2023-11-02
Israele tratta con il Qatar e promette dollari al Cairo per prendersi i profughi
Abdel Al Fattah Al Sisi (Ansa)
Missione a Doha del capo del Mossad e del suo predecessore. L’obiettivo è negoziare sugli ostaggi e isolare i terroristi. Offerto all’Egitto l’abbattimento del debito estero.Per chi non vede tutto nero e tutto bianco, il Medio Oriente è un test per mettere alla prova intelligenza e intuito. Lo Tsahal, l’esercito israeliano, manda i carri ed entra nel Nord di Gaza a fare pulizia di terroristi di Hamas, ma al tempo stesso Gerusalemme invia a Doha i vertici dell’intelligence a trattare con gli emissari dell’emiro del Qatar. Gli stessi che finanziano Hamas. Da un lato si bombarda e dall’altro si tratta e si discute di soldi e fondi. Nulla di nuovo, visto il complicato intrecciarsi delle relazioni tra Golfo e Medio Oriente. Solo che stavolta è tutto alla luce del sole.Nella due giorni a Doha, l’attuale capo del Mossad, David Barnea, ha portato con sé il suo predecessore, Yossi Cohen. Non un semplice accompagnatore. Infatti, mentre il primo ha probabilmente il mandato di trattare sulla liberazione degli ostaggi rapiti lo scorso 7 ottobre e trascinati dentro la Striscia, il secondo dovrebbe essere chiamato a rispolverare le sue conoscenze qatarine per riprendere il filo che aveva tessuto tra il 2018 e il 2020. Tre anni fa fu pizzicato almeno due volte a Doha. All’epoca l’intento era quello di spaccare il fronte palestinese in due. Rendere Hamas un proxy (uno strumento) esclusivamente iraniano e sganciare il più possibile il Qatar e parte della Fratellanza musulmana dai terroristi per riavvicinarla al governo palestinese in carica. Magari mandando più fondi e soldi a Ramallah e in Cisgiordania. Non a caso all’epoca la notizia finì su alcuni giornali sauditi che titolarono anche sull’ipotesi che il Qatar chiudesse i rubinetti di Hamas. Appare chiaro che mentre si bombarda, si cerca di coinvolgere il piccolo emirato nel piano più ampio dei colloqui di pace tra sauditi e israeliani. Per certi versi un azzardo, ma per altri una scelta mirata a isolare l’Iran. In questo potrebbero aiutare gli amici-nemici turchi. Recep Tayyip Erdogan ha da poco chiuso un accordo di scambi commerciali con Doha, con tanto di piano di investimenti da 15 miliardi di dollari. Secondo alcuni analisti interpellati dalla Verità, per capire come evolveranno queste trattative, bisognerà osservare le mosse di Hezbollah. Al momento il gruppo armato finanziato dall’Iran sta alla porta. Non desidera farsi coinvolgere nella guerra. Al contrario potrebbe essere proprio Gerusalemme a giocarsi la carta dell’allargamento. Se passasse l’idea di un quarto fronte aperto (il terzo è lo Yemen), Israele potrebbe spostare l’attenzione fuori Gaza e muoversi con più disinvoltura. Sono però numerosi i Paesi arabi che si metterebbero, a quel punto, in mezzo per evitare una escalation. E il Qatar non vuole certo perdere il proprio ruolo di investitore internazionale, perché travolto da una guerra. D’altro canto l’arma dei soldi in queste ore movimenta anche il lato Sud di Gaza. Da poche ore il confine di Rafah è aperto anche in uscita. Escono i residenti di Gaza con doppio passaporto, ma gli israeliani fanno pressioni perché l’Egitto guidato da Abdel Al Fattah Al Sisi apra le porte anche ai rifugiati palestinesi. Che avendo solo quel valico a disposizione si riverserebbero nel Sinai. L’idea è quella di spingere la Banca mondiale a cancellare almeno parte del debito con L’Egitto in modo che Il Cairo possa accettare campi profughi sul proprio territorio. Al Sisi, dal canto suo, ha invitato un pezzo del politburo di Hamas ad aprire un ufficio in Egitto in modo da intensificare il dialogo, che dovrà prevedere un tavolo anche con le altre fazioni di Gaza, compreso gli jihadisti veri e propri. Insomma, non è da escludere che anche a Sud di Gaza possano essere decisivi i soldi. Molto più che le armi. Nemmeno è da escludere che le trattative portate avanti da Israele e dall’Egitto non siano coordinate. E mirino in entrambe i casi a depotenziare Hamas e, all’opposto, a dare più potere ad altre fazioni meno filo Iran. Certo, il tutto suona strano. Il Qatar sta diventando la Svizzera del Medio Oriente. Ospita la più grande base americana, ma almeno dai tempi di Barack Obama non è certo un alleato Usa. Va a braccetto con la Turchia e strizza l’occhio all’Iran. Vende il gas a mezza Europa ed è leader del mercato immobiliare in diverse nazioni. Compresa la Francia e l’Italia. Eppure il Qatar è parte del problema. I petroldollari che arrivano da Doha non ci permettono di prendere decisioni di principio. Ma sempre mediate dal business. Nessuno stupore. Però va tenuto presente. Soprattutto dall’Europa, che da un lato ha compreso di avere un grosso problema in casa: le piazze piene di sostrnitori dei terroristi ancor più che del popolo palestinese. E d’altro lato può rischiare alcuni contraccolpi. Se l’Egitto accettasse di aprire campi profughi nel Sinai e di accogliere decine di migliaia di profughi palestinesi, chi è in grado di assicurare il Vecchio continente che entro pochi mesi quei profughi non finiscano in Libia e da lì sui barconi per Lampedusa. Il mondo è connesso. Molto connesso. Aiutare gli ebrei a proteggersi dalla jihad è fondamentale quanto combattere contro l’antisemitismo dilagante in Italia e in Europa (e non tra i musulmani), ma serve anche stare attenti che non si creino onde in Medio Oriente pronte ad abbattersi sulle nostre coste. Onde che al loro interno, possono portare altrove ulteriore estremismo.