2025-01-02
«Il mio successo è arrivato con le fotocopie»
Federico Moccia: «La casa editrice di “Tre metri sopra il cielo” aveva chiuso, ma il libro veniva ancora venduto sottobanco. Il produttore del film lo scoprì per caso e mi rintracciò. Scamarcio? Lo abbiamo scelto tutti e due, ma io non sapevo chi fosse».Federico Moccia e le declinazioni dell’amore. Dopo il successo mondiale del romanzo Tre metri sopra il cielo i suoi libri evocano fin dai titoli passioni travolgenti: Ho voglia di te, Scusa ma ti chiamo amore, Scusa ma ti voglio sposare, Cercasi Niki disperatamente, Tre volte te, Semplicemente amami. Ma sarebbe riduttivo fermarsi qui, sull’onda di una letteratura (apparentemente) rosa, a volte virata sul nero più cupo, perché Moccia custodisce un patrimonio unico di storie di cinema e televisione, ereditate dal padre Giuseppe, in arte Pipolo, sceneggiatore e regista di culto in coppia con Franco Castellano. E alimentate in proprio, grazie a quasi quarant’anni di carriera come regista, sceneggiatore e autore televisivo. Tante vite, una vita.Quando si è reso conto che suo padre era un personaggio famoso?«Da ragazzino perché venivano a casa nostra i personaggi che vedevo al cinema e in televisione. Ero innamorato pazzo di Raffaella Carrà. Pipolo e Castellano avevano inventato per lei il personaggio di Maga Maghella. Una sera, quando avevo otto-nove anni, andai al Teatro Delle Vittorie e Raffaella mi disse: “Che bel bambino che sei, Federico! Cosa posso fare per te?”, e io istintivamente: “Mi dai un bacio?”». Poi l’ha rincontrata da grande…«Mi ritrovai a fare l’autore per lei a Fantastico 12, ma non le raccontai questo aneddoto, primo per non far riferimento alla sua età, secondo per non ammettere di essere stato innamorato di lei!». Negli anni Settanta e Ottanta Pipolo e Castellano hanno avuto una lunga collaborazione con un altro mostro sacro, Adriano Celentano. «Era fortissimo: io e Pipolo andavamo in Sardegna a leggergli il copione perché lui non leggeva, gli dovevi raccontare il film.… una pagina e mezza al giorno! Adriano: “Uhè, questa è forte” e si buttava in piscina. Castellano e Pipolo avevano imparato a conoscerlo e a capire le cose che lo divertivano, quindi costruivano i copioni su misura, poi naturalmente lui aggiungeva con la sua inventiva e creatività».Ha fatto anche da aiuto regista per la coppia Castellano e Pipolo…«Su Attila flagello di Dio, con protagonista Diego Abatantuono e un incredibile schiera di barbari nel vero senso della parola, tra i quali il musicista della PFM Franz Di Cioccio. Diego mi aveva preso sotto la sua protezione perché lo andavo a chiamare nel camper dove si divertivano come matti e a volte era difficile farli uscire da lì per andare sul set. A poco a poco diventammo amici, tanto che mi invitò nella dependance della sua bellissima villa a Rimini… ma io non l’ho mai visto per tutto il weekend!».Ha esordito come regista da giovanissimo con Palla al centro.«All’epoca si usava portare soggetti e trattamenti alle varie case di produzione. Ho presentato quel progetto a una piccola casa di produzione, Loop Cinematografica, che era stata costituita da Enrico Montesano con il fratello Giancarlo e Sergio Giussani. Lo realizzammo per Rete 4: era la storia di alcuni ragazzi che fanno una sfida perché a uno di loro piace una ragazza».A Mediaset è legato anche il suo primo grande successo televisivo, come sceneggiatore della serie I ragazzi della 3° C… «Mi chiamò Enrico Vanzina, molto amico di Pipolo, e mi disse: “Sto facendo questa serie, siccome tu hai ricordi più freschi di tutti noi perché sei uscito da poco dalla maturità, ti va di collaborare?”». Si identificava con qualcuno dei personaggi?«No, perché dovevamo fare della commedia, mentre io da ragazzo ero molto leopardiano…».Era tenebroso?«Ero noiosissimo! Facevo il classico e tutta la parte della letteratura mi colpiva moltissimo, quindi vivevo ogni cosa, compresi i sentimenti, con particolare profondità».Quindi non era portato per la commedia?«Il film Tre metri sopra il cielo mi rappresenta perfettamente. In quel contesto piuttosto agitato mi piaceva inserire una battuta anche stupida per spezzare la tensione. E mi resi conto che gli spettatori ridevano come matti, come quando Pollo tira una cosa perché vorrebbe che il cane fosse da riporto e dice: “Ragazzi, questo cane non funziona”». Quindi si identificava più in Step, il personaggio di Tre metri sopra il cielo, che in Chicco Lazzaretti, il pluribocciato de I ragazzi della 3° C?«Secondo me, sì, anche se mi piaceva molto il rapporto di Chicco Lazzaretti, interpretato da Fabio Ferrari, con i suoi compagni. La sua ironica filosofia di vita in qualche modo stava strisciando dentro di me. La capacità di sdrammatizzare sulla vita è l’unica cosa che ti porta avanti e ti fa superare le amarezze. Me lo ha insegnato Pipolo: “Di ogni cosa a distanza di tempo si può ridere, ricordatelo sempre”». Quando ha cominciato a scrivere il romanzo Tre metri sopra il cielo?«Era il 1990. Avevo iniziato a lavorare in televisione, una puntata a Milano del remake di Lascia o raddoppia?, con Bruno Gambarotta e Lando Buzzanca, e poi Scommettiamo che…?, condotto da Fabrizio Frizzi. Mi sono accorto che tutto quello che proponevo veniva cassato e preparare il copione per Frizzi mi stava un po’ stretto rispetto alla mia voglia di esprimermi e di raccontare, tanto che una sera mi sono detto: “Voglio scrivere un libro e provare a raccontare il periodo che ho vissuto tra i 15 e i 18 anni nella Roma violenta che stava cambiando, tra la destra e la sinistra, le corse in moto, gli imbucati nelle feste, la mia prima grande storia d’amore e la delusione di come è finita”». Quando trovava il tempo di scrivere?«La sera, quando tornavo a casa dopo la trasmissione al Teatro Delle Vittorie, mangiavo una cosa leggera e mi mettevo a scrivere, partendo da una scaletta che avevo preparato. Ogni tanto facevo leggere quello che avevo scritto a Pipolo e lui diceva sempre: “È troppo lunga la scena della palestra, non finisce mai”. E io: “No, guarda, è come Conan Il barbaro di John Milius. Mano a mano che col bilanciere fanno su e giù io racconto il tempo che passa, con Step che sta diventando sempre più grosso per quello che gli è successo nella vita. Come quando Schwarzenegger gira intorno al pozzo spingendo il tronco con le catene ai piedi e si vedono le gambe che a poco a poco si ingrossano”».Ha avuto difficoltà a trovare una casa editrice…«Aveva cercato anche Pipolo tramite persone che conosceva a Mondadori e Rusconi, invece niente. Finché seppi che una piccola casa editrice, Il Ventaglio, pubblicava con la partecipazione dell’autore. Investii i primi soldi che avevo guadagnato con Scommettiamo che…?. Stampare un libro all’epoca costava svariati milioni di lire, quindi per me era una grossa spesa. Feci la presentazione il 16 novembre del 1992, con Fabrizio Frizzi che aveva scritto la prefazione, nella galleria Ca’ d’Oro a piazza di Spagna». Il successo arrivò grazie al passaparola…«Portavo le copie in Vespa. Un giorno Aldo, il libraio di piazza Stefano Jacini, mi disse: “Ho venduto le copie. Portamene ancora perché la gente le cerca”. Tornai al Ventaglio, che aveva la sede in via Cagliari 46, ma aveva chiuso. Poi seppi che girava in fotocopie che venivano fatte in una piccola copisteria di viale Giulio Cesare. Lì otto anni dopo capitò per caso il produttore Riccardo Tozzi per andare a fare delle fotocopie per il figlio. Mentre stava aspettando vide in un angolo una montagnetta e disse: “Cos’è questo libro?”. “Dotto’, che ne so?! Vengono tutti a comprarlo e noi facciamo le fotocopie”. “Me ne dà una copia pure a me?”». Il film è nato per caso!«La sera a cena sua nipote Margherita vide le fotocopie appoggiate sulla scrivania dello zio e disse: “Tu devi fare un film perché questo è un libro bellissimo, l’ho tutto sottolineato, è una cosa pazzesca, anche le mie amiche sono impazzite”. Tozzi mi lasciò un messaggio nella segreteria telefonica: “Se sei Federico Moccia e hai scritto Tre metri sopra il cielo, chiama il numero 06…”. Ovviamente andai a trovarlo!».Come fu scelto Riccardo Scamarcio per il ruolo del protagonista?«Tozzi mi chiamò: “Ho trovato un attore che ci piace molto e potrebbe essere il protagonista. Ti vogliamo far vedere se sei d’accordo”. La sera prima ero andato a vedere al Ciak di via Cassia La meglio gioventù, dove nel finale compare come il figlio di Alessio Boni un giovanissimo Riccardo Scamarcio. Dissi a Tozzi: “Anche io ti voglio far vedere un attore che ho visto”. Quando arrivai, Tozzi mise una videocassetta e il ragazzo del provino era l’attore che avevo visto la sera prima ne La meglio gioventù. “È quello che ti volevo proporre io! Non so nemmeno come si chiama”». Dopo il clamoroso successo del romanzo, ripubblicato da Feltrinelli, Pipolo come commentò?«Uscì su La Repubblica un trafiletto in prima pagina con la foto: “Federico Moccia Tre metri sopra il cielo 750.000 copie, 23 edizioni, tradotto in 12 lingue” e Pipolo mi disse: “Quando ho visto questa cosa improvvisamente sono stato invidioso, ma poi mi sono messo a ridere e mi sono detto: ’Come puoi essere invidioso se sono io?!”. Lo ha incorniciato un quadretto di legno che ancora conservo. Poi sono arrivato a 42 edizioni!”.La storia dei lucchetti?«Un’idea che prendeva spunto da quello che accadeva nel periodo del militare quando i lucchetti utilizzati negli armadietti per non farsi rubare gli anfibi, finita la naja, venivano attaccati nella grata delle caserme. Io pensai: “Noi facciamo l’amore, non facciamo la guerra. Buttiamo il lucchetto perché l’amore durerà per sempre”. La storia nasce con il seguito del romanzo, Ho voglia di te. Il 7 febbraio 2006, due giorni prima che uscisse in libreria, siccome nel racconto veniva attaccato un lucchetto al terzo palo di Ponte Milvio, pensai: “Metti caso che qualcuno va a vedere se è vera questa leggenda che chi si innamora butta la chiave” e la sera dopo misi una catena con il lucchetto al terzo lampione. Dieci giorni andai a controllare e c’erano già un centinaio di lucchetti!».