2018-04-14
«Italia invasa dai pomodori cinesi. Ma che fine facciano è un mistero»
Il responsabile economico della Coldiretti, Lorenzo Bazzana: «A fine marzo sono sbarcati a Napoli 44 container di concentrato. Passata la dogana, se ne sono perse le tracce. Il nome degli importatori è custodito come un segreto di Stato».Dov'è finito il concentrato di pomodoro cinese, arrivato a fine marzo nel nostro Pese? Dopo l'annuncio, poche settimane fa, dell'imminente sbarco di 44 container pieni di salsa rossa nel porto di Napoli, i consumatori si stanno chiedendo se nel ragù o sulla pizza che mangiano, al posto della pummarola non ci sia adesso il frutto carnoso coltivato nello Xinjiang, a 3.000 chilometri da Pechino. Una regione enorme, cinque volte e mezzo l'Italia, tappezzata di piantagioni di pomodoro trattato con chissà quali fitofarmaci prima di essere esportato nel mondo sotto forma di triplo concentrato. Nel nostro Paese i 44 container, più di mille tonnellate di prodotto, erano arrivati dopo 25 giorni (in metà tempo rispetto alla rotta solo via mare), utilizzando treni merci e navi. Partito il 26 febbraio dalla stazione di Urumqi, capitale della regione autonoma dello Xinjiang, il carico aveva viaggiato su rotaia fino al porto di Kuryk, sul Mar Caspio, poi su nave era arrivato a Baku in Azerbaijan, aveva attraversato la Georgia in treno per essere nuovamente imbarcato dal porto di Poti, sul Mar Nero, fino a Napoli. Gestito dalla Xinjiang xintie international logistics company, è stato il primo viaggio cinese con destinazione sud Italia ad aver utilizzato simili modalità di trasporto, anche se il traffico merci tra Cina ed Europa su rotte terrestri va a gonfie vele già da qualche anno.Una volta sbarcate, di quelle tonnellate di triplo concentrato non si è saputo più nulla. Secondo l'Aincav, l'Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali, il pomodoro acquistato in Cina viene lavorato da noi e riesportato fuori dalla Ue. Sul nostro mercato interno ci sarebbe solo quello nazionale: pelati, pomodorini, polpa e passata ottenuti da materia prima fresca e coltivata in Italia. I dubbi rimangono, anche perché non si conoscono i nomi delle aziende che hanno acquistato il contenuto dei 44 container, né si sa per conto di chi lo lavoreranno. Passato il controllo delle nostre dogane a Napoli, il carico «è svanito». Di recente, l'Istat ha comunicato che nel 2017 l'import di pomodoro cinese in Italia è stato di 33.000 tonnellate, in forte calo rispetto al 2016 (- 63,6%). Non basta a tranquillizzare i consumatori. Con la guerra dei dazi in corso tra Stati Uniti e Cina che riguarda anche il comparto agroalimentare americano, molti ritengono che l'Italia possa ottenere dei vantaggi dall'escalation delle tariffe doganali tra i due giganti economici. Il nostro Paese potrebbe aumentare le esportazioni di agrumi o di vino sul mercato cinese, grazie al freno posto alle produzioni americane, ma se anche così fosse dovremmo in cambio accettare ancora più prodotti dal colosso asiatico, che si avvale di pratiche scorrette? Senza garanzie su quello che arriva sulle nostre tavole? Solo da un mese il governo cinese ha dato vita alla State market regulatory administration (Smra), per dare risposta alle preoccupazioni dei cittadini sulla sicurezza dei prodotti e la loro conformità agli standard, ma si profilano tempi lungi prima di poter parlare di informazioni soddisfacenti. Abbiamo girato le domande a Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti, la confederazione degli agricoltori italiani.Finirà sulle nostre tavole il triplo concentrato cinese? «Bisognerebbe chiederlo a chi l'ha importato. Gli uffici doganali hanno i dati complessivi ma non dicono chi importa le singole partite. Da una vita la Coldiretti chiede di avere numeri, nomi e cognomi: sembra un segreto di Stato che non può essere rivelato».Però la trasformazione avviene nel nostro Paese.«Sicuramente ci sono delle industrie italiane che hanno fatto la richiesta di importare pomodoro dalla Cina. In Italia sono circa 110 quelle che lo lavorano, al Nord solitamente il concentrato viene prodotto utilizzando la materia prima nazionale, mentre gli imprenditori conservieri del Centro e Sud Italia per lo più lo importano, anche dalla Cina».Spesso il pomodoro non paga dazio, se considerato merce che transita ed esce dall'Unione europea.«Le procedure possibili sono due: o le industrie importano il concentrato in regime Tpa, traffico di perfezionamento attivo o temporanea importazione (concesso dalla Ue per agevolare l'attività delle industrie di esportazione comunitarie e renderle più competitive sui mercati internazionali, ndr), a dazio zero e impegnandosi a lavorare le merci per poi esportare l'intero prodotto ottenuto fuori dall'Unione europea. Oppure seguono la pratica ordinaria, pagano le imposte doganali e il prodotto finale può rimanere nel nostro Paese. Circa l'85-90% del concentrato di pomodoro che arriva in Italia dalla Cina segue il primo percorso e non paga dazio. Dovrebbe essere tutto riesportato, altrimenti l'importatore froda il fisco. Chissà se per il pomodoro sbarcato a Napoli era stato autorizzato il traffico di perfezionamento attivo, così gli importatori non hanno pagato tariffa doganale».Il controllo a chi spetta?«Lo devono fare le dogane, per verificare se quello che entra senza pagare il dazio poi esce al cento per cento. Il problema è che stiamo parlando di triplo concentrato di pomodoro: una volta lavorato e con aggiunta di acqua o di altri ingredienti, da un chilogrammo possono saltare fuori due, cinque, dieci chilogrammi di prodotto. Difficile controllare se viene tutto esportato o se una parte rimane nel nostro Paese. Le 33.000 tonnellate arrivate dalla Cina nel 2017 non sappiamo dove siano andate a finire».Il restante 10-15% di concentrato per cui viene pagato il dazio?«Se rimane in Italia dopo la lavorazione, con il nuovo sistema di etichettatura che è stato introdotto in via sperimentale per due anni c'è l'obbligo di indicare l'origine dei derivati del pomodoro. Se invece i prodotti sono destinati a essere esportati dentro o fuori l'Unione europea, non c'è alcun obbligo».Dove possiamo ritrovare il concentrato di pomodoro cinese, senza essere informati?«Negli ingredienti per pizze e numerosi piatti pronti surgelati, nella base di sughi confezionati: può essere utilizzato in tantissime preparazioni. Pensiamo alla fine che fanno i semilavorati di frutti di bosco, di funghi, di asparagi, di altri ortaggi, di tartufi provenienti dall'industria cinese e che sono destinati a prodotti per catering, surgelati, guarnizioni. Perdono la loro identità, il consumatore non lo sa, non compaiono sull'etichetta».Una bella minaccia per la nostra salute, con tutte le incognite sui metodi di coltivazione e i pesticidi utilizzati in Cina.«Secondo il Sistema di allarme rapido europeo, la Cina è tra i Paesi che hanno ricevuto il maggior numero di notifiche per prodotti alimentari non conformi. Certificazioni vengono fatte, bisogna vedere in quale modo. Pensiamo allo scandalo del latte in polvere per i bambini, ci furono anche dei decessi. Oggi i cinesi preferiscono comprarlo in Europa e in Nuova Zelanda».Ci siamo ridotti ad accogliere tutto dalla Cina senza reagire?«È stata accettata come economia di mercato, con il gigante asiatico la Ue ha stipulato accordi bilaterali e l'Italia si deve adeguare. Purtroppo, con danni per i nostri produttori e consumatori perché si permette di portare sul territorio italiano ed europeo dei prodotti ottenuti con metodi e con principi attivi che da noi sono vietati: non si possono utilizzare. Arrivano le mele e le pere cinesi, mentre noi non possiamo esportarle sul loro mercato per barriere fitosanitarie: potrebbero portare insetti dannosi per quel Paese. È una delle assurdità che dobbiamo sopportare».
Jose Mourinho (Getty Images)