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2024-06-17
Israele bandito dall’expo della Difesa
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(Ansa)
Armi e diplomazia. Le forze di difesa israeliane (Idf) in una nota diffusa ieri mattina affermano che «effettueranno una pausa tattica dell’attività militare quotidiana nelle aree del sud della Striscia di Gaza per consentire la consegna degli aiuti umanitari ai palestinesi». L’Idf ha precisato che la pausa avrà luogo tutti i giorni tra le 8 e le 19 lungo una strada che porta dal valico di Kerem Shalom e poi a nord verso Khan Younis. «Questo è un ulteriore passo avanti negli sforzi di aiuto umanitario condotti dall’Idf e dal Cogat dall’inizio della guerra», affermano i militari. Una bella notizia se non fosse che fonti vicine a Yoav Gallant hanno rivelato al quotidiano Haaretz che il ministro della Difesa israeliano «non sapeva nulla della decisione dell’esercito di sospendere i combattimenti nell’area adiacente al corridoio umanitario di Gaza». Secondo queste fonti, «il governo non ha autorizzato la decisione», ma c’è di più perché secondo quanto riporta l’emittente Channel 13 il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante la riunione del consiglio dei ministri di ieri ha affermato: «Abbiamo un Paese con un esercito, non un esercito con un Paese. Per raggiungere l’eliminazione di Hamas, ho preso decisioni che non sempre sono accettate dai vertici militari».
L’Idf come riporta Haaretz respinge le critiche sulla sospensione dei combattimenti nei pressi del corridoio umanitario di Gaza, e anche l’affermazione secondo cui la classe politica non sarebbe stata informata della decisione. Ma la vera notizia stavolta non arriva dal campo di battaglia. Oggi si apre a Parigi «Eurosatory 2024», evento globale per la difesa e la sicurezza. Quest’anno non vedrà la partecipazione delle 74 aziende di Difesa israeliane escluse dopo il clamoroso intervento di un tribunale distrettuale francese (sollecitato anche da interventi di Ong pro Palestina) che ha ordinato l’esclusione dei rappresentanti israeliani. Eurosatory, una delle maggiori fiere di difesa e sicurezza a livello mondiale, si svolge biennalmente vicino al principale aeroporto internazionale di Parigi. L’edizione del 2024, che inizia oggi e termina il 21 giugno, aveva pianificato di ospitare 74 aziende israeliane, di cui circa 10 avrebbero esposto armi. Questo evento solitamente attira oltre 1.700 aziende e più di 60.000 partecipanti provenienti da 150 Paesi con relativo giro d’affari multimiliardario. Charles Beaudoin, presidente di Coges Event, organizzatore di Eurosatory, ha espresso preoccupazione per la sentenza della Corte in una lettera datata sabato scorso. Ha osservato che «la decisione della corte va oltre la direttiva iniziale del governo, vietando la presenza di rappresentanti di aziende israeliane». Beaudoin ha anche sottolineato che Coges «sta perseguendo le vie legali più rapide per impugnare la decisione», anche se per ora la sentenza verrà applicata.
A questo proposito il governo francese dovrebbe rilasciare una risposta formale alla sentenza della Corte, tuttavia, appare improbabile che scoppi un conflitto tra poteri dello Stato. Il divieto riguarda i dipendenti di aziende israeliane, indipendentemente dalla loro nazionalità, mentre permette solo agli israeliani impiegati da aziende non israeliane di partecipare all’evento. Tutto nasce da una direttiva del ministero della Difesa francese, emessa nel maggio scorso che vieta alle aziende israeliane della difesa di allestire stand alla fiera di Parigi. Il ministero ha citato le condizioni insostenibili create dalle operazioni in corso dall’Idf a Rafah come ragione principale di questo divieto. Evidente come quella parte di magistratura di sinistra e proPal francese ha gradito e molto l’assist di Emmanuel Macron per impedire agli israeliani di prendere parte a Eurosatory 2024. Evidente come il divieto metta a dura prova le relazioni economiche tra Francia e Israele. Il commercio nell’ambito della Difesa è una componente critica delle relazioni commerciali bilaterali e l’esclusione delle aziende israeliane da Eurosatory potrebbe portare a misure di ritorsione o a una riduzione della cooperazione in altri settori con enormi danni economici per entrambi i Paesi. E portare persino a una rottura diplomatica.
Nel 2023 lo scambio commerciale nel settore della difesa tra i due Paesi ha superato i 2 miliardi di euro
È iniziata questa mattina a Parigi Eurosatory 2024 evento commerciale globale per la difesa e la sicurezza che non vedrà la partecipazione delle 74 aziende di difesa israeliane escluse dopo il clamoroso intervento di un tribunale distrettuale francese che ha ordinato l'esclusione dei rappresentanti israeliani.
Eurosatory, una delle maggiori fiere di difesa e sicurezza a livello mondiale, si svolge biennalmente vicino al principale aeroporto internazionale di Parigi. L'edizione del 2024, che inizia oggi e termina il 21 giugno, aveva pianificato di ospitare 74 aziende israeliane, di cui circa 10 avrebbero esposto armi. Questo evento solitamente attira oltre 1.700 aziende e più di 60.000 partecipanti provenienti da 150 paesi con relativo giro d’affari multimiliardario. Charles Beaudoin, presidente di Coges Event, organizzatore di Eurosatory, ha espresso preoccupazione per la sentenza della corte in una lettera datata sabato scorso. Ha osservato che « la decisione della corte va oltre la direttiva iniziale del governo, vietando non solo la mostra, ma anche la presenza di rappresentanti di aziende israeliane». Beaudoin ha anche sottolineato che Coges «sta perseguendo le vie legali più rapide per impugnare la decisione», anche se per ora la sentenza verrà applicata. A questo proposito il governo francese dovrebbe rilasciare una risposta formale alla sentenza della corte tuttavia, appare improbabile che scoppi un conflitto tra poteri dello Stato. Il divieto riguarda i dipendenti di aziende israeliane, indipendentemente dalla loro nazionalità, mentre permette agli israeliani impiegati da aziende non israeliane di partecipare all'evento. Non esiste un divieto assoluto per gli israeliani che desiderano visitare la fiera.
Tutto nasce da una direttiva del ministero della Difesa francese, emessa nel maggio scorso che vieta alle aziende israeliane della difesa di allestire stand alla fiera di Parigi. Il ministero ha citato le condizioni insostenibili create dalle operazioni in corso delle Forze di Difesa Israeliane (Idf) a Rafah come ragione principale di questo divieto. Evidente come quella parte di magistratura di sinistra e propal francese ha gradito e molto l’assist di Emmanuel Macron per impedire agli israeliani di prendere parte a Eurosatory 2024. Grazie al tribunale francese nei padiglioni espositivi, i dittatori africani potranno acquistare armamenti francesi per miliardi di euro cosi’ come rappresentanti e gli agenti iraniani per conto dell'Iran circoleranno liberamente ma Israele è stato bandito.
Il commercio di difesa è una componente critica delle relazioni commerciali bilaterali e l'esclusione delle aziende israeliane da Eurosatory potrebbe portare a misure di ritorsione o a una riduzione della cooperazione in altri settori con enormi danni economici per entrambi i Paesi. La decisione della Francia di escludere le aziende israeliane dall’evento secondo Yehuda Lahav, vicepresidente esecutivo del marketing delle Israel Aerospace Industries «è stata una sorpresa perché è associata a una narrazione sbagliata, che racconta la storia opposta alla realtà dato che il 7 ottobre la vittima siamo stati noi. Siamo stati attaccati e massacrati da organizzazioni terroristiche e abbiamo il diritto di difenderci». A Breaking Defense Yehuda Lahav ha poi dichiarato: «È stata una sorpresa, è stato spiacevole, non mi piace, ma come azienda cosi’ (come altre industrie israeliane) abbiamo 30 mostre in tutto il mondo ogni anno, quindi una mostra alla quale non partecipiamo non influenza certo il nostro business». In ogni caso l'esclusione di imprese israeliane da una rinomata fiera commerciale internazionale lancia un messaggio sfavorevole agli investitori e alle compagnie di tutto il mondo. Questo suscita inquietudini riguardo alla stabilità e alla prevedibilità dell'ambiente aziendale in Francia, disincentivando potenzialmente gli investimenti stranieri. Le imprese potrebbero considerare questa decisione come un precedente per future ingerenze politiche nelle attività economiche, portando a una diminuzione della fiducia degli investitori. Diverse aziende francesi operano in Israele, coprendo settori come la tecnologia, la difesa e le infrastrutture. Le tensioni derivanti dal divieto potrebbero causare ripercussioni economiche negative per queste aziende. Eventuali ritorsioni da parte di Israele o una riduzione delle opportunità di collaborazione potrebbero influenzare la redditività e la presenza delle imprese francesi nel mercato israeliano. Ora Israele cosa farà? Gerusalemme potrebbe adottare misure di ritorsione in risposta al divieto, aggravando ulteriormente le tensioni economiche. Queste contromisure potrebbero comprendere restrizioni per le aziende francesi operanti in Israele ad esempio Airbus,Thales e Alstom (solo per citarne alcune), aumenti delle tariffe sui prodotti francesi o una diminuzione della cooperazione nella difesa e in altri settori. Tali azioni potrebbero avere un impatto negativo sulle imprese francesi e sulle relazioni commerciali bilaterali in generale.
Altro aspetto non certo trascurabile è che il divieto imposto alle aziende israeliane impedisce lo scambio tecnologico e la collaborazione tra imprese israeliane e francesi. Le fiere della difesa sono fondamentali per la diffusione di nuove tecnologie e innovazioni. L'assenza di partecipazione israeliana implica che le aziende francesi e l'industria della difesa nel suo complesso perderanno potenziali progressi tecnologici e opportunità di cooperazione. L'impatto a lungo termine del divieto sul mercato potrebbe essere molto significativo. Vista l’ostilità francese le aziende di difesa israeliane potrebbero cercare nuovi mercati e partner alternativi, riducendo la loro dipendenza da fiere e da altre collaborazioni europee. Questo cambiamento potrebbe provocare un riallineamento delle dinamiche commerciali nel settore della difesa globale, con potenziali conseguenze economiche a lungo termine sia per le aziende israeliane che per quelle francesi. Quanto c’è in gioco? La Francia è il terzo partner commerciale più importante di Israele, dopo gli Stati Uniti e la Cina. I due paesi hanno relazioni economiche bilaterali forti e in crescita, caratterizzate da una cooperazione in settori come la ricerca e sviluppo, l'innovazione e l'imprenditorialità. Nel 2023, lo scambio commerciale tra Israele e Francia ha raggiunto un valore di 18,1 miliardi di euro, segnando un aumento del 6,7% rispetto all'anno precedente. Le esportazioni israeliane verso la Francia ammontano a 8,9 miliardi di euro, con un incremento del 10,5%. I principali prodotti esportati includono: Prodotti ad alta tecnologia (elettronica, difesa, medicale),prodotti agricoli (frutta, verdura, fiori), prodotti chimici e petrolchimici mentre le le importazioni israeliane dalla Francia ammontano a 9,2 miliardi di euro, con un aumento del 3,1%. I principali prodotti importati includono: Veicoli e ricambi auto, aerei e componenti aeronautici, prodotti farmaceutici e macchinari e apparecchiature industriali.
E quanto vale per i due Paesi l’interscambio nel settore Difesa? Nel 2023, lo scambio commerciale nel settore della difesa tra Israele e Francia ha raggiunto un valore di 2,3 miliardi di euro, con un incremento del 15% rispetto all'anno precedente. Le esportazioni israeliane di prodotti per la difesa verso la Francia ammontano a 2 miliardi di euro, con un aumento del 20%. I principali prodotti esportati includono: Sistemi missilistici, sistemi elettronici di guerra, veicoli blindati e sistemi aerei senza pilota (UAV). Mentre le importazioni israeliane di prodotti per la difesa dalla Francia ammontano a 0,3 miliardi di euro, con un incremento del 5%. I principali prodotti importati includono: Aerei da combattimento, elicotteri, navi da guerra armi e munizioni. La Francia è uno dei principali partner commerciali di Israele nel settore della difesa. I due paesi fino al divieto del Tribunale distrettuale collaboravano attivamente allo sviluppo di tecnologie militari avanzate senza dimenticare che partecipano congiuntamente a esercitazioni militari e operazioni di mantenimento della pace. Emmanuel Macron farebbe bene a intervenire per evitare che tutto questo si interrompa a causa dell’entrata a gamba tesa della magistratura francese in una questione che è solo ed unicamente politica.
Le esportazioni israeliane della difesa nel 2023 hanno superato i 13 miliardi di dollari, un livello record per il terzo anno consecutivo; in crescita le vendite in Europa, che rappresentano il 35% del totale. Le difese aeree, i missili e i razzi israeliani sono i prodotti più ricercati.
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La corte di Parigi (su input del governo) ha vietato la presenza a Eurosatory di aziende e consulenti da Tel Aviv. Uno stop clamoroso che può rompere i rapporti tra i due Paesi.Nel 2023 lo scambio commerciale nel settore della difesa tra Israele e Francia ha raggiunto un valore di 2,3 miliardi di euro, con un incremento del 15% rispetto all'anno precedente.Lo speciale contiene due articoli.Armi e diplomazia. Le forze di difesa israeliane (Idf) in una nota diffusa ieri mattina affermano che «effettueranno una pausa tattica dell’attività militare quotidiana nelle aree del sud della Striscia di Gaza per consentire la consegna degli aiuti umanitari ai palestinesi». L’Idf ha precisato che la pausa avrà luogo tutti i giorni tra le 8 e le 19 lungo una strada che porta dal valico di Kerem Shalom e poi a nord verso Khan Younis. «Questo è un ulteriore passo avanti negli sforzi di aiuto umanitario condotti dall’Idf e dal Cogat dall’inizio della guerra», affermano i militari. Una bella notizia se non fosse che fonti vicine a Yoav Gallant hanno rivelato al quotidiano Haaretz che il ministro della Difesa israeliano «non sapeva nulla della decisione dell’esercito di sospendere i combattimenti nell’area adiacente al corridoio umanitario di Gaza». Secondo queste fonti, «il governo non ha autorizzato la decisione», ma c’è di più perché secondo quanto riporta l’emittente Channel 13 il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante la riunione del consiglio dei ministri di ieri ha affermato: «Abbiamo un Paese con un esercito, non un esercito con un Paese. Per raggiungere l’eliminazione di Hamas, ho preso decisioni che non sempre sono accettate dai vertici militari». L’Idf come riporta Haaretz respinge le critiche sulla sospensione dei combattimenti nei pressi del corridoio umanitario di Gaza, e anche l’affermazione secondo cui la classe politica non sarebbe stata informata della decisione. Ma la vera notizia stavolta non arriva dal campo di battaglia. Oggi si apre a Parigi «Eurosatory 2024», evento globale per la difesa e la sicurezza. Quest’anno non vedrà la partecipazione delle 74 aziende di Difesa israeliane escluse dopo il clamoroso intervento di un tribunale distrettuale francese (sollecitato anche da interventi di Ong pro Palestina) che ha ordinato l’esclusione dei rappresentanti israeliani. Eurosatory, una delle maggiori fiere di difesa e sicurezza a livello mondiale, si svolge biennalmente vicino al principale aeroporto internazionale di Parigi. L’edizione del 2024, che inizia oggi e termina il 21 giugno, aveva pianificato di ospitare 74 aziende israeliane, di cui circa 10 avrebbero esposto armi. Questo evento solitamente attira oltre 1.700 aziende e più di 60.000 partecipanti provenienti da 150 Paesi con relativo giro d’affari multimiliardario. Charles Beaudoin, presidente di Coges Event, organizzatore di Eurosatory, ha espresso preoccupazione per la sentenza della Corte in una lettera datata sabato scorso. Ha osservato che «la decisione della corte va oltre la direttiva iniziale del governo, vietando la presenza di rappresentanti di aziende israeliane». Beaudoin ha anche sottolineato che Coges «sta perseguendo le vie legali più rapide per impugnare la decisione», anche se per ora la sentenza verrà applicata. A questo proposito il governo francese dovrebbe rilasciare una risposta formale alla sentenza della Corte, tuttavia, appare improbabile che scoppi un conflitto tra poteri dello Stato. Il divieto riguarda i dipendenti di aziende israeliane, indipendentemente dalla loro nazionalità, mentre permette solo agli israeliani impiegati da aziende non israeliane di partecipare all’evento. Tutto nasce da una direttiva del ministero della Difesa francese, emessa nel maggio scorso che vieta alle aziende israeliane della difesa di allestire stand alla fiera di Parigi. Il ministero ha citato le condizioni insostenibili create dalle operazioni in corso dall’Idf a Rafah come ragione principale di questo divieto. Evidente come quella parte di magistratura di sinistra e proPal francese ha gradito e molto l’assist di Emmanuel Macron per impedire agli israeliani di prendere parte a Eurosatory 2024. Evidente come il divieto metta a dura prova le relazioni economiche tra Francia e Israele. Il commercio nell’ambito della Difesa è una componente critica delle relazioni commerciali bilaterali e l’esclusione delle aziende israeliane da Eurosatory potrebbe portare a misure di ritorsione o a una riduzione della cooperazione in altri settori con enormi danni economici per entrambi i Paesi. 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L'edizione del 2024, che inizia oggi e termina il 21 giugno, aveva pianificato di ospitare 74 aziende israeliane, di cui circa 10 avrebbero esposto armi. Questo evento solitamente attira oltre 1.700 aziende e più di 60.000 partecipanti provenienti da 150 paesi con relativo giro d’affari multimiliardario. Charles Beaudoin, presidente di Coges Event, organizzatore di Eurosatory, ha espresso preoccupazione per la sentenza della corte in una lettera datata sabato scorso. Ha osservato che « la decisione della corte va oltre la direttiva iniziale del governo, vietando non solo la mostra, ma anche la presenza di rappresentanti di aziende israeliane». Beaudoin ha anche sottolineato che Coges «sta perseguendo le vie legali più rapide per impugnare la decisione», anche se per ora la sentenza verrà applicata. A questo proposito il governo francese dovrebbe rilasciare una risposta formale alla sentenza della corte tuttavia, appare improbabile che scoppi un conflitto tra poteri dello Stato. Il divieto riguarda i dipendenti di aziende israeliane, indipendentemente dalla loro nazionalità, mentre permette agli israeliani impiegati da aziende non israeliane di partecipare all'evento. Non esiste un divieto assoluto per gli israeliani che desiderano visitare la fiera.Tutto nasce da una direttiva del ministero della Difesa francese, emessa nel maggio scorso che vieta alle aziende israeliane della difesa di allestire stand alla fiera di Parigi. Il ministero ha citato le condizioni insostenibili create dalle operazioni in corso delle Forze di Difesa Israeliane (Idf) a Rafah come ragione principale di questo divieto. Evidente come quella parte di magistratura di sinistra e propal francese ha gradito e molto l’assist di Emmanuel Macron per impedire agli israeliani di prendere parte a Eurosatory 2024. Grazie al tribunale francese nei padiglioni espositivi, i dittatori africani potranno acquistare armamenti francesi per miliardi di euro cosi’ come rappresentanti e gli agenti iraniani per conto dell'Iran circoleranno liberamente ma Israele è stato bandito.Il commercio di difesa è una componente critica delle relazioni commerciali bilaterali e l'esclusione delle aziende israeliane da Eurosatory potrebbe portare a misure di ritorsione o a una riduzione della cooperazione in altri settori con enormi danni economici per entrambi i Paesi. La decisione della Francia di escludere le aziende israeliane dall’evento secondo Yehuda Lahav, vicepresidente esecutivo del marketing delle Israel Aerospace Industries «è stata una sorpresa perché è associata a una narrazione sbagliata, che racconta la storia opposta alla realtà dato che il 7 ottobre la vittima siamo stati noi. Siamo stati attaccati e massacrati da organizzazioni terroristiche e abbiamo il diritto di difenderci». A Breaking Defense Yehuda Lahav ha poi dichiarato: «È stata una sorpresa, è stato spiacevole, non mi piace, ma come azienda cosi’ (come altre industrie israeliane) abbiamo 30 mostre in tutto il mondo ogni anno, quindi una mostra alla quale non partecipiamo non influenza certo il nostro business». In ogni caso l'esclusione di imprese israeliane da una rinomata fiera commerciale internazionale lancia un messaggio sfavorevole agli investitori e alle compagnie di tutto il mondo. Questo suscita inquietudini riguardo alla stabilità e alla prevedibilità dell'ambiente aziendale in Francia, disincentivando potenzialmente gli investimenti stranieri. Le imprese potrebbero considerare questa decisione come un precedente per future ingerenze politiche nelle attività economiche, portando a una diminuzione della fiducia degli investitori. Diverse aziende francesi operano in Israele, coprendo settori come la tecnologia, la difesa e le infrastrutture. Le tensioni derivanti dal divieto potrebbero causare ripercussioni economiche negative per queste aziende. Eventuali ritorsioni da parte di Israele o una riduzione delle opportunità di collaborazione potrebbero influenzare la redditività e la presenza delle imprese francesi nel mercato israeliano. Ora Israele cosa farà? Gerusalemme potrebbe adottare misure di ritorsione in risposta al divieto, aggravando ulteriormente le tensioni economiche. Queste contromisure potrebbero comprendere restrizioni per le aziende francesi operanti in Israele ad esempio Airbus,Thales e Alstom (solo per citarne alcune), aumenti delle tariffe sui prodotti francesi o una diminuzione della cooperazione nella difesa e in altri settori. Tali azioni potrebbero avere un impatto negativo sulle imprese francesi e sulle relazioni commerciali bilaterali in generale. Altro aspetto non certo trascurabile è che il divieto imposto alle aziende israeliane impedisce lo scambio tecnologico e la collaborazione tra imprese israeliane e francesi. Le fiere della difesa sono fondamentali per la diffusione di nuove tecnologie e innovazioni. L'assenza di partecipazione israeliana implica che le aziende francesi e l'industria della difesa nel suo complesso perderanno potenziali progressi tecnologici e opportunità di cooperazione. L'impatto a lungo termine del divieto sul mercato potrebbe essere molto significativo. Vista l’ostilità francese le aziende di difesa israeliane potrebbero cercare nuovi mercati e partner alternativi, riducendo la loro dipendenza da fiere e da altre collaborazioni europee. Questo cambiamento potrebbe provocare un riallineamento delle dinamiche commerciali nel settore della difesa globale, con potenziali conseguenze economiche a lungo termine sia per le aziende israeliane che per quelle francesi. Quanto c’è in gioco? La Francia è il terzo partner commerciale più importante di Israele, dopo gli Stati Uniti e la Cina. I due paesi hanno relazioni economiche bilaterali forti e in crescita, caratterizzate da una cooperazione in settori come la ricerca e sviluppo, l'innovazione e l'imprenditorialità. Nel 2023, lo scambio commerciale tra Israele e Francia ha raggiunto un valore di 18,1 miliardi di euro, segnando un aumento del 6,7% rispetto all'anno precedente. Le esportazioni israeliane verso la Francia ammontano a 8,9 miliardi di euro, con un incremento del 10,5%. I principali prodotti esportati includono: Prodotti ad alta tecnologia (elettronica, difesa, medicale),prodotti agricoli (frutta, verdura, fiori), prodotti chimici e petrolchimici mentre le le importazioni israeliane dalla Francia ammontano a 9,2 miliardi di euro, con un aumento del 3,1%. I principali prodotti importati includono: Veicoli e ricambi auto, aerei e componenti aeronautici, prodotti farmaceutici e macchinari e apparecchiature industriali.E quanto vale per i due Paesi l’interscambio nel settore Difesa? Nel 2023, lo scambio commerciale nel settore della difesa tra Israele e Francia ha raggiunto un valore di 2,3 miliardi di euro, con un incremento del 15% rispetto all'anno precedente. Le esportazioni israeliane di prodotti per la difesa verso la Francia ammontano a 2 miliardi di euro, con un aumento del 20%. I principali prodotti esportati includono: Sistemi missilistici, sistemi elettronici di guerra, veicoli blindati e sistemi aerei senza pilota (UAV). Mentre le importazioni israeliane di prodotti per la difesa dalla Francia ammontano a 0,3 miliardi di euro, con un incremento del 5%. I principali prodotti importati includono: Aerei da combattimento, elicotteri, navi da guerra armi e munizioni. La Francia è uno dei principali partner commerciali di Israele nel settore della difesa. I due paesi fino al divieto del Tribunale distrettuale collaboravano attivamente allo sviluppo di tecnologie militari avanzate senza dimenticare che partecipano congiuntamente a esercitazioni militari e operazioni di mantenimento della pace. Emmanuel Macron farebbe bene a intervenire per evitare che tutto questo si interrompa a causa dell’entrata a gamba tesa della magistratura francese in una questione che è solo ed unicamente politica.Le esportazioni israeliane della difesa nel 2023 hanno superato i 13 miliardi di dollari, un livello record per il terzo anno consecutivo; in crescita le vendite in Europa, che rappresentano il 35% del totale. Le difese aeree, i missili e i razzi israeliani sono i prodotti più ricercati.
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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