2018-10-10
Internet è il covo dei nostalgici delle Br
Mentre a Milano girano volantini inneggianti agli Anni di piombo, sulla pagina Facebook della terrorista rossa Barbara Balzerani, mai pentita, si moltiplicano messaggi di sostegno e minacciosi: «Torneremo». Senza contare gli insulti ai parenti delle vittime. Non si contano le espressioni di solidarietà dei compagni di allora e di oggi. «Alcune frasi dei parenti delle vittime mi fanno orrore», scrive Angela Liguori. «Non è che la storia la possono fare solo loro. Bravissima Barbara!», commenta Sergio Pannini.Non ci crederete, eppure c'è un mondo di nostalgici delle Brigate rosse. I volantini di solidarietà nei confronti dei detenuti politici condannati al 41 bis che circolano a Milano, oggetto di indagini da parte della Digos, sono forse piccola cosa rispetto alla condivisione dell'operato dei brigatisti esternata sui social. Un anno fa, La Verità pubblicò alcuni commenti commossi, di sostegno, affetto e simpatia che si postano in continuazione su Facebook per Barbara Balzerani, condannata a sei ergastoli anche per il sequestro e l'omicidio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e dei cinque uomini della sua scorta. Riciclatasi come scrittrice, l'ex terrorista non si è né pentita né dissociata dalla lotta armata. Lo scorso 16 marzo, a 40 anni dal sanguinoso agguato di via Fani, la signora Balzerani ancora una volta non ha saputo tacere, almeno per rispetto dei familiari dei tanti ammazzati, e durante una presentazione del suo libro L'ho sempre saputo se l'è presa con chi ancora piange i morti. «C'è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere», ha dichiarato, firmando autografi e dediche sul libro che pubblicizza in Italia e all'estero. Molte critiche le sono piovute addosso anche per l'appello «Chi mi ospita oltre confine per i fasti del quarantennale?», che aveva rivolto ai numerosi simpatizzanti Oltralpe. Ma non si contano le espressioni di solidarietà dei compagni di allora e di oggi. «Alcune frasi dei parenti delle vittime mi fanno orrore», scrive Angela Liguori. «Non è che la storia la possono fare solo loro. Bravissima Barbara!», commenta Sergio Pannini, seguito da innumerevoli: «Siamo dalla tua parte», mandati alla Balzerani via Facebook. Viene condiviso un post del 2015 di Marco Pittalis rivolto agli amici brigatisti: «Vi hanno maltrattato come bestie sperando di spezzare la vostra dignità... Di sicuro è stata molto dura, nei minuti, nelle ore, nelle giornate che con fatica passavano ma avete retto perché i vostri cuori erano troppo grandi per degli sgherri al servizio di un potere criminale... Oggi c'è chi distribuisce con amore parole vere, storie di vita di ieri e di oggi per capire e pensare... Grazie Barbara... Ciao». Pittalis, che vive a Buenos Aires, nel 2013 era tra i firmatari della campagna promossa «per l'indulto e l'amnistia in favore dei reati politici, sociali e per sfollare le carceri». Tra i suoi ultimi post leggiamo: «Margherita Cagol, “Mara", dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare». Oppure «Ecco chi è Matteo Salvini... Un pezzo di merda». Guarda caso, Marco Pittalis ha condiviso pure un post di Oreste Scalzone contro l'ordinanza di custodia cautelare di Domenico Lucano, sindaco di Riace. «Facce di bronzo? No, facce di merda», scrive l'ex leader di Potere operaio e di Autonomia operaia, concludendo con un sibillino: «E adesso vediamo che si fa». Ma torniamo alla brigatista che non è mai pentita. Lo scorso 1° maggio la Balzerani pubblicava su Facebook un'immagine del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo e annunciava: «Torneremo». Tanti i commenti appassionati, da «Prima di quanto voi, miopi anime morte, immaginiate» di Elisa Sandjabi, a «Torneremo. Per riprenderci tutto» di Umberto Lacche. Il 2 agosto Silvia De Bernardinis, ricercatrice e autrice di molte recensioni dei libri della brigatista rossa, scrive sui social: «Barbara Balzerani e le Brigate rosse, che nulla hanno a che vedere con lo stragismo e il terrorismo, hanno colpito con una piccolissima forza uno Stato fortemente militarizzato, rischiando ogni volta in prima persona e mai colpendo gratuitamente o per sbaglio, e lo hanno fatto nel corso di una guerra di classe, sancita guarda caso dalle bombe del 12 dicembre (le Br ancora non esistevano), contro un movimento operaio molto più avanzato delle forze politiche e sindacali che avrebbero dovuto rappresentarlo. Le Brigate rosse hanno perso e hanno pagato, e le vittime della lotta armata, che nei rapporti di forza sono vittime di serie A, sono state risarcite dallo Stato». Alcuni dei volantini trovati nei giorni scorsi in diverse zone di Milano invitano a una campagna di solidarietà nei confronti di Nadia Desdemona Lioce, esponente di primo piano delle Nuove Br condannata dopo anni di latitanza per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D'Antona e Marco Biagi e del sovrintendente di polizia Emanuele Petri. «Il ritorno dei fiancheggiatori dei terroristi rossi non va assolutamente sottovalutato», avvertono i leghisti Samuele Piscina, presidente del Municipio 2 di Milano, e Luca Toccalini, eletto alla Camera. Non la pensano così quelli dell'Osservatorio repressione, che si definisce associazione «antifascista, antirazzista e antisessista» e appoggia la resistenza della Lioce alle condizioni del carcere dell'Aquila. Da parte loro, nessuna umanità nei confronti dei due docenti ammazzati perché, scrivono, erano «i consulenti dei governi padronali che esigevano la flessibilità e la precarietà del lavoro». Questo è il clima che si respira tra quanti delirano per una solidarietà proletaria «contro ricatti e paura». Questa è l'ipotesi della violenza che ancora seduce attivisti di estrema sinistra. Contro i figli delle vittime delle Brigate rosse sparano a zero quelli del collettivo comunista Agitprop (nome preso dal dipartimento agitazione e propaganda dell'ex Partito comunista sovietico), e del laboratorio politico Jacob (che avrebbe «salvato dall'estinzione l'extraparlamentarismo foggiano di sinistra»). Maria Fida Moro, figlia dell'ex statista della Dc, aveva così commentato le vergognose parole della Balzerani nello scorso marzo: «Negli ultimi 40 anni mentre io mi arrampicavo sugli specchi per mantenere mio figlio, voi ve la siete “goduta" senza fatica, senza dolore e senza merito». Sul numero 60 di Plebe, consultabile sulla piattaforma online Issuu, Agitprop e Jacob rispondono e attaccano la Moro: «Ha scritto sette libri. Di cui alcuni sul padre. È andata in televisione, è stata intervistata, ha scritto articoli. E suo figlio Luca un blues. Sul nonno». Quasi fossero colpe, azioni di cui giustificarsi. Nel mucchio anche Mario Calabresi «figlio di Luigi, ha fatto una bella carriera tra Ansa, Repubblica, Stampa e Corriere. (…) Ha scritto svariati libri. Uno di questi, Spingendo la notte più in là, parla della sua famiglia. Dell'amato babbo. (…) Ha scritto la prefazione a Gli eroi di via Fani di Filippo Boni». Nell'elenco impietoso finiscono «Benedetta Tobagi, figlia di Walter, che ha spaziato tra testate giornalistiche e trasmissioni radiofoniche. Ha studiato all'estero. Ha scritto due libri, di cui uno pluripremiato, Come mi batte forte il tuo cuore, è dedicato alla figura del padre. S'è fatta promotrice di una casa della memoria che si occupa di terrorismo e ha animato diverse associazioni con il medesimo scopo». Per Plebe che dichiara di schierarsi «al fianco delle lotte quotidiane, delle mobilitazioni, delle insurrezioni. Siamo operai, disoccupati, studenti, impiegati: proletariato urbano. Bersagli mobili senza ticket. Al fianco delle lotte d'indipendenza e di nuova democrazia. Internazionalismo e rivoluzione! Intifada e brigantaggio», la «colpa» di Luca Tarantelli, figlio di Ezio, è di aver scritto Il sogno che uccise mio padre. Quella di «Lorenzo Biagi, figlio di Marco, dopo aver rivendicato la bontà degli studi del padre», quella di aver «dichiarato urbi et orbi che “i terroristi devono solo tacere"». Pesantissimo il commento che segue: «Tutti loro hanno un dolore immenso da curare. Lo capiamo. Tutti sono, di fatto, incolpevoli delle accuse che sono costate la vita ai loro congiunti». Avete capito bene? Il passaggio successivo è ancora più inquietante: «Basta l'amore di un bimbo per un babbo. E tutti si sciolgono (…) Barbara Balzerani no. Barbara non deve permettersi. Di dire che i piagnoni di Stato hanno rotto le scatole». Poi aggiungono: «Lo sappiamo noi come certamente lo sanno loro, sotto la crosta appena raffreddata di quegli anni pacificati dalla lotta, ci sono braci refrattarie alla chimica del silenzio imposto. È contro quelle braci che lottano». I nostalgici delle Br fanno quadrato.
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