2025-06-30
Paola Quattrini: «Mi piace il pubblico che contesta»
Paola Quattrini (Getty Images)
L’attrice: «A teatro non si deve sempre applaudire, altrimenti non c’è gusto. Litigai con Modugno, Corrado era come un padre. Pupi Avati fu fantastico: mi prese senza provino. Le foto su “Playboy”? Ora le tengo nascoste».Paola Quattrini, storytelling amabile ed efficace. Iniziò come attrice bambina, a 4 anni. In principio fu una casualità ma il suo destino era questo. Per tutta la vita ha fatto teatro, cinema, televisione. Quando non è sul palcoscenico, si dedica alla palestra e aiuta la sua parrocchia, a Roma. Paola, quale spettacolo teatrale si accinge a portare in scena? «È una commedia francese, Le fuggitive. Siamo due donne, io e Gaia De Laurentiis, con la regia di Stefano Artissunch. S’incontrano facendo l’autostop. Stanno fuggendo. Gaia, diventata schiava della famiglia, fugge da un matrimonio, un figlio. Io invece fuggo da una casa di riposo dove mi ha messo mio figlio. È una specie di Thelma & Louise. In sei giorni si aprono l’una all’altra, cercando sé stesse. Il mio personaggio è una donna molto libera, che non ama le costrizioni, l’altro il suo opposto. Debutteremo al prestigioso festival teatrale di Borgio Verezzi, prestigioso per il teatro, in Liguria, vicino a Loano, il 9-10-11 agosto 2025. E poi riprenderemo in inverno». Al suo attivo ha oltre 200 opere rappresentate. Autori svariati: Dostoevskij, Sartre, Goldoni, Pirandello, Moravia, Pasolini, Shakespeare. Registi pure: Pietro Garinei, Arnoldo Foà, Tino Buazzelli. Il teatro è la sua più grande passione.«Assolutamente sì. Ora sarebbe facile dire che non voglio fare cinema o televisione, che non è vero. Ma il teatro mi propone cose che mi piacciono dove l’intelligenza artificiale non può arrivare e dove il contatto col pubblico è esaltante, dai prova di te stessa, puoi essere uguale e diversa ogni sera. Questo dialogo con il pubblico lo senti». È la forza del teatro.«Sì, è la forza del teatro, dove puoi assistere a una defaillance, a una serata no, a una esaltante. Dipende anche dal pubblico che quella serata diventi più magica».Anche in teatro, come per il cinema, i compensi degli attori sono differenziati secondo la loro notorietà e richiesta? «Eh sì, dal primo attore al ragazzo che comincia. Tanti giovani, e sono tantissimi che vogliono fare teatro, si pagano il panino, insomma, non riescono ad andare al ristorante. Il primo attore glielo offre».Per un attore è gratificante che il pubblico teatrale sia colto, attento, consapevole… «Quando il pubblico paga è migliore di quando viene ospite, è più esigente. Se ha pagato vuol dire che è anche informato di quello che va a vedere. Ma invito il pubblico a reagire quando vedono una cosa non bella, perché ci sono anche cose non belle…». Senza tirare i cavoli però…«No, i cavoli no, ma mi piace che il pubblico dica la sua. Se il pubblico applaude sempre non c’è neanche gusto… Capisco essere educati, ma dimostrare il proprio gradimento lo trovo giusto». Tra le sue interpretazioni a teatro, quale le ha dato maggior gratificazione?«Dipende se è più una gratificazione di pubblico o dell’animo».Dell’animo.«Potrei dire L’attesa, con la regia di Lorenzo Salvetti, che adoro, con cui ho fatto La locandiera, Un tram che si chiama desiderio. Scappai da Garinei, 9 mesi di tournée pieni di date, e andai a fare monologhi, ad esempio di Dostoevskij, perché avevo bisogno di esprimermi in un certo modo senza pensare al danaro e alle grandi platee. Sono un’attrice e ho bisogno anche di questo». Le è capitato qualche contrasto con qualche suo collega attore?«Ebbi una discussione con Domenico Modugno. Ero molto giovane, pur essendo la protagonista della commedia, Mi è cascata una ragazza nel piatto. Alla prima al Quirino, lui, alla fine, a mia insaputa, cantò una canzone. Il pubblico andò in visibilio, ma con la commedia c’entrava poco e glielo dissi, anche in maniera un po’… Fin da ragazza sono stata mi viene da dire cazzuta, ma dico esigente in questo lavoro, decisa, puntuale». Con Modugno avete fatto pace?«Naturalmente sì, ma non proprio fino in fondo. Quando si ha una discussione con qualcuno resta sempre la feritina…». Nel 1997 ha portato in scena Gli indifferenti, tratto dall’omonimo romanzo di Moravia, regia di Marco Parodi. Un romanzo sull’ipocrisia, un archetipo. «La falsità c’è sempre. Sono sempre poche le persone di cui ti puoi veramente fidare e a cui ti puoi lasciare andare. La diffidenza a volte è anche nella famiglia… È già difficile lì, immaginiamoci con gli estranei…». Com’era da bambina?«Ero una bambina che forse avrebbe voluto fare di più la bambina. Il fatto che facessi questo lavoro già da bambina mi ha condizionato, come la mia situazione economica a casa, perché mio padre è morto molto presto e ho avuto responsabilità più grandi di quelle che avrei voluto. Essendo la più piccola della casa sono quella che ha mantenuto la famiglia. I bambini dovrebbero avere più spensieratezza». Fratelli, sorelle?«Sono la quarta femmina, nata a distanza di 12 anni dall’ultima. Tutti si aspettavano il maschio e invece sono nata io. Mio padre è morto quando avevo 10 anni». Il papà di cosa si occupava?«Era un operaio. Vengo da una famiglia molto modesta. La mamma era una donna di casa, con quattro figlie femmine da seguire. Io la bambina che iniziava questo lavoro. I soldi guadagnati sono andati per la malattia di mio padre. Questo mi fa onore ma a un certo punto non volevo neanche più lavorare perché mi era di peso. Un mondo dove non tutti erano gentili e se ne fregavano che ero una bambina».Esordì a soli 4 anni nel film di Guido Brignone Il bacio di una morta…«È stato tutto un caso. Guido Brignone mi vide al teatro Quirino di Roma. Era l’unico svago che avevamo in famiglia. Le mie zie erano cassiere e la domenica andavamo. Avevamo il biglietto gratis. Pare fossi molto spigliata. Mi disse: “Ti piacerebbe fare l’attrice?” Non sapevo nemmeno cosa volesse dire. Pare fossi molto naturale, m’immedesimavo in una storia, piangevo, con le lacrime, non so come mai, ma era evidentemente nel mio Dna. Per cui poi feci un film dietro l’altro». A 8 anni fu in radio anche a fianco di Corrado nella trasmissione Cavallo a dondolo.«Feci tante cose anche alla radio. C’erano Corrado e Alberto Talegalli. Nella storia erano i miei angeli custodi. Ero una bambina che poteva fare delle magie, portare serenità a chi ne aveva bisogno. Mi chiamavo Fiorellino. Ricevevo tante lettere di bambini. Purtroppo non le ho più, si sono perse, peccato. I bambini mi chiedevano di poter esaudire un loro desiderio. Corrado poi mi ospitò a Domenica in, persona splendida, affettuoso, paterno…». Come attrice bambina ha fatto oltre 15 film. Alcuni attori bambini poi non hanno proseguito da adulti. «La cosa difficile non è avere un successo, perché un bambino bello e spigliato, per una pubblicità, un film, d’incontri ne può avere. Ma continuare è una rarità. Siamo in pochi ad averlo fatto. Un altro è stato Massimo D’Apporto. Gli diedi un bacio, al Sistina, me lo chiese lui, avremo avuto circa 8 anni. Il giorno dopo gli venne la febbre». Anche la Rai volle quella bambina… «Quando nacque la televisione ero una bambina-prodigio. Mi chiamarono. Mi dissero tante volte “quando si accende la luce rossa devi dire benvenuti e altre cose…”. Mi agitai talmente tanto che quando si accese la luce rossa mi misi a piangere, perché la bambina vinse sull’attrice…». Poi, i film da adulta, oltre 40. Quale quello che più ama?«Assolutamente Fratelli e sorelle, di Pupi Avati. Ho vinto anche il Nastro d’argento. L’incontro con Avati è stato fantastico perché odio fare i provini. Non li so fare. Mi paralizzano. Quando incontrai Avati nel suo ufficio di via Cola di Rienzo, avevo gli occhi lucidi mentre mi parlava e mi ha detto “va bene, farai il film”. Gli ho detto: “E il provino?”. “Non ne ho bisogno”. Dipende dalla sicurezza del regista». Nel 1976, all’incirca, andò in copertina su Playboy e Playman…«Ricordo che mi pagarono e mi fu proposto da un fotografo, omosessuale, che mi era molto simpatico e molto amico. Foto meravigliose, non volgari, ma le tengo qui nascoste perché non vorrei che i miei nipoti (ride, ndr)… Ricordo che, in tournée, ci fermammo in un autogrill e vidi le mie foto, così, appiccicate ai vetri di un camion. Dicevo “vabbè, tanto non mi riconoscono”… Però non mi servì, perché poi tutti puntavano sul fatto fisico, “bella, sì, ma brava?”, “voglio fare una parte da brutta…”». È stata maritata due volte. Vuole fare un bilancio sentimentale?«Non un bel bilancio. Ho avuto un padre violento, non nei miei confronti, ma manesco con mia madre, con le mie sorelle… Non tenevo gli uomini in grande considerazione. Ero attratta ma diffidente e forse non ho mai avuto l’incontro giusto. Il mio primo matrimonio, da cui ho avuto l’annullamento, l’ho fatto perché volevo andare via da casa, anche se lavoravo ed ero indipendente… Poi mi sono resa conto che un uomo mi stava stretto e avevo bisogno della mia libertà. Avevo 18 anni…».Poi ci ha riprovato…«Poi ho sposato il padre di mia figlia (Selvaggia Quattrini, ndr.) perché desideravo la maternità. Uomo bello, intelligente, colto ma anche lì non ha funzionato tanto… Durò 4 anni». È credente?«Sono credente e la mia fede è cresciuta con gli anni. Sono praticante. Vado tutte le domeniche a leggere nella mia chiesa, Santa Chiara a Roma, e mi presto alle varie necessità, anche se non in maniera fanatica. Sento la presenza del Signore». Vivendo a Roma, quale il problema vorrebbe fosse risolto? «L’immondizia prima di tutto. Mettiamo i cestini, come a Milano, in ogni strada. È una delle cose che più mi fanno star male».
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.