2024-06-20
Israele, escalation con Libano e Casa Bianca
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Gerusalemme approva i piani per un’offensiva contro Hezbollah: «Vicini a cambiare le regole per distruggerlo». Tensioni tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu per i ritardi sulla fornitura di armi americane all’Idf. Una ricerca rivela: fiumi di dollari dal Qatar all’università di Yale.Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, la Casa Bianca avrebbe cancellato i colloqui a Washington tra funzionari della sicurezza americani e israeliani dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha pubblicato un video sui social media in cui critica l’amministrazione Biden per presunti ritardi nella fornitura di armi a Israele. Le stesse fonti riferiscono che gli Stati Uniti non hanno gradito la sortita del premier israeliano e ad Axios un funzionario americano afferma: «Questa decisione chiarisce che ci sono conseguenze per tali azioni». Mentre secondo Times of Israel, un alto funzionario israeliano si è detto d’accordo: «Gli americani sono furiosi. Il video di Netanyahu ha causato molti danni». Ma cosa ha detto esattamente il premier israeliano? «È inconcepibile che negli ultimi mesi l’amministrazione abbia trattenuto armi e munizioni a Israele che è il più stretto alleato dell’America e che sta lottando per la propria sopravvivenza, combattendo contro l’Iran e gli altri nostri nemici comuni»; ed ancora: «Durante la Seconda guerra mondiale, il leader britannico Winston Churchill disse agli Stati Uniti: “Dateci gli strumenti, faremo il lavoro”. E io dico: dateci gli strumenti e porteremo a termine il lavoro molto più rapidamente».La vicenda ha assunto i toni del giallo dopo che la Casa Bianca ha, poi, smentito i fatti con decisione, affermando che l’incontro menzionato da Axios come annullato era stato semplicemente rinviato a causa di un conflitto di programmazione. «Come abbiamo detto ieri durante il briefing, non sappiamo a cosa si riferisca il primo ministro, ma questo non è un motivo per annullare un incontro», ha dichiarato un funzionario della Casa Bianca al Times of Israel. Lo stesso funzionario ha poi spiegato: «Abbiamo lavorato per trovare un momento per programmare il prossimo incontro che tenga conto dei viaggi e della disponibilità, ma non abbiamo ancora finalizzato i dettagli, quindi nulla è stato cancellato». Quindi tutto risolto? No di certo, perché l’irritazione a Gerusalemme per l’atteggiamento ondivago dell’amministrazione guidata da Joe Biden è sempre più marcata e lo stesso si può dire dal lato del presidente degli Stati Uniti che con Netanyahu non ha certo un rapporto disteso.Sul tema si è espresso l’ambasciatore americano in Israele, Jack Lew, che ha comunicato che le armi che Netanyahu sosteneva fossero trattenute dalla Casa Bianca «sono in realtà in procinto di essere consegnate a Israele». L’ufficio del premier ha risposto: «Netanyahu si aspetta che ciò avvenga e ha incaricato le squadre israeliane di collaborare con le loro controparti americane per questo scopo». Altra grana è quella rivelata dal Wall Street Journal secondo il quale la Casa Bianca starebbe rallentando la vendita di 50 aerei da combattimento F-15 a Israele nonostante abbia il via libera del Congresso.Anche ieri dal Libano sono stati lanciati razzi contro Israele, in particolare contro la zona di Kiryat Shmona. Gli Hezbollah hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco. Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno dichiarato che alcuni dei 15 razzi sono stati intercettati dai sistemi di difesa aerea e che hanno risposto bombardando i siti di lancio con l’artiglieria. Nella notte, invece, droni israeliani hanno attaccato un deposito di armi di Hezbollah a Yaroun, dove era stata individuata anche una cellula di miliziani.Il timore che il conflitto si possa allargare al Libano è sempre più forte anche perché Idf ha affermato che i piani per un attacco nel Sud del Libano sono stati approvati, aggiungendo che «sono state adottate misure per accelerare la preparazione sul campo». La notizia, pubblicata come dichiarazione dell’Idf su X, è arrivata mentre gli osservatori esprimevano crescente preoccupazione per la situazione lungo il confine tra Israele e Libano. Interrogato dai giornalisti a Washington sul piano, il portavoce del Pentagono, il maggiore generale Patrick Ryder, ha detto: «Non entrerò in ipotesi, nessuno vuole vedere una guerra regionale più ampia». Mentre l’inviato presidenziale Amos Hochstein ha annunciato che i tentativi di raggiungere un accordo per il confine settentrionale di Israele sono falliti. «L’Idf si sta preparando immediatamente alla guerra, attaccando una gamma di obiettivi più ampia rispetto ai soli Hezbollah e preparando istruzioni per le comunità civili che potrebbero essere colpite».Il problema è che Hezbollah continua a lanciare razzi e Israele sembra determinato a intervenire come scrive su X il ministro degli Esteri Israel Katz: «Siamo molto vicini al momento in cui si deciderà di cambiare le regole contro Hezbollah e il Libano. In una guerra totale, Hezbollah sarà distrutto e il Libano sarà gravemente colpito».Faranno discutere le parole del portavoce dell’Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari che in un’intervista a Canale 13 ha affermato: «Hamas è un’idea e chi pensa che sia possibile farla sparire si sbaglia. Sono i Fratelli musulmani». Ieri l’Egitto ha ribadito che non è disposto a inviare truppe nella Striscia per un periodo di tempo limitato dopo un completo ritiro delle forze israeliane mentre i carri armati israeliani, sostenuti da aerei da guerra e droni, sono avanzati in profondità nella parte occidentale di Rafah uccidendo, secondo Hamas, otto persone.Infine, l’Istituto per lo studio dell’antisemitismo e della politica globale (Isgap) ha pubblicato un rapporto schiacciante, evidenziando discrepanze significative nella rendicontazione dei fondi esteri da parte dell’Università di Yale, in particolare provenienti dal Qatar. Secondo la nuova ricerca, Yale ha riferito di aver ricevuto solo 284.668 dollari dal Qatar tra il 2012 e il 2023. Tuttavia, si stima che l’importo effettivo sia di almeno 15.925.711 dollari. Questa sostanziale sottostima viola la Sezione 117 dell’Higher education act del 1965 che impone alle università di segnalare semestralmente tutte le donazioni e i contratti provenienti da fonti straniere che superano i 250.000 dollari. L’impressione è che le sorprese in materia non siano finite.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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