
Estremista kosovaro beccato dagli 007 a Brescia: fu cacciato nel 2015. Sui social scriveva: «In 5 anni l'Europa non esisterà più, regnerà la sharia». Scovato a Varese un ceceno che fabbricava documenti falsi: sarebbe legato alla cellula in azione a Vienna.«Dio distrugga la Francia, oh Signore, che fino a ieri i suoi aerei in Siria non hanno lanciato caramelle». Nel 2015 il pallino dei fratelli Imishti, origine kosovara ma trapiantati nel Nord Italia, era la Francia. Uno di loro, Ismail Imishti, 52 anni, espulso quello stesso anno dal territorio italiano perché sospettato di far parte di una cellula di jihadisti capeggiata dal fratello Samet, è tornato a Castelcovati, in provincia di Brescia, dove all'epoca gli investigatori ritennero che si era radicalizzato. Lavorava sui cantieri come muratore, faceva la spesa al market sotto casa e si muoveva liberamente come un immigrato qualunque.Ma la sua presenza non è sfuggita agli 007 dell'Aise (il servizio segreto che si occupa di minaccia estera guidato da Giovanni Caravelli), che sono riusciti a ricostruire anche le tappe del suo rientro in Italia, utilizzando, da clandestino, documenti falsi, che sono stati sequestrati al momento dell'arresto (anche durante la perquisizione del 2015 saltarono fuori documenti falsi). Gli investigatori della Digos, coordinati dalla sezione antiterrorismo dell'Ucigos della polizia di Stato e dalla Procura antiterrorismo di Brescia, l'hanno poi individuato e pedinato. «Ha potuto godere di una doppia documentazione», spiega il dirigente della Digos di Brescia Antonio Rainone. Ismail, ricostruisce Rainone, «usava documenti con il cognome della madre, che per noi era una perfetta sconosciuta». Poi aveva in tasca anche un secondo documento di riconoscimento con i suoi dati reali, nonostante gli fosse stato revocato anni fa. Lo usava solo per le pratiche amministrative. Come, per esempio, il contratto di lavoro da muratore. Ai controlli di polizia, invece, mostrava il documento taroccato. E passava inosservato.Dall'inchiesta è emerso che Ismail avrebbe goduto anche dell'aiuto di un terzo fratello: Qerim, pure lui irregolare, che era già stato destinatario di provvedimento di espulsione. I due sono stati collocati nel Cpr (Centro per il rimpatrio) di Gorizia, in attesa dell'espulsione in Kosovo. Ismail, appena catturato, è stato processato per direttissima: oltre alla convalida dell'arresto per la violazione del decreto di espulsione e per resistenza a pubblico ufficiale, è stato condannato a un anno di reclusione con sospensione della pena. Il giudice ha anche disposto il nulla osta per il rimpatrio coatto. Il kosovaro è stato indicato dall'intelligence come soggetto ancora pericoloso. Dal paesino del Bresciano, insieme a Samet, aveva giurato guerra all'Occidente: in un gruppo su Facebook i due minacciavano papa Bergoglio: «Francesco, sarai l'ultimo pontefice». E inneggiavano alla strage del Bataclan: «Parigi a lutto, la torre senza luci, 158 morti, questo è solo l'inizio». E ancora:«L'Europa verrà disgregata, entro cinque anni si formeranno gli stati islamici e ci sarà una legge, quella della Sharia». Coincidenza: l'espulsione gli è stata notificata proprio nel giorno dell'anniversario dell'attentato al Bataclan. Il rischio è che attorno a Ismail si sarebbe potuta ricostituire una cellula terroristica. Nel 2015 (l'inchiesta fu ribattezzata Van Damme, perché facendosi beffe di un paio di eroi virtuali del cinema che combattevano scrissero «non siamo né Rambo né Van Damme, ma facciamo fatti veri») gli Imishti erano già un bel gruppetto jihadista a gestione familiare: fu espulso anche il figlio di Ismail, Mergim, che viveva a Savona. E c'era un addentellato a Vicenza: Arben Suma, che fu sottoposto alla misura della sorveglianza speciale. L'intelligence italiana ha alzato i livelli di allerta dopo le informazioni raccolte sui collegamenti dei Leoni dei Balcani con l'attentatore di Vienna (come svelato dalla Verità all'indomani dell'attentato del 2 novembre). A livello europeo, infatti, viene segnalato un risveglio delle cellule jihadiste balcaniche. Al centro dei loro obiettivi ci sarebbe sempre la Francia: il 10 novembre a Tadamakat, in Mali, in un raid condotto dalle forze francesi è stato ucciso il leader jihadista Bah Ag Moussa. Operazione che potrebbe innescare voglia di riscatto da parte degli islamisti in Europa. Che a Varese potevano contare, stando a quanto ha scoperto la Procura antiterrorismo di Milano, su una «fabbrica» di documenti falsi. A gestirla c'era un ceceno: Turko Arsimekov, 35 anni, arrestato giovedì, e sospettato di far parte della cellula di terroristi balcanici a cui sarebbe legato anche l'attentatore di Vienna (dove è salito a 21 il numero delle persone che si ritiene abbiano aiutato il terrorista, stando a quanto ha reso noto la portavoce della Procura della capitale austriaca, Nina Bussek, secondo cui i sospetti, di età compresa tra i 16 ed i 28 anni, non avrebbero partecipato direttamente alla sparatoria, ma avrebbero contribuito all'organizzazione dell'attacco terroristico).Il ceceno, nell'inchiesta della Digos e dei pm Alberto Nobili e Enrico Pavone, è indagato per associazione con finalità di terrorismo. In queste ore si sta approfondendo anche una pista che porterebbe a Nizza. Lo straniero era in Italia come richiedente asilo (domanda che gli era stata bocciata), senza precedenti penali e mai segnalato negli archivi dell'antiterrorismo. Per l'accusa gestiva da casa sua a Varese, dove si era trasferito solo alcuni mesi fa da Verbania, una centrale di smistamento di passaporti e carte di identità in tutta Europa. E tra i suoi clienti, si sospetta, potrebbero esserci non pochi esponenti dell'islam radicalizzato.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





