2023-10-24
Il risiko dell’Iran tra i razzi e l’Azerbaijan
L'incontro di Teheran tra i ministri degli Esteri di Iran, Russia, Turchia, Azerbaijan e Armenia (Ansa)
Gli ayatollah minacciano raid in Israele, anche contro civili musulmani. Intanto, Teheran ospita i ministri russo e turco e i leader di Baku ed Erevan per colloqui di pace. Le sue mire geopolitiche la pongono in rotta con Riyad, aperta a cooperare con Europa e Usa.Mentre l’inizio dell’operazione di terra dell’Esercito israeliano (Idf) pare subire un rallentamento dovuto alla vicenda degli ostaggi nelle mani di Hamas, non c’è dubbio che l’Iran abbia messo Israele con le spalle al muro. Se l’Idf attaccherà nella Striscia di Gaza, di sicuro lo Stato ebraico avrà addosso gli occhi della comunità internazionale, oltre all’odio crescente di molte piazze d’Europa, dove si svolgono manifestazioni al grido «Morte agli ebrei»; se invece l’operazione terrestre non ci sarà, per Benjamin Netanyahu sarà l’ennesimo disastro che gli israeliani, già furenti per quanto accaduto lo scorso 7 ottobre, non gli perdoneranno. Teheran tutto questo lo sa e ne approfitta alzando di continuo il tiro, non solo con il continuo lancio di missili su Israele dei suoi alleati Hamas, Jihad islamica ed Hezbollah, ma anche con vere e proprie dichiarazioni di guerra. Ieri è stata la volta di Ali Fadavi, vice comandante del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, i cosiddetti pasdaran, che durante un incontro con gli studenti dell’Università di Teheran ha affermato: «Noi potremmo lanciare un missile sulla città israeliana di Haifa senza alcuna esitazione. Se sarà necessario e se sarà dato l’ordine l’Iran colpirà Haifa senza esitazione. Gli Stati Uniti hanno creato Israele per la sua sicurezza e, se si sentiranno insicuri, lo sacrificheranno facilmente». È bene ricordare che ad Haifa vivono 285.316 abitanti, dei quali il 20% di religione musulmana: individui che l’Iran sembra quindi ritenere sacrificabili sull’altare della «jihad globale», lanciata lo scorso 7 ottobre. Nella strategia degli ayatollah non ci sono solo i missili e le minacce, ma anche una frenetica attività diplomatica che serve, almeno nelle intenzioni, a farli diventare la potenza regionale di riferimento a scapito dell’Arabia Saudita, con la quale recentemente ha riallacciato i rapporti. A proposito di Riyad: in ossequio alla volontà dell’erede al trono Mohammed Bin Salman e ai suoi futuristici progetti, il regno guarda anche all’Europa per sviluppare ulteriormente l’economia del suo Paese. Prova ne è che domenica e ieri si è svolto nel regno il primo forum sugli investimenti tra Arabia Saudita e Unione europea, sul tema: «Promuovere l’integrazione economica e la prosperità». E a rappresentare l’Ue c’era il vicepresidente esecutivo della Commissione, Maros Sefcovic, che ha pronunciato un discorso alla cerimonia di apertura e ha partecipato a una sessione plenaria e al panel dedicato alla «Transizione all’energia pulita e alle industrie net zero». Quindi, se l’Iran ha scatenato la guerra contro Israele e minaccia l’Occidente e gli Stati Uniti -tanto che fa bombardare dai suoi proxy in Iraq le basi Usa - i sauditi cercano la pace e la cooperazione economica. Due mondi, quello iraniano sciita e quello saudita sunnita, che, al di là dei rapporti di facciata, paiono destinati allo scontro, perché nel Golfo Persico, e più in generale nel mondo arabo, non c’è spazio per due potenze regionali egemoni, senza dimenticare che anche la Turchia ha chiare ambizioni geopolitiche, come mostra la febbrile attività all’estero di Recep Tayyip Erdogan. Per diventare una potenza egemone nella regione, oltre ad avere i missili, occorre anche saper occupare gli spazi lasciati liberi dalle altre potenze, Usa e Russia in testa, con un protettore forte come la Cina che sembra prestarsi al gioco: le sei navi inviate nel Golfo paiono essere un chiaro segnale a favore di Teheran. Ma non solo: occorre sviluppare una politica estera per diventare capace di «esserci» nelle crisi regionali e non. Ed ecco che ieri Teheran ha accolto il vertice dei ministri degli Esteri di Iran, Turchia e Russia, che ha visto anche l’incontro tra i ministri degli Esteri dell’Armenia e dell’Azerbaijan, Ararat Mirzoyan e Jeyhun Bayramov, i quali hanno discusso «dei progressi verso un accordo di pace» fra i due Paesi caucasici alla presenza di Hossein Amir-Abdollahian, Hakan Fidan e Sergej Lavrov. Quindi l’Iran ora promuove «un piano di pace», dopo che, nel settembre scorso, nel silenzio o quasi della comunità internazionale, gli azeri musulmani hanno ucciso più di 300 persone e fatto scappare dal Nagorno-Karabakh almeno 120.000 armeni cristiani. E che fine hanno fatto le sanzioni dell’Ue all’Azerbaijan aggressore? Sono rimaste in un cassetto. È evidente come gli iraniani tentino di diventare anche i protettori degli azeri, sfruttando l’impossibilità temporanea della Russia di occuparsi del suo estero vicino. Chissà se Vladimir Putin apprezza. Per l’Italia, che importa più del 10% del suo gas da Baku, sapere che dietro gli azeri ora ci sono gli ayatollah non è certo la migliore delle notizie.
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