2024-07-21
Il nuovo Partito repubblicano 2.0 lancia il tecnotradizionalismo
I nazional-conservatori propongono un mix di vecchi principi e prospettive originali. Nasce un inedito asse con la Silicon Valley, finora considerata feudo woke. Vance: «All’estero non colpire spesso, ma forte».Uno dei principali inconvenienti della politologia esercitata con Bertolt Brecht sul comodino è il fatto che, a forza di considerare il «ventre della bestia sempre fecondo», tutti i suoi figli finiscono per apparire simili. È così che non si «vedono arrivare» le scoppole rifilate alla sinistra. Il mondo conservatore, tuttavia, non è un monolite, men che meno è una creatura immobile sempre uguale a se stessa. Ciò che sta accadendo in America attorno alla figura di Donald Trump, in particolare, vede l’emergere di un nuovo tipo di destra, differente dalle altre fattispecie conservatrici cui eravamo abituati, ma già mutato anche rispetto all’universo trumpiano di qualche anno fa. Lo chiamano conservatorismo nazionale, o natcon, per distinguerlo per esempio dai neocon dell’era Bush. «A livello nazionale», ha riassunto Angelos Chryssogelos in un blog della London school of economics - «i nazionalconservatori riscoprono idee tradizionali come la religione e i valori della famiglia per infondere nelle loro società un nuovo spirito gerarchico e autoritario. A livello internazionale, mostrano una posizione di politica estera assertiva e antagonista, spesso contro le istituzioni internazionali e le “élite globaliste”. Sebbene non metta in discussione i presupposti fondamentali del neoliberismo di accumulazione di capitale e attrazione degli investimenti, il nazional-conservatorismo vede un ruolo molto più importante dello Stato nel guidare l’economia verso obiettivi di sicurezza statale, sovranità nazionale o preferenza etnica e culturale». Una ricetta identitaria, ma non più liberista in economia e non più isolazionista in politica estera. The American Conservative ha parlato, non senza perplessità, della «determinazione dei natcon di internazionalizzare il movimento conservatore» sull’esempio della «internazionalizzazione dei movimenti socialisti nei decenni passati». Un altro significativo cambiamento rispetto alla cruda espressione egemonica del primato americano che portava i vecchi Repubblicani a disinteressarsi dei sodali ideologici in giro per il mondo.Conversando con Sohrab Ahmari del New Statesman, J.D Vance, candidato vicepresidente e principale uomo nuovo del Trump 2.0, ha così descritto l’inedito approccio alla politica estera: «Un misto di estremo scetticismo verso l’intervento all’estero, combinato con una postura estremamente aggressiva quando intervieni all’estero... Non colpire spesso, ma quando colpisci, colpisci davvero forte». La visione di Trump, ha aggiunto, «riconosce che siamo in un’era di crescente multipolarità: e se non puoi combatterla, devi affrontarla». Alla recente convention repubblicana di Milwaukee, Vance ha usato parole inusuali in ambito repubblicano per quel che riguarda l’economia: «Abbiamo bisogno di un leader che non sia manovrato dalle grandi aziende ma che risponda ai lavoratori, che siano sindacalizzati o meno. Un leader che non si venda alle multinazionali ma che difenda le aziende americane. Abbiamo finito di essere asserviti a Wall Street. Ci impegneremo per i lavoratori». Frasi, ha commentato il giornalista Francesco Costa sul Post, «che potrebbero essere state pronunciate da un politico di sinistra radicale». A queste differenze ideologiche, ancora tutto sommato interne alla dialettica politica della modernità come l’abbiamo conosciuta, si aggiungono poi alchimie del tutto nuove. È il caso dello spostamento a destra di quella che fino a qualche tempo fa era considerata la capitale del pensiero woke: la Silicon Valley. Malgrado la sua orgogliosa identità provinciale, Vance, come noto, è un uomo di Peter Thiel, il cofondatore di Paypal, libertario e dichiaratamente gay, ma anche teorico segnato da certo pensiero accelerazionista. Nel suo The Straussian Moment, aveva invitato l’America a convertirsi dal pensiero di John Locke a quello di Carl Schmitt. Ross Douthat, sul New York Times, ha parlato di una «Tech-Trad Alliance», di un’alleanza tecnotradizionalista: «Trump stesso ha spianato la strada a destra per i baroni della tecnologia, ricostruendo il Partito repubblicano lungo linee un po’ più post cristiane, pagane, “conservatrici”». Citare Elon Musk (che, a proposito di letture tedesche maledette, tempo fa confessò di aver letto Nelle tempeste d’acciaio di Ernst Jünger, trovandolo un «ottimo libro») sarebbe scontato.Ma non c’è solo il patron di Tesla a guidare il nuovo corso. Un altro guru del Big tech come Marc Andreessen, uno che ha investito in 284 start up, tra cui Instagram e Skype, tra i più stretti consiglieri di Mark Zuckerberg, si sta ritagliando un ruolo di primo piano. Qualche giorno fa Andreessen ha rilanciato su X un post che recitava: «Per la prima volta da molto tempo abbiamo una contro élite in formazione, e questa è significativamente tratta dalla Silicon Valley. Il consenso liberale del dopoguerra si è appena atrofizzato in un managerialismo senza energia o innovazione. La Silicon Valley non può coesistere con quel sistema, almeno non a lungo termine». Qualche mese fa, ha pubblicato il Manifesto del Tecno-Ottimismo, secondo il quale la società sarebbe prigioniera di fisime reazionarie che ingabbierebbero lo sviluppo tecnologico. Molto singolarmente, Andreessen accostava argomenti classicamente liberali e tipici del discorso americano, come la necessità di non imbrigliare il mercato, ad altri riferimenti decisamente insoliti nel panorama culturale statunitense: dal manifesto del Futurismo a Così parlò Zarathustra. Un minestrone indigeribile? Forse. Ma si tratta di un cuoco con cui toccherà presto fare i conti.