2025-04-28
Silvia Mezzanotte: «Con la voce testimonio la fede. Ho un sogno: incontrare Mina»
L’ex solista dei Matia Bazar, con cui vinse Sanremo: «Già a 5 anni dicevo che sarei stata una cantante. Sono sempre stata una sperimentatrice, anche nelle imitazioni».I virtuosismi vocali di Silvia Mezzanotte lasciano a bocca aperta e incantano. È stata voce dei Matia Bazar in due fasi, dal 1999 al 2004 e poi dal 2010 al 2016. Essendo molto richiesta, in questo momento è impegnata in un tour ricco di date in Italia e in uno spettacolo in cui interpreta i classici di Mina. A Tale e quale show ha messo in scena la divina cantando Brava, raccogliendo gli elogi di una decana del mestiere, Loretta Goggi, rimasta «molto impressionata dalla timbrica di Silvia». Nel noto show Rai di Carlo Conti, è diventata anche soprano, nelle vesti di Maria Callas, interpretando - sembrava proprio lei - l’aria Habanera, dalla Carmen di Georges Bizet, con il suo celebre attacco: «L’amour est un oiseau rebelle…». Di fronte a lei, bolognese, classe 1967, si prospettano meritate promesse. A quanti anni ti sei avveduta di essere dotata di una voce così talentuosa? «A 5 anni ho iniziato a cantare, per gioco, in casa e ho dichiarato che da grande sarei stata una cantante. Quindi le idee erano chiare. Il problema è stato il mio carattere, molto timido e insicuro che, per molti anni, mi ha impedito di esibirmi davanti a un pubblico. Il canto era il mio modo per esprimere quello che non riuscivo a fare a parole. Era una mia personale urgenza. Solo attorno ai 17-18 anni ho sentito che poteva essere un mezzo per comunicare anche con gli altri il mio percorso interiore, le mie emozioni». Pertanto com’è nata la tua avventura nel mondo della canzone?«Avevo fatto apparizioni con alcuni gruppi come corista. Poi, grazie a un fidanzato, il cui papà aveva un ristorante importante in provincia di Modena, ho iniziato a esibirmi al piano bar, durante la cena. Pensavo: “Intanto faccio le mie esperienze”. Dopo qualche sera la gente mi notò e arrivarono i primi applausi. Poi, in un atto di coraggio, ho lasciato un cd a un produttore sotto il tergicristallo dell’auto e da lì è partita la mia prima avventura sanremese. Era il festival di Sanremo 1990 e lì ero davvero Alice nel paese delle meraviglie».Come s’intitolava quella canzone?«Sarai grande. Magari era profetica (ride, ndr)». Nata a Bologna.«I miei sono di Bologna, il mio papà non c’è più, la mamma c’è ancora e vivo ancora a Bologna».Sei stata voce dei Matia Bazar dal 1999 al 2004 e dal 2010 al 2016. La terza voce femminile del gruppo dopo quella di Antonella Ruggiero e Silvia Valente. Come avvenne il primo incontro con i Matia?«Venni a sapere che stavano cercando la nuova cantante perché Laura Valente, dopo la morte di Aldo Stellita, aveva deciso di lasciare. A quel punto, grazie ad amicizie comuni, sono riuscita a mettermi in contatto con Giancarlo Golzi, il batterista, purtroppo scomparso nel 2000. A lui erano arrivate due segnalazioni diverse sul fatto che valesse la pena di venirmi ad ascoltare. Ha preso la macchina e, con Carlo Marrale, è venuto a Pavia ad ascoltarmi in un locale. Gli ero piaciuta ma non si sentiva di prendere una decisione. Mi ha richiamato per un’audizione, che non andò bene: un altro ex-Matia, Sergio Cossu, voleva una voce più rock. Dopo un po’ Giancarlo mi ha richiamato, sono andata a Milano, ho conosciuto Piero Cassano e Fabio Perversi e lì iniziò la mia avventura… Era l’aprile 1999, perché poi è nata la canzone Un giorno d’aprile e poi Brivido caldo nel 2000…». Con Brivido caldo giungeste ottavi ma il brano divenne un evergreen. Poi, nel 2001, terzi all’Ariston con Questa grande storia d’amore e, nel 2002, vittoria di Sanremo con Messaggio d’amore. Perché, nel 2004, hai interrotto con i Matia e deciso di proseguire da solista?«Sulla voce sono sempre stata una sperimentatrice. In quel periodo, avevo sui 40 anni, volevo anche sperimentarmi da sola, come donna, tant’è che le cose nate sono stati album nei quali esploro la dimensione femminile e anche spettacoli teatrali, uno in particolare, che si chiama Le mie regine, che ancora porto con me… Ma anche in quel periodo ho mantenuto un costante rapporto con Giancarlo Golzi, che era diventato il mio fratello grande…». Nel 2006 hai cantato l’album Il viaggio, su pensieri e paure delle donne e, nel 2008, Lunatica, che contiene la canzone Silvia che freddo. Una ragazza che «storie non ha / perché non crede nella primavera» ma che scioglierà il suo cuore «e si chiamerà amore / e sarai bella da morire». Silvia sei tu?«Questa canzone è stata scritta da Grazia Verasani, una scrittrice molto importante e anche una musicista, un’artista. Con Grazia ci vediamo ogni tanto e in quella serata, in particolare, praticamente ci siamo ubriacate, raccontandoci tante cose, nel dettaglio, nell’intimo. Dopo due giorni lei arrivò con questa canzone e me ne sono innamorata. Racconta un aspetto, che mi appartiene, del mio carattere, anche se, piano piano, nel tempo, quel freddo che si racconta nella canzone si è un po’ risolto. Crescendo s’impara anche a esorcizzare le proprie difficoltà. Io, soprattutto, lo faccio attraverso la voce». Il 7 settembre 2023 hai formalizzato nel matrimonio lo scioglimento del tuo cuore…«(ride, ndr) Ci abbiamo pensato un po’ e dopo 13 anni di questa storia e parecchi di convivenza, in un modo abbastanza cabarettistico è nata questa volontà di sposarci, che proveniva da quando ho fatto Tale e quale, chiedendo in diretta televisiva a Carlo Conti, in una sera in cui c’era Massimiliano, se volesse sposarmi, era circa il 2016-2017, sono passati altri 6 anni. Volevamo formalizzare, ma ci sentivamo già sposati anche prima». Tuo marito, Massimiliano Bucca, è un docente. Cosa insegna? «Si occupa di disabilità - e quindi è un insegnante di sostegno - e poi di eventi sportivi riguardanti il mondo dei sordi». Vi siete sposati in chiesa o in Comune? «Ci siamo sposati in Comune perché Massimiliano era già stato sposato, ha un figlio di 27 anni ed è anche diventato nonno da poco». In Lunatica canti il brano Oggi un Dio non ho, reso celebre da Raf, storia di un uomo che ha perso Dio e forse spera di ritrovarlo: «Chissà dove sei / negli abissi miei ti ritroverò». Tu, Silvia, Dio l’hai trovato o lo stai cercando?«Da questo punto di vista sono molto fortunata perché ho sempre avuto fede e l’ho sempre associata alla voce. Ho sempre considerato la voce come un dono ricevuto. Sono fortunata perché, avendo vissuto in una famiglia laica, la fede è nata in me senza che nessuno cercasse di istruirmi. È qualcosa di tangibile e concreto che vive in me ogni giorno e in ogni situazione e trasferisco anche nei miei concerti. Molto spesso mi trovo a cantare l’Ave Maria di Gounod. Ho scritto un testo mio, in italiano, per testimoniare la mia volontà di fede, quella di una persona che crede, cade e, nel rialzarsi, trova conforto, in Maria…» Ascoltandola, si coglie il trasporto con cui la canti. Nel 2010 di nuovo voce dei Matia Bazar, ma nel 2015, purtroppo, muore Giancarlo Gozzi, leader storico del gruppo e lì ne uscisti nuovamente.«Giancarlo era anche il collante, nel gruppo, riusciva a tenere insieme queste quattro anime. Dopo la sua morte non sono più riuscita a trovare un modo per restare e ho deciso di prendere un’altra strada, anche se sono stata molto male anche con un periodo di depressione. Poi mi ripresi, con i concerti e la popolarità televisiva… Però considero il mondo Matia Bazar come un tatuaggio sul cuore». Nel 2019 hai rincontrato Carlo Marrale, co-fondatore dei Matia Bazar e co-autore dei brani più noti della band. E vi esibite insieme. Verrebbe da pensare che siate voi i Matia Bazar, anche se non è così giacché essi, con una formazione nuova, nella quale non c’è più nessuno dei fondatori, proseguono. «Dal punto di vista del pubblico è come dici. Quando io e Carlo usciamo, siamo considerati i Matia Bazar. Ma, dal punto di vista formale e legale non abbiamo diritto all’utilizzo del marchio, se non in maniera descrittiva perché siamo stati parte del mondo Matia Bazar. Il nostro spettacolo si chiama La nostra storia. Sul palco accade un miracolo che ci riporta alle sonorità originali dei Matia, cantiamo i brani storici e Carlo racconta molti aneddoti. Credo che lui abbia diritto a raccontare questa storia importante, indipendentemente dal potersi chiamare Matia Bazar. Comunque, io e Carlo non siamo Matia Bazar, ma ex-Matia Bazar». A Tale e quale show, condotto da Carlo Conti, nel 2016 ti sei classificata prima, interpretando Mina, Maria Callas, Cher, Anna Oxa... Quanto tempo è stato necessario per truccarti, acconciarti e vestirti come questi personaggi?«Ogni personaggio contemplava tre sedute di trucco di 5-6 ore ciascuna e realizzazione di protesi facciali e dentali. Molto faticoso. E poi la parte di voce da curare con dei coach, pur arrivando con un bagaglio tecnico. Imitare non è cantare e ho dovuto mettere a dura prova le corde vocali per modificare la voce. La produzione ha ritenuto di affidarmi voci tra le più complesse, come la Callas, Mina, Kate Bush, Cher... Secondo me, la canzone più convincente in assoluto era Brava, di Mina, tra le più complicate, molto tecnica. Ma ho voluto restare lontanissima dalla caricatura…». Canti le canzoni di Mina anche in un tuo spettacolo.«Vorrei che fosse amore. L’ultimo sarà il 16 maggio 2025 a Varese, in teatro, e riprenderà in autunno. Ma qui non sono imitazioni. È il mio omaggio a Mina». Con la tigre di Cremona avete avuto modo di conoscervi?«Io, da voci, so che Mina non ama gli omaggi. Ma qualche contatto con il figlio Massimiliano lo abbiamo avuto, per evitare di fare cose sgradite. Se dovessi dirti se l’ho conosciuta, questo no, è uno dei miei crucci, magari, chissà, nella vita…».
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
Continua a leggereRiduci