erano state altre partite. Poco prima di Natale, Joseph aveva scatenato una caccia all’uomo nelle paludi, quello inseguito era lui, così da permettere di sgominare una banda di criminali che teneva bambini a mendicare e forse anche peggio, e nell’impresa per poco non era rimasto ammazzato. Aveva perso la gamba sinistra, amputata sotto il ginocchio. Era diventato l’eroe. Un eroe assoluto, totale, che aveva rischiato la vita, che aveva affrontato un’amputazione, distrutto il suo molto verosimile futuro di grandissimo calciatore. Un eroe certo. Anche uno sciancato, uno storpio per usare gli antichi termini dei vecchi libri, prima di portatore di handicap, disabile e finalmente il top: diversamente abile. Questo aveva parecchio diminuito il suo fascino di calciatore. Gli aveva però dato quello dell’eroe. Un fascino che aveva investito tutti e per questo Fiamma si era sentita per sempre l’anatroccolo. Della cotta di Joseph per lei, in qualche maniera, se ne erano accorti tutti. E andava bene a tutti. Il giovane eroe africano azzoppato dalla vita e dal suo eroismo, e la fanciulla bionda e aristocratica che lo consola. Molto fotogenico. Ci si sarebbe potuto fare un film. Probabilmente prima o poi lo faranno e una qualche strafiga imperiale farà la parte di Fiamma. Quindi tecnicamente Joseph è capobanda, calciatore, eroe, ma anche africano nullatenente, già ladro, con una gamba di meno. Joseph mischia caratteristiche da «il più figo del reame», ma anche «il più scassato del reame», tutto in una persona sola. Fiamma decide di andare a trovare Leila. È una trasgressione veramente del cavolo andare da Leila senza specifico permesso, lo spinello e la birra, quello sarebbe roba seria, ma è comunque una trasgressione. La decisione fa saltare al 32% il senso di indipendenza e il senso di inefficacia scende a 11. La piccola città sul mare scorre via veloce sotto le ruote della bici color azzurro. Al suo arrivo lei e Leila si abbracciano come se non si vedessero da anni, mentre si sono viste due giorni prima a scuola e si rivedranno il giorno dopo, ma come giustamente sostiene Umberto, le femmine hanno il dono della teatralità permanente, un fiume di emotività costantemente in piena cui bastano trenta ore di assenza per straripare in abbracci e baci: il termine che usa Umberto per riassumere tutto questo è «un branco di isteriche». Fiamma non si chiede nemmeno che peso abbia avuto nella decisione la speranza di incontrare Joseph che vive anche lui in casa di Leila. Fa dentro e fuori dall’ospedale e in quel momento è a casa. Nessun peso, certo.
Crollano le forniture di rame, mercato in deficit. Trump annuncia: l’India non comprerà più petrolio russo. Bruxelles mette i dazi sull’acciaio, Bruegel frena. Cina e India litigano per l’acqua del Tibet.
Elly Schlein (Imagoeconomica)