
I medici attaccano il Papa. Ma uccidere un bimbo dovrebbe scuotere le coscienze di tutti.Si rimane basiti - ma sarebbe giusto dire indignati - di fronte all’alzata di scudi del presidente dell’Ordine dei medici di Torino, rispetto alle recenti affermazioni del Santo Padre Francesco sul tema dell’aborto. Affermazioni, peraltro, per nulla nuove per due motivi: perché già in passato il Papa aveva definito l’aborto un omicidio (2018) e perché non fanno che riprendere e attualizzare ciò che da sempre la Chiesa cattolica ha detto con fermezza. La scomposta reazione si spinge fino a chiedere al governo italiano di intervenire sul Papa. Per fare che cosa? Chiedere scusa ai medici? Ritrattare quelle affermazioni? Utilizzare espressioni più miti, pescate nel vocabolario del politicamente corretto? Mi sembra che ci troviamo - ancora una volta - di fronte al deragliamento del buon senso. Il Papa svolge un ministero universale che non può e non deve sottostare ad alcun governo, e la missione che gli spetta è di servire con grande chiarezza e lucidità una verità che non gli appartiene e che gli è stata affidata. I Dieci comandamenti non li ha inventati e scritti il Papa. Il quinto comandamento - non uccidere - non è passibile di modifiche legislative.Quando poi si tratta di sopprimere un piccolo innocente, indifeso, che non può far male a nessuno, che non può neppure gridare il suo diritto alla vita, la cogenza di quel comandamento diventa totale e non ammette deroghe. Potremmo passare ore a discutere su temi sensibili come la legittima difesa, e la sua proporzionalità rispetto all’offesa - tema peraltro che il Papa ha affrontato con grande chiarezza a proposito delle tragiche guerre in corso - ma di fronte all’impotenza assoluta di un essere umano nel grembo materno, tutte le nostre «sapienti» disquisizioni cadono come un castello di carta. La legalizzazione di un’azione intrinsecamente malvagia, come è la soppressione del bimbo innocente, non la rende «magicamente» moralmente legittima, anzi - come oggi si vorrebbe - un’azione talmente buona che deve diventare un «diritto universale». La ragione di chiunque non abbia la mente avvelenata e corrotta da un’ideologia disumana, si ribella al pensiero che eliminare un innocente è un diritto. La stessa legge 194/78, fra le righe, sembra aver coscienza dell’enormità dell’ingiustizia in atto, quando richiede che si lavori - con provvedimenti concreti - perché si aiuti a rimuovere le cause che stanno portando alla scelta abortiva. Sembra dire: «facciamo di tutto» per salvare quel bimbo; aiutiamo quella mamma in difficoltà; assumiamoci la responsabilità di garantire il diritto alla vita di chiunque. Il Papa - denunciando e condannando con parole che vengono definite «dure», «inopportune» (rispetto a chi o a che cosa, sarebbe interessante capirlo!), ma che sono semplicemente chiare e inequivocabili -dà voce alle tante vittime innocenti della cultura della morte: sono omicidi gli aborti, gli infanticidi, i genocidi, le guerre, ogni abuso e violenza. Se mai è possibile aggiungere vergogna e scandalo di fronte a uno scenario di questo genere, ci tocca prendere atto che addirittura la medicina, nata per salvare la vita, viene piegata a istanze che sono l’esatto contrario. È accaduto anche nella storia recente, quando la medicina si è venduta all’ideologia delle «Lebensunwertes Leben» - vite indegne di essere vissute - e sappiamo, purtroppo, molto bene che cosa è accaduto. Eppure, a Norimberga, il mantra giustificativo, medici compresi, fu che «abbiamo ubbidito agli ordini e alla legge». Ecco l’inganno che anche oggi sta alimentando leggi e condotte in palese contrasto con il valore fondamentale della vita: la legge lo consente! In questo modo, ogni attentato alla vita, se legalizzato, diventa - automaticamente - moralmente e deontologicamente lecito. Papa Francesco ha detto con grande chiarezza che le cose non stanno così: un atto può essere legalmente lecito, ed essere allo stesso tempo gravemente immorale. La responsabilità morale e deontologica di chi lo mette in atto è totale: se può avere sconti (o addirittura elogi, come sta accadendo oggi) sul piano politico, legale e mediatico, certamente non ne avrà mai sul piano dell’etica. Si badi bene: non etica confessionale, ma l’etica naturale inscritta nel cuore di ogni uomo. Perché, diciamocelo con franchezza, sopprimere un bimbo nel grembo materno - nel fondo del cuore di ogni uomo - evoca una sensazione di smarrimento e angoscia insopprimibili. Tanto più se medico! Con buona pace di chi si indigna di fronte alla parola «sicari», ci sono ben altre e più cogenti ragioni per cui la coscienza deontologica dovrebbe indignarsi.
Mario Monti (Ansa)
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