2021-05-30
Interrogatori sulla funivia di Stresa. È già iniziato il tutti contro tutti
Dopo i 14 morti, i tre indagati si rimpallano le colpe. Il gestore Luigi Nerini: «La sicurezza non è mia competenza». L'ingegner Enrico Perocchio: «Non potevo prevedere l'uso dei forchettoni». Ma per il caposervizio tutti sapevano.Gli indagati fermati per la tragedia del Mottarone, che ha causato domenica scorsa 14 morti, tra cui due bimbi, e un ferito grave, il piccolo Eitan di cinque anni ancora ricoverato, davanti al gip di Verbania, Donatella Banci Buonamici, nelle sette ore complessive di interrogatorio hanno fatto il gioco delle tre carte. Luigi Nerini, il gestore della funivia della morte, ha detto che «la sicurezza, sulla quale non ha mai risparmiato, non è affare dell'esercente», scaricando sugli altri due. «Per legge», avrebbe detto al gip, stando a quanto ha riferito all'uscita dal carcere il suo difensore, l'avvocato Pasquale Pantano, «erano il caposervizio della funivia, Gabriele Tadini, e l'ingegnere direttore dell'esercizio, Enrico Perocchio, a doversene occupare». Stando alla tesi di Nerini, lui avrebbe dovuto soltanto pensare agli «affari della società». E avrebbe detto pure che lui «non aveva nessun interesse a non riparare la funivia». Da quando l'impianto è rientrato in funzione dopo lo stop anti Covid, hanno accertato i carabinieri, si verificavano dei blocchi causati da alcune anomalie che davano l'input ai sistemi di sicurezza. La funivia, insomma, andava fermata. Ma per Nerini, «il potere di chiudere la tratta non era suo, lui poteva fermarla solo se mancava il direttore di esercizio». Perocchio, invece, ha riferito il suo avvocato, Andrea Da Prato, durante l'interrogatorio ha insistito sul fatto che «non poteva prevedere né sapeva che qualcuno avesse fatto uso scellerato delle ganasce». L'inserimento del forchettone ha impedito ai freni di emergenza di entrare in funzione e, quando si è spezzata la fune, la cabina si è trasformata in una giostra della morte ed è partita a velocità pazzesca finché non ha scarrellato ed è precipitata. Perocchio ha detto di aver saputo dell'utilizzo dei forchettoni solo alle 12.09 del giorno dell'incidente, quando ha ricevuto da Tadini una telefonata in cui veniva detto: «Ho una fune a terra, avevo i ceppi su». Ci sarebbe, stando alla difesa, anche un «teste che scagiona Perocchio»: si tratta di un tecnico di una società esterna alla gestione dell'impianto che avrebbe reso dichiarazioni che dimostrerebbero «l'estraneità dell'ingegnere». Secondo il suo avvocato, «è chiaro che se la funivia del Mottarone chiude per manutenzione, l'ingegnere Perocchio non perde denaro ma dorme su otto cuscini». Inoltre, dopo aver detto che lui non salirebbe mai «su una funivia con ganasce», ha rimpallato la colpa a Tadini: «È stata sua la scelta scellerata di usare i forchettoni». Tadini, che aveva ammesso davanti ai carabinieri di aver inserito materialmente il forchettone che ha bloccato i freni, aveva anche sostenuto che gli altri due erano stati informati (ai carabinieri avrebbe anche riferito che i problemi tecnici andavano avanti da un po' e che i registri erano stati falsati). Ieri, assistito dall'avvocato Marcello Perillo, ha svelato di averlo fatto anche altre volte in passato. Inoltre, dopo aver detto di non essere «un delinquente», ha spiegato che le anomalie manifestate dall'impianto non erano collegabili alla fune e ha escluso collegamenti tra i problemi ai freni e quelli alla fune. E infine si è difeso così: «Non avrei mai fatto salire persone se avessi pensato che la fune si spezzasse». Gli avvocati hanno chiesto di revocare la misura. Tranne il difensore di Tadini che, invece, ha chiesto solo di attenuarla con gli arresti i domiciliari. Le accuse sono di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravi e rimozione dolosa di cautele aggravata dal disastro. E dalla Procura insistono sulle esigenze cautelari. «Hanno visto i corpi straziati delle vittime, ma non sono venuti a confessare», hanno scritto i pm Olimpia Bossi, procuratore capo di Verbania, e il pm Laura Carrara nell'atto con il quale hanno chiesto la custodia cautelare.«Nonostante la gravità delle condotte e delle conseguenze», sostengono i magistrati, «i fermati non hanno avuto un atteggiamento resipiscente presentandosi nell'immediatezza all'autorità giudiziaria per assumere le proprie responsabilità. Tale considerazione assume maggiore gravità per Nerini e Perocchio che, accorrendo sul posto il giorno dei tragici accadimenti, hanno potuto vedere i corpi delle vittime straziati». Per la Procura, come aveva svelato La Verità, oltre al pericolo di fuga sussisterebbero anche il pericolo di reiterazione del reato e quello di inquinamento probatorio.Ad attendere avvocati e magistrati fuori dal carcere, oltre ai giornalisti, c'era una persona che mostrava un cartello: «Se colpevoli, ergastolo».